giovedì 27 febbraio 2025

detransition, baby

voleva davvero diventare mamma. lo voleva più di ogni altra cosa. aveva passato tutta l'età adulta in mezzo a persone queer, ad assorbire le loro relazioni radicali e li poliamore e i ruoli di genere, ma in qualche modo non aveva mai davvero destituito dall'apogeo della femminilità quelle mamme del wisconsin bianche e carine che avevano popolato la sua infanzia. non aveva mai perso l'ardente speranza di diventare una di loro. nella maternità riusciva a immaginarsi separata dalla sua solitudine, dal bisogno che la consumava, perché da madre, credeva, non si è mai da sole.

ci sono narrazioni abbastanza stereotipate circa le reazioni degli uomini alla notizia che la loro compagna/fidanzata/moglie è incinta, c'è chi rimane pietrificato, chi pensa alla fuga e chi - credo nella maggior parte dei casi - si lascia trasportare dalla gioia e dall'entusiasmo.
fuori dagli stereotipi, sicuramente, c'è la reazione di ames che, quando katrina gli annuncia che sta per diventare padre, chiama reese, la sua ex che ha sempre desiderato diventare madre, e le propone di crescere questa creatura in tre.

detransition, baby inizia così, con questa folle richiesta di prendersi per mano e fare un salto nel vuoto, ames, reese, katrina, lə bambinə e insieme noi lettorə che non sappiamo ancora molto degli strani, inusuali legami che tengono insieme questo terzetto sgangherato. quello che sappiamo è che di solito non è così che funziona, che le famiglie si creano in un certo modo, di sicuro non con una telefonata che rompe anni di silenzio e lontananza, sappiamo che ci sono delle gerarchie tra le relazioni e che l'attuale compagna incinta vale più della tua ex con cui hai rotto da secoli, che gli uomini fanno i padri e le donne le madri e che ne bastano uno e una per mettere al mondo una terza vita, che lə figlə è bene crescerli dentro a un matrimonio (e, meglio ancora, evitare di concepirli prima di un matrimonio).

visto che, con buona pace di una certa fetta di popolazione, nella famiglia nucleare cis-etero monogama non c'è niente di naturale, potremmo (e, se non l'abbiamo mai fatto, dovremmo) chiederci perché sappiamo tanto bene queste cose al punto di crederle come un dato di fatto scolpito nella nostra genetica di esseri umani. darci le risposte qui, però, sarebbe impossibile sia per ragioni di spazio che di buon senso, quindi torniamo al romanzo di torrey peters e al nostro salto nel vuoto.
"ricordi che hai sempre voluto che facessimo un bambino insieme? lo vorresti ancora?" non è una domanda facile, non quando ti coglie alla sprovvista, non quando arriva da una voce che credevi non avresti mai più ascoltato pronunciare certe parole, ma reese sa cosa desidera, cosa ha sempre desiderato nonostante per una donna trans sia estremamente difficile se non impossibile diventare madre, ed è per questo che non ha dubbi: sì, certo che vuole farlo.

dal momento di quella telefonata, la narrazione inizia a muoversi avanti e indietro nel tempo, ancorandosi a un punto zero che coincide con quello del concepimento. anni prima, settimane dopo, impariamo a conoscere uno spezzone alla volta la storia di reese e di ames che, quando stava con lei, era ancora amy. disporre i capitoli in ordine non cronologico non è una scelta meramente stilistica né un artificio narrativo architettato solo per incuriosire lə lettorə, ma un modo molto chiaro ed esplicativo di mostrare come esperienze passate e aspettative future siano strettamente intrecciate e come coinvolgano il presente, senza che ci sia una qualche soluzione di continuità tra chi eravamo, chi siamo e chi speriamo - o temiamo - di essere. se, nel corso del tempo, cambiamo, non è per rinnegare quello che siamo statə ma semplicemente perché tra tutti i possibili futuri che possiamo intraprendere, dobbiamo sempre e comunque sceglierne uno, giorno dopo giorno.
e questo potrebbe essere un comodo riassunto per raccontare la storia di amy/ames: la detransizione non è un pentimento né un'ammissione di colpa e, come dice lui stesso, non è neppure una scelta definitiva e irreversibile. è solo la vita. ogni scelta ha avuto dietro di sé una ragione e, proprio in virtù degli anni passati insieme, una buona parte di quella ragione è intrecciata alla sua relazione con reese e quindi con i suoi desideri, tra cui quello di diventare madre.

c'era stato già un momento in cui reese e amy avevano provato a creare una famiglia, una famiglia non ordinaria tanto quanto potrebbe esserlo questa che ames le sta proponendo. era stato difficile anche allora, è facilmente immaginabile il numero e l'entità degli ostacoli che una coppia di donne trans deve affrontare dal momento in cui decide di compiere un passo così importante. su quegli ostacoli, amy e reese sono andate a sbattere con una violenza tale da mettere in crisi la loro stessa esistenza come coppia.
avanti e indietro nel tempo, peters sembra sussurrarci all'orecchio con la vocina metallica e insensibile di un navigatore che la vita è un continuo ricalcolo percorso, che le scelte che facciamo ci cambiano ma cambiano anche le persone intorno a noi, il nostro e il loro futuro, e che la somma di tutte le variabili accolte e di quelle scartate può condurre a situazioni che sembrano assurde solo se guardate da chi non ha percorso quelle strade.

detransition, baby è un libro che racconta come la comunità trans ha reinventato regole, legami di parentela e percorsi di vita per trovare una propria dimensione all'interno di quella ufficiale ed escludente del mondo cis-eteronormato, e che lo fa senza didascalie o note a piè di pagina. non spiega nulla - perché nessuna minoranza è tenuta a offrire lezioni su di sé a beneficio della curiosità altrui - ma ci mostra tutto, anche i lati più personali e intimi dellə suə personaggə, affidandosi a una comprensione emozionale ed empatica più che a un apprendimento razionale.
attraverso reese, peters ci permette di ragionare senza pregiudizi sugli stereotipi di genere e su quanto - senza mai giustificarli o, peggio, naturalizzarli - questi siano fondamentali per orientarci e darci modo di trovare il nostro posto nel mondo. da donna trans, reese desidera che gli uomini proiettino su di lei tutti quegli stereotipi (anche quelli negativi) di cui rivestono le donne cis, semplicemente per potersi riconoscere anche lei in quel preciso ruolo di genere, che non può che definirsi proprio attraverso le relazioni con lə altrə. da donna disabile, ho cercato di mettere a fuoco come le comuni narrazioni sugli stereotipi e i ruoli di genere non soltanto non coinvolgono tutte le persone allo stesso modo, ma che anche la loro non applicazione - tanto desiderata dalla maggior parte della gente che li subisce costantemente - può portare un qualche tipo di sofferenza.
le parole di reese, anche le più controverse e fastidiose, mi hanno illuminata molto più di quanto non abbiano saputo fare pagine e pagine di saggistica sull'argomento. se costruiamo un ruolo e ci mettiamo dentro le persone sulla base del loro genere e delle aspettative che riponiamo in quel genere, escluderne una minoranza non fa che peggiorare la condizione tanto delle persone escluse che di quelle incluse, rafforzando gli aspetti negativi che quel dato ruolo ha, e rafforzando, quindi, le strutture di potere che funzionano proprio sulla base di quella divisione di ruoli.

altro grandissimo merito di peters è stato quello di ripulire la parola queerness dai glitter e dagli arcobaleni di cui siamo solitə abbellirla al punto di averla fatta diventare una moda, o nel migliore dei casi una via di fuga dalla noia dell'eteronormatività. peters ci ricorda che la storia delle persone queer non è fatta soltanto del rigetto che viene dalla stanchezza per certe convenzioni sociali a cui è facile rinunciare, soprattutto per chi ricopre ruoli sociali di prestigio (come katrina), ma è stata costruita pezzo dopo pezzo di lotte e sofferenze vere, di famiglie che allontanano, di omofobi e transfobici che picchiano, di malattie che prima emarginano e poi uccidono, di ogni forma possibile di ingiustizia, di povertà, di diritti negati, di depressione e anche - in alcune pagine che sotto una scorza di cinismo rivelano una sensibilià gigantesca - di suicidi.

detransition, baby è un romanzo stratosferico che parla di persone e di come le persone vanno avanti nella vita, incespicando e rialzandosi e cambiando idea, andando avanti e poi indietro e scartando di lato. ed è un romanzo che dice che va bene così, che ogni persona e ogni vita è fatta di tutto il suo tempo e le sue scelte, e che è perfetta così.

mercoledì 19 febbraio 2025

brucia la notte ~ s'infiammano le stelle

nessuno entra.
nessuno esce.

noi siamo nessuno.

in una emilia-romagna immaginata ma non troppo, nel pieno di una catastrofe climatica lontana da noi ma non troppo, sotto un regime distopico ma non troppo, ani e bi(anca) cercano il modo di sopravvivere nel campo dove sono state confinate.
il campo è una salina e il lavoro lì spacca le mani e corrode l'animo.
a lavorare il sale, immerse nell'acqua tutto il giorno sotto lo sguardo vigile delle stecche - o gli integri, come preferiscono definirsi - sono solo donne. denunciate per comportamenti che offendono la morale del regime, come bianca, o rinchiuse perché migranti senza diritti, come ani, o anche volontarie, come tutte quelle donne che hanno scelto la dura vita del campo alla fame e alla miseria del mondo esterno, le centinaia di raccoglitrici delle saline sono la manodopera fondamentale in un mondo in cui l'economia - e quindi il potere - gira tutta intorno al sale che, esauriti i combustibili fossili, è diventato l'unica fonte di energia disponibile.

formalmente le saline sono solo saline, ma nei fatti si tratta di vere e proprie prigioni dove rinchiudere le donne - soprattutto quelle scomode, le povere, le migranti, le non cis-etero, eccetera - e spremerle fino all'osso, abusando tanto del loro lavoro quanto del loro corpo.
è per questo che bi e ani non si limitano solo a sopravvivere, ma cercano ad ogni costo di scavalcare le mura del campo e riprendersi la loro libertà.

bianca e ani sono come il giorno e la notte: bianca è un biondo fiume in piena di parole che adora fare la buffona e sdrammatizzare le situazioni più difficili; ani è silenziosa e schiva, un cespuglio di arruffati ricci neri, minuta e agile. a unirle non è soltanto uno spontaneo e sincero sentimento di amicizia, nato fin dal loro primo incontro nel campo, ma soprattutto un odio profondo e totale per quel regime che ha distrutto la loro vita, le ha separate dalla loro famiglia e ha rubato la loro libertà.
ani e bi non si sono mai fermate, hanno vissuto ogni giorno, ogni ora per riuscire a fuggire dal campo, hanno fatto piani su piani, mappature dell'area di comando e progetti, ma l'occasione arriva nel modo più imprevedibile e violento.
il primo attacco dall'esterno, la prima violentissima esplosione annienta in pochi minuti l'incrollabile e organizzatissima routine delle saline, manda le stecche nel panico ma, al contempo, uccide integri e raccoglitrici indistintamente.
è così che ani perde l'unico motivo per cui non si è mai decisa davvero a scappare, l'unico legame che la teneva stretta al suo ruolo.
ed è così che la rivoluzione ha inizio.

il dolore di chi viene costantemente schiacciatə, abusatə, violatə, imprigionatə e spogliatə della sua dignità di essere umano fa in fretta a trasformarsi in rabbia, e lì dove esistono regimi che si basano proprio sulla sopraffazione e sulla violenza nasce la resistenza, pronta a tutto pur di ritrovare una dimensione in cui vivere libera e in pace.
senza avere più niente da perdere, ani e bi approfittano dell'attacco e del caos per sfuggire alle guardie, e se la scoperta che bianca ha il potere di manipolare le menti di chi ascolta il suo canto sconvolge ani, l'incontro fortuito con sua sorella gizem - da cui si era separata anni prima, al suo arrivo in italia, e creduta perduta per sempre - è ancora più shockante, e di certo molto meno romantico e strappalacrime di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare.

grazie a gizem, ani e bianca arrivano alla congrega di dozza, una delle tante comunità fuori dal controllo del regime, dove la gente vive in regimi di mutuo soccorso e autosostentamento e... magia. perché bianca non è l'unica ad avere capacità fuori dal comune, anzi: le streghe - le strighe - esistono.
storiche vittime del potere, adesso sono loro a dirigere la resistenza contro quel potere che le teme e vorrebbe annientarle.


clarissa la suprema, guida e riferimento per tutta la congregazione; velia, tabagista affettuosa e saggia; dina, una guerriera dalla forza straordinaria; jole, che sa comunicare con lə scomparsə, le anime dellə defuntə; ottavia, archivista straordinaria e memoria vivente di dozza; aatifa, guaritrice della congrega e pittrice che ricorda, attraverso la sua arte, chi ha dato tutto per la congrega. e soprattutto ebe - fuggita da una vita ricca e agiata in quella rocchetta mattei che ha sempre appoggiato il regime per proprio tornaconto, incurante delle sofferenze altri, che sarà teatro fondamentale dell'ultima parte della storia - e ora votata al bene collettivo.
le storie e i destini di queste donne si intrecciano a quelle di ani, bianca e gizem sullo sfondo di una rivoluzione appena nata e già pronta a esplodere con ferocia.
sono storie cariche di rabbia e di voglia di rivendicazione che riassumono millenni di altre storie e di altre vite, quelle di tutte le donne che non si sono arrese al potere costituito a ogni livello dell'organizzazione sociale, dal microcosmo delle loro case fino a travolgere il mondo intero.
sono le storie delle donne che di solito non trovano spazio nei racconti: donne trans, donne lesbiche, donne anziane, donne disabili, donne bellissime ma forti quanto e forse più degli uomini. da questo punto di vista, questi romanzi sono un riscatto enorme per tutte quelle donne che non hanno avuto troppo spesso il privilegio di essere protagoniste di una storia.

se brucia la notte ha il ruolo di introdurci in questo sistema-mondo distopico e magico, di presentarci le protagoniste e il territorio - che, proprio in virtù del suo essere sovrapponibile a una geografia reale, è altrettanto protagonista del racconto - e di iniziare un percorso (concludendosi con un plot-twist e un cliffanger che definire crudele è solo una dimostrazione d'affetto nei confronti delle autrici), s'infiammano le stelle inizia con uno scioglimento iniziale della tensione che dura solo un attimo, prima che il racconto riprenda la sua corsa verso il gran finale.
brucia la notte / s'infiammano le stelle segue un percorso circolare, o meglio un percorso a spirale che parte dalle saline e che, andando avanti, s'ingrandisce, cresce insieme alle sue protagoniste come una linea che si irrobustisce caricandosi tanto di rabbia quanto di quell'amore che alimenta le comunità nate dal basso, dove nulla è imposto e tutto è collettivo.
una linea che abbraccia un territorio che si allarga sempre di più, traslato dal mondo reale a quello fittizio-ma-possibile del romanzo, una linea che accelera attraverso un racconto costruito dall'alternanza delle voci e dei punti di vista di ani, bi, ebe e gizem, che trovano sempre di più la loro forza come gruppo proprio nelle loro differenze individuali.

brucia la notte / s'infiammano le stelle sono romanzi pieni di rabbia e di forza che partono dall'idea streghe vs. fascisti e si trasformano in una storia che raccoglie a piena mani dalla nostra realtà e dalla nostra storia recente.
è impossibile incasellarli in una qualche categoria specifica e questo per me è prova della loro originalità e del lavoro delle autrici, tiffany vecchietti e michela monti, che, se da un lato hanno fatto loro tante lezioni di storytelling nella loro lunga carriera di lettrici (per una volta, l'orribile adagio del chi scrive non legge non vale!), dall'altro sono state capaci di restituire qualcosa di unico - tanto nei toni e nello stile, che rendono entrambi i romanzi estremamente appassionanti, quanto nei temi e nei contenuti - profondamente radicato nel territorio e nelle sue tradizioni e ispirato da una coscienza politica transfemminista fortissima e solida.

lunedì 3 febbraio 2025

lucifero

ogni volta che mi sveglio guardo il mio riflesso, mi chiedo chi sono e non so mai che cosa rispondere. so solo che mi chiamo lucifero. so con quali indumenti mi ha vestito il signore, che cosa mi ha donato e, dentro di me, sento ogni dettaglio con cui mi ha creato. eppure mi sento perso. vorrei sapere perché esisto, così da poter onorare il suo splendore.
ma non lo so. non so nulla.

leggendo questo libro ho capito una cosa importantissima, una verità a cui mi ero avvicinata tante volte ma che non mi era mai apparsa tanto chiara: quando un libro non rispetta le aspettative che me ne ero fatta, non è (quasi mai) colpa mia. non sono io che, per chissà quale ragione, guardo una copertina, leggo le poche righe di presentazione dietro e do il via a processi mentali insensati nutriti dalla mia immaginazione. quando mi faccio delle aspettative che vengono tradite, è perché chi doveva presentarmi il libro mi ha lanciato un messaggio completamente sbagliato, una bugia a cui io ho creduto.

prendiamo lucifero di rafael nicolás. a guardare la copertina e a leggere la definizione di retelling queer della storia di satana mi aspettavo - per dirla sinceramente e senza troppi giri di parole - un mezzo pornello gay pieno di uomini bellissimi e con le alucce che si davano alle orge.
capisco la necessità di rivolgersi a quella fetta di lettorə che, nel nostro paese, è più ricettiva alle novità, mette più volentieri mano al portafogli e fa vivere i libri - a volte li fa diventare dei veri e proprio miracoli editoriali - grazie al bookstagram e al booktok, però se diventa una forzatura, se ci si rivolge al target sbagliato o al target giusto ma lanciando dei messaggi sbagliati, si rischia di far arrivare il libro a chi non lo apprezzerebbe davvero e di non raggiungere lə lettorə giustə.
e infatti non è che avessi molta voglia di leggerlo (ammetto con candore che i mezzi pornelli - o i pornelli completi - mi mettono abbastanza a disagio, a prescindere dal sesso, dalle identità di genere e dalle preferenze sessuali dellə protagonistə) ma poi la brava francesca (l'autrice de la bilbioteca di zosma) mi ha detto che lo stava leggendo e che non era nulla di quello che avevamo (dunque non era solo una questione mia) pensato, nessuna feticizzazione di uomini belli, più o meno vagamente androgini e gay (ciao fan degli yaoi!) ma un romanzo incredibilmente profondo che si poneva questioni filosofiche, etiche e teologiche circa la natura stessa di bene e male.

mi spiace per chi sperava di trovare pettorali bagnati di sudore e peccaminose passioni, ma sono felicissima di aver seguito il consiglio e di aver letto un romanzo così forte, che metterei volentieri accanto al paradiso perduto di milton e a il vangelo secondo gesù cristo di saramago (con i dovuti distinguo, ovviamente).
gli appunti che ho preso su questo libro sono tantissimi, e moltissimi di questi sono in forma di domanda, ma si possono sintetizzare tutti in un disperato perché? che riecheggia i pensieri e le parole di lucifero per più della metà della storia.

dicono che quando nasciamo piangiamo perché l'atto della nascita stesso è violento e doloroso, un trauma che ci strappa da tutto quello che è la nostra realtà, una realtà dolce e rassicurante, per scaraventarci in un mondo ostile fatto di luci che ci feriscono gli occhi, rumori che nessuna membrana attutisce più per noi, aria che forza i polmoni.
anche la nascita di lucifero è violenta e dolorosa. il puro spirito che viene plasmato e scolpito da dio, costretto in un corpo fatto di carne e sangue e muscoli e ossa, un corpo che può soffrire, che può essere ferito e piegato. lucifero viene plasmato da dio non perché sia bello ma perché sia l'incarnazione stessa della bellezza.
sia chiaro che in questo post, così come nel libro, per lucifero e per tutti gli altri angeli viene usato il maschile solo per abitudine: la forma degli angeli non è quella che siamo abituatə a pensare, esseri umani - maschi o femmine che siano - di indicibile bellezza e grazia, soffusi di luce e ammantati da ali piumate. nicolás si rifà al testo biblico per lasciarci intuire che le loro forme sono a dir poco incomprensibili e inimmaginabili per la mente umana, mostruose nel significato originario del termine, che ci sia una sovrabbondanza di teste (e non necessariamente umane) o di ali (non necessariamente attaccate sotto le scapole) o anche che non ci sia nessuna parvenza di forma umana o animale di sorta.

sappiamo solo che gli angeli sono di una bellezza squisita, che sono diversi tra loro per il colore della pelle, dei capelli e degli occhi e per le forme, che possono essere esili e delicate o forti e vigorose, ma gli altri dettagli sono omessi o solo accennati perché, sia chiaro, sono angeli, non esseri umani alati. e l'idea di bellezza che dio ha deciso di incarnare in loro non è neppure afferrabile per le nostre menti.
atteniamoci a questo e diciamo addio all'idea di un retelling queer: cosa dovrebbe esserci di queer in creature che non hanno nemmeno una vaga idea di cosa sia l'identità di genere, figuriamoci il sesso biologico (ammesso e non concesso che ne esista uno e che somigli a quello che noi intendiamo con queste parole)? ve lo dico io: assolutamente nulla. se anche fossero tutti biologicamente maschi e se anche tutti si riconoscessero nella categoria socioculturale di maschi, o se fossero tutte femmine o tuttə non binary o quello che vi pare, non cambierebbe niente. perché né il sesso, né l'identità di genere, né gli atti sessuali - che ci sono, certo, ma non sono quello che la copertina, tra testo e illustrazione, vi suggerisce - hanno un ruolo utile ad appiccicare a questo libro l'etichetta di queer. con buona pace di chi si occupa del marketing.

lucifero nasce e in noi - e in lui - nascono i primi perché: il suo corpo, così bello da stupire ogni altro angelo del paradiso, non è soltanto l'origine di un dolore fisico, ma motivo di vergogna. dio lo crea, gli dà la vita e la conoscenza e lo ammanta di ogni pietra preziosa e di vergogna.
perché lo fa? e come può una creatura come un angelo, la cui vita è destinata a godere di ogni possibile piacere in paradiso per l'eternità, provare vergogna per il proprio corpo? come fa a conoscere il concetto stesso di vergogna, il più artificiale e culturalmente informato dei nostri - umani - sentimenti?
tenete da parte questa domanda (tranquillə, ve la porrete alla seconda pagina, non è uno spoiler) perché vi accompagnerà per tutta la lettura.

leggendo la storia di lucifero scopriamo com'è la vita degli angeli e com'è il paradiso, un posto di eterna beatitudine e gioia, dove gli angeli trascorrono il loro tempo infinito in amicizia fraterna, tra un lavoro che non è mai fatica e divertimenti che anche quando diventano brutali - fanno qualcosa che somiglia ai nostri sport, corrono e fanno giochi di squadra, ma vanno matti per i combattimenti che sono spesso feroci - non sono mai davvero violenti o mortali. i loro corpi sanguinano, vengono feriti, provano dolore ma non muoiono. il dolore è un gioco, per tutti tranne che per lucifero: la prima volta che tira fuori le ali, ripiegate all'interno del suo corpo, lo strappo della carne e il sangue che ne cola è per lui un trauma, che rimarrà impresso nella sua memoria per milioni di anni.
la sua gioventù è un periodo lungo, lunghissimo. il tempo degli angeli è inconcepibile per noi ed è proprio per sottolineare questa impossibilità di comprensione che nicolás non lo scandisce mai in modo chiaro, lasciandoci solo intuire quanto infinitamente grande sia.

circondato dall'affetto degli altri angeli - rosier, raffaele, asmodeo, belial, gabriele, tra gli altri - lucifero trascorre la sua giovinezza tormentato dalla vergogna e dalle domande. avverte la profonda differenza tra sé e tutti gli altri ma non riesce a comprenderla, si strugge nella paura di non essere sufficiente per essere amato da dio e desidera ardentemente incontrarlo. il paradiso è la terra degli angeli e dio, invece, ha scelto di vivere nell'eden, nel suo giardino, chiamando a sé i suoi figli solo quando ne ha voglia, per essere servito, adorato e venerato.
plasmato, creato e voluto da dio, lucifero non è ancora stato ammesso alla sua presenza, e questa lontananza lo fa soffrire, lo impaurisce. perché un angelo, creato perché viva nella gioia, soffre e ha paura?
lucifero cresce senza sapere chi è: ogni angelo ha il suo talento - rosier è l'angelo della frutta, belial l'angelo del volo, e così via - ma qual è il suo? tutti gli dicono che lui è l'angelo della bellezza, ma cosa fa l'angelo della bellezza? in che modo onora il talento che gli è stato donato? cosa deve fare l'angelo della bellezza per compiacere dio? domande su domande su domande, e lucifero crede che solo incontrare finalmente dio potrà dissipare tutti i suoi dubbi.

quando l'incontro avviene, finalmente, l'angelo più giovane e più bello si convince di aver trovato finalmente una risposta: a dio piace sentirlo cantare e i suoi canti e i suoi balli in onore del padre coinvolgono chiunque in paradiso e dunque sarà l'angelo della venerazione. la musica di lucifero trascina chiunque in modo quasi frenetico, estatico, come se nessuno possa resistergli.
parlare con dio, però, non porta ai risultati sperati. nessuna vera risposta, nessuna piena comprensione, solo una valanga di dubbi che cresce man mano che va avanti, che investe tutto quello che incontra, se ne nutre, cresce ancora e diventa inarrestabile.
nelle parole di dio, lucifero non riesce mai a trovare alcuna rivelazione né risposta:
di tanto in tanto lucifero si chiedeva perché il loro padre non potesse spiegare in modo diretto la natura delle cose. erano sempre metafore, allusioni, parole studiate per essere interpretate. le prime falsità.
e intanto, lucifero incontra michele, l'angelo della forza, che per tanto tempo aveva ammirato durante i combattimenti.
potremmo chiamare amore quello che nasce tra loro ma il significato che diamo alle parole non può adattarsi a quello che succede a due angeli del paradiso, esseri eterni creati soltanto per amare dio. totalmente ed esclusivamente dio.
il rapporto tra lucifero e michele è un'amicizia totalizzante che si strugge della sua incapacità di essere qualcosa di più: c'è un'infinita tenerezza tra i due, un desiderio profondo di stare vicini, di toccarsi, di annullare i confini, ma non è nulla che sfiori anche solo lontanamente il nostro concetto di desiderio.
almeno fino a quando non succede quel qualcosa che stravolge lucifero, l'innesco osceno e brutale che dà il via a una lunga e sofferta strada verso la ribellione.

l'amore tra lucifero e michele e quello che dio impone ai suoi angeli da un lato sono diversi dall'esperienza di amore che abbiamo noi, creature finite e per nulla perfette, ma dall'altro rispecchiano benissimo i due concetti di amore sano e amore tossico. lì dove c'è reciprocità, dove c'è rispetto e parità, dove c'è voglia di rendere felice l'altro, ovvero nel rapporto tra i due angeli, nicolás ci racconta l'amore così come dovrebbe essere, un amore che è anche scoperta e conoscenza.
ma nell'amore che dio pretende c'è tutta la tossicità possibile, come se - cioè, è esattamente questo - quella pretesa fosse alla base di ogni orrore insito nelle culture patriarcali che tanto bene conosciamo e di cui tanto parliamo, provando a decostruirle e distruggerle.

il modo di scrivere di rafael nicolás è perfetto per questa storia, lirico e al tempo stesso semplice, capace di portare sul piano umano eventi che vanno molto al di là della nostra natura e della nostra possibilità di comprensione. nicolás ci permette di cogliere la dimensione propria del sentire e del pensare degli angeli e, attraverso le loro parole, quella di dio. dà loro un carattere e una personalità, rendendoli riconoscibili e unici pur nel loro essere perfetti.
ma il capolavoro della sua penna è la caratterizzazione di dio, una figura impossibile da descrivere, un essere che nemmeno gli angeli possono guardare direttamente, di cui però cogliamo alcuni sprazzi. immenso, potente oltre ogni immaginazione, l'idea di dio che ci arriva è respingente e spaventosa eppure terribilmente umana, inquietantemente vicina a quella di un padre che pretende amore dai suoi figli ma che non è capace di dare loro nulla, se non la possibilità di essere venuti al mondo. 
«impuro? che cosa vuol dire essere impuri?» nella sua testa, gridò: "sono diventato impuro? sono rovinato?".
«non conoscere l'impurità, vuol dire essere puri» rispose semplicemente il signore. «non tremare, lucifero, non hai nulla da temere [...] devi sempre mantenere la tua purezza, in tutti i modi possibili. la tua mente e il tuo corpo mi appartengono.»
la storia della guerra in paradiso la conosciamo già: lucifero raduna un esercito di angeli a lui fedeli e combatte contro dio, contro un altro esercito di angeli. una guerra soprattutto fratricida, una guerra che solo dio, in quanto dio, può vincere e che porterà alla caduta di lucifero e di tutti i suoi seguaci, scaraventati giù dal paradiso sulla terra, con così tanta forza da creare l'inferno stesso.
ma nicolás non si limita a riprendere il mito originale, si concentra invece sul come e sul perché della dannazione di lucifero, sulla sua origine, sul suo motivo e sul suo significato.
per farlo, non può che risultare blasfemo agli occhi dellə lettorə credenti. e come potrebbe non essere così? quale altra volontà, se non la sua, poteva concepire il nemico? quale altro potere, se non il suo, poteva corrompere lo spirito perfetto di un angelo?

noi cristianə - e non intendo necessariamente chi ha fede (chi scrive, ad esempio, non ne ha) ma chi è natə e cresciutə in una società prevalentemente cristiana, regolata da leggi morali e giuridiche che si rifanno a quelle cristiane e quindi a un intero sistema di pensiero fondato sull'insegnamento di cristo - abbiamo un'immagine incongruente e sdoppiata di dio: il dio del vecchio testamento e quello del nuovo sono profondamente diversi, per molti aspetti opposti, e quale che siano i motivi - legati alla fede o alla storia sociale, politica e culturale degli ultimi due millenni - per cui vogliamo accettare che sia sempre la stessa entità che decide di cambiare il suo rapporto con gli esseri umani, non riusciamo comunque a toglierci dalla mente l'idea di un dio buono, compassionevole e caritatevole.
ma dobbiamo fare uno sforzo e ricordarci che non è così: dio è terribile e chiede di essere temuto, oltre che amato e venerato. abbiamo deciso di adottare il dio degli eserciti di un popolo che non metteva carità e compassione tra i suoi valori fondamentali, e dunque non possiamo dimenticare l'ambiguità della natura di dio e del suo rapporto con gli esseri umani e, prima, con gli angeli.

nicolás fa quello sforzo per noi, ci ricorda che dio - il dio prima di gesù o, se preferite, lo stesso dio che costringe il suo stesso figlio a sofferenze indicibili e a una morte crudele e senza dignità - è temibile e incomprensibile, lontano dal pensiero umano. ci ricorda che è un dio forte (he whom thunder hath made greater, diceva il lucifero di milton), uno che non si fa scrupoli a ostentare la sua potenza e che agisce esclusivamente per sé, incurante del dolore di creature troppo piccole per valere qualcosa dinnanzi a lui.
questo è il dio di lucifero e questo è il motore primo della storia dell'angelo più bello, quello che porta la luce e che illumina dio e il creato intero.
quell'angelo che ci ricorda che perché ci sia luce, perché qualcuno brilli, qualcun altro deve rimanere nell'ombra e nell'oscurità.
e che se ombra e oscurità non esistono, allora bisogna crearle.