inizio questo post senza sapere quando lo finirò o se ne pubblicherò un altro prima perché sono entrata in questo 2025 portandomi dietro quintali d'odio dal 2024 per tutto quello che riguarda i social, la bolla, il bookstagram, e con la nostalgia per quello che erano i blog e che non sono più e blablabla. e sì, forse è che ormai sono solo troppo vecchia e non so adattarmi al cambiamenti velocissimi delle realtà online, sono rimasta aggrappata a qualcosa che non esiste più, però che tristezza.
vabbè, il punto non è questo.
vi racconto in breve tre libri che ho letto a fine dell'anno scorso, che vi consiglio ma con qualche riserva. sono tutti e tre dei poteva essere bellissimo ma.
lo specchio perfetto del mio umore, insomma.
ritrovato e perduto
le parti azzurre erano dove c'era tanta acqua, simili alle cisterne ma più profonde, e le parti di altri colori erano terra, simili ai giardini di terriccio ma più grandi. il cielo non riusciva proprio a capirlo. il cielo era una seconda palla che circondava la palla di terriccio, diceva suo padre, ma nel modellino del globo non potevano mostrarlo perché di fatto non si vedeva. era trasparente, come l'aria. era aria. però azzurra. una palla di aria, e da sotto appariva azzurra, e stava fuori dalla palla di terriccio. aria esterna. che cosa strana.
questo povero libro mi ha aspettata per anni e nel frattempo ha affrontato cinque traslochi. la sua mole mi ha sempre spaventata però le vacanze di natale mi sembravano il periodo perfetto per affrontarlo. ero sicura che avrei adorato ogni pagina di ritrovato e perduto - figuriamoci, è ursula k. le guin! - invece mi è difficile dare un giudizio perché se da un lato ci sono racconti meravigliosi, dall'altro ce ne sono anche alcuni che mi hanno sfiancata e che ho addirittura mollato a metà, se non meno.
capita spesso nelle raccolte di racconti che il livello non sia sempre uguale, però forse è la prima volta che trovo un'antologia così altalenante.
la raccolta si divide in racconti non di genere, altri di fantascienza - legati e non al ciclo dell'ecumene - e altri fantasy, attinenti all'universo di terramare. i miei preferiti sono quelli in cui viene maggiormente fuori l'attenzione antropologica di le guin (ricordiamoci che era figlia di alfred kroeber, uno degli allievi del padre dell'antropologia moderna franz boas, convinto antirazzista a cui dobbiamo pagine meravigliose che smontavano le teorie cosiddette scientifiche razziste in voga nell'ottocento ben prima che la genetica facesse la sua comparsa), come la questione di seggri - ambientato in un mondo in cui il rapporto tra uomini e donne è di 1 a 16 e dove, quindi, l'appartenenza al genere maschile determina in modo preponderante il futuro dei socializzati maschi e dove i rapporti relazionali sono pesantemente influenzati da questa proporzione - o una storia alternativa o un pescatore del mare interno, in cui il matrimonio è un complesso sistema di relazioni endo ed esogamiche a quattro, dove il concetto stesso di amore è qualcosa di molto differente da quello che siamo abituatə a pensare. molto bello anche liberazione di una donna, un racconto che, attraverso la storia di una donna che da schiava impara a conoscere la libertà, invita a riflettere sul significato che diamo al concetto di libertà stessa che, per le guin, dipende in buona parte dalla possibilità di conoscere e di dotarsi di strumenti intellettuali per comprendere le strutture del mondo in cui viviamo.
il mio racconto preferito è però l'ultimo, più una novella o un romanzo breve che un racconto a dire il vero, paradisi perduti: setting della storia è un'astronave-mondo, la discovery, in viaggio verso un nuovo mondo abitabile, partita da una terra ormai in crisi in cui la vita umana è seriamente minacciata dal pericolo dell'estinzione. l'enorme distanza da percorrere, però, prevede che sarà la sesta generazione quella che per prima potrà vedere il nuovo mondo, mentre l'ultima che ha visto il pianeta madre, la generazione zero, è ormai estinta da tempo. la vicenda inizia quando i membri della quinta generazione sono appena bambinə e la vita nell'astronave mondo è l'unica realtà conosciuta ormai da decine e decide di anni. uomini e donne natə, vissutə e mortə senza aver sperimentato mai nulla più che i video immersivi che simulano la vita sulla terra, immaginando un mondo che non avrebbero mai raggiunto.
eppure, sulla discovery non si conosce il senso di claustrofobia né quello di oppressione: generazione dopo generazione, la vita in viaggio si è normalizzata fino al punto da dar vita a una sorta di religione fondata proprio sul concetto di viaggio infinito verso la beatitudine, lontano dai pericoli, dalla miseria, dalle malattie e dalle difficoltà da cui l'astronave lə ha sempre protettə e che però potrebbero ripresentarsi nel nuovo mondo.
costruendo una comunità e una politica fondata sulla cooperazione e sull'integrazione di tutti i membri nella società, su un obiettivo comune, sul riutilizzo virtuoso delle risorse le guin riflette con noi sull'utopia anarchica dell'autogoverno, ponendo dubbi sempre molto interessanti - come è pure in i reietti dell'altro pianeta - su quanto possa essere soddisfacente vivere nel migliore dei sistemi possibili.
purtroppo non tutti i racconti, come accennavo su, sono all'altezza di quelli di cui ho brevemente parlato qui. forse è una questione di gusto personale, però avrei preferito una raccolta più breve ma con un livello sempre così alto.
fisica della malinconia
non mi importa se il libro dice che è un mostro. sono stato in lui e conosco tutta la storia. c'è alla base un grande peccato e una calunnia, una straordinaria ingiustizia. io sono il minotauro e non sono assetato di sangue, non voglio divorare sette giovani e sette fanciulle ogni volta, non so perché sono rinchiuso, non ho alcuna colpa... e ho una paura bestiale del buio.
un po' romanzo, un po' memoir, un po' raccolta di appunti e riflessioni, fisica della malinconia è un lungo monologo di quello che fu un bambino dotato di un'empatia così forte da riuscire a fare propri persino i ricordi altrui più lontani nel tempo, trasformando in suoi gli eventi vissuti da suo nonno quando era bambino, quelli di una lumaca o di un altro bambino, quello che per via della sua testa di toro venne chiuso in un labirinto buio e chiamato mostro fino al momento del suo assassino. quello che fu quel bambino è adesso un uomo che ha perduto quella capacità - o, si potrebbe anche dire, è guarito dalla sua patologia - e che adesso colleziona storie, riempiendo quaderni su quaderni dei ricordi altrui.
tra storia e ricordo, tra realtà e mitologia, andiamo avanti e indietro tra il labirinto del minotauro e la casa in cui il suo giovane nonno, ai tempi in cui era soldato, era stato salvato e amato da una donna che parlava un'altra lingua.
il buio del labirinto, il buio della casa della sua infanzia al piano seminterrato, il buio a cui il nonno è costretto ad abituarsi per non farsi accusare di diserzione: il senso di smarrimento è il filo rosso che collega diversi piani temporali e i diversi piani di realtà, che tiene insieme le pagine di questo libro e che ci guida, quasi ipnotizzati, dal principio alla fine.
la lingua di gospodinov è incantevole e mi ha fatto venire voglia di leggere anche gli altri suoi libri ma a volte questo mi ha un po' stancata, si ripiega troppo su sé stesso, ingarbugliando memoria e sogno, ricordi ed empatia e perdendosi in lunghe pagine che mi facevano venire voglia di tornare indietro o correre avanti. bello, sì, ma avrei preferito che mantenesse un po' di più la messa a fuoco.
amatka
vanja andò a prendere le sue valigie e slacciò le fibbie. una di queste sembrava sul punto di cedere. era stato il regalo di qualcuno che a sua volta l'aveva ereditata da qualcun altro, e così via. in ogni caso, non sarebbe durata a lungo: la parola valigia era quasi illeggibile. avrebbe potuto ricalcare le lettere, certo, ma la domanda era cosa sarebbe accaduto prima - la valigia si sarebbe semplicemente sgretolata per l'usura oppure si sarebbe dissolta, una volta riposta. avrebbe dovuto distruggerla.«valigia» sussurrò vanja per mantenerla nella sua forma ancora per un po'. «valigia, valigia».
quando un libro promette di avere una trama originale che mi incuriosisce in modo particolare cerco di evitare di leggere commenti e recensioni prima di iniziarlo, così da non farmi idee preconcette e aspettative di vario tipo. con amatka è stato così, sapevo solo che era ambientato in un mondo in cui è necessario nominare le cose per evitare che queste svaniscano. non avevo capito bene come avrebbe dovuto funzionare questa regola ma non ho voluto indagare oltre.
effettivamente è stato utile arrivare alla prima pagina con meno informazioni possibili perché il sistema descritto da karin tidbeck, anche se non è originalissimo, è parecchio interessante, e il suo punto di forza non si limita esclusivamente a questa strana peculiarità degli oggetti.
la storia di vanja è ambientata in un qualche pianeta - o parte di un pianeta, questo non è chiarissimo - in cui gli oggetti perdono la loro forma se non vengono nominati, tornando alla materia primigenia con cui sono stati creati, una sostanza informe e molliccia non meglio identificata che sembra comporre qualsiasi cosa, a esclusione degli artefatti provenienti dal vecchio mondo - che supponiamo essere la terra. in questo pianeta non esistono altri animali se non gli esseri umani, divisi in colonie le cui funzioni principali sono chiaramente assegnate: essre, balbit, odek e, appunto, amatka, più una quinta colonia ormai distrutta, di cui la storia ufficiale dice poco o nulla, ma che - non vi dico come né perché - sarà importantissima per lo svilupparsi della trama.
la vita nelle colonie è fortemente comunitaria, lə bambinə vivono tuttə insieme in delle case apposite lontanə dallə genitorə per scongiurare inutili attaccamenti ed eventuali traumi, ogni persona ha un preciso compito da svolgere e tuttə lavorano per il bene collettivo, tenendo sempre a mente l'impresa eroica dei pionieri, di chi cioè fondò le colonie, permettendo a tuttə adesso di vivere vite piene e sicure.
giunta ad amatka, vanja svolge correttamente la sua ricerca sulle abitudini igieniche commissionata da essre, per capire che tipo di prodotti potrebbe essere utile commercializzare nella colonia, ma alla fine decide di rimanere con le persone scelte per ospitarla: nina, che lavora come dottoressa, ivar, assegnato alle coltivazioni di funghi - con cui ad amatka non solo si cucina praticamente tre quarti delle possibili pietanze, ma ci si fa praticamente di tutto, saponi compresi - e la vecchia ulla, anche lei medico ma ormai in pensione, che sembra conoscere molti dei segreti legati ad amatka e al passato delle altre colonie, soprattutto della quinta...
è per amore di nina che vanja resta, e tutto sembrerebbe il preludio di una lunga e serena felicità se non fosse che la storia di amatka e delle colonie tutte comincia a venire alla luce, tra vecchi libri destinati a scomparire e strane costruzioni segrete nascoste sottoterra...
il senso di questo libro sta tutto nelle parole, in quelle che l'autrice utilizza per raccontare la storia, certo, ma soprattutto in quelle che lə personaggə sono liberə o meno di pronunciare. la materia presente nelle colonie risponde alle parole, prende forma grazie ad esse e in loro assenza si disgrega. il mondo esiste perché viene nominato, proprio come avviene nel mito ebraico della creazione, dio "disse" e la luce, il cielo, la terra, gli alberi, gli animali, la vita, ogni cosa "fu". il potere che ognunə dellə abitantə delle colonie è immenso e dunque deve essere controllato perché chi ha il potere di fare ha anche quello di disfare, e infatti l'uso improprio delle parole può costare caro, carissimo.
possiamo dire che amatka è una distopia se ci fermiamo al suo sistema politico, all'annullamento richiesto alla dimensione individuale di ciascunə dellə colonə a beneficio della comunità, ma diventa quasi una riflessione teologica - o più semplicemente un fantasy - se osserviamo il rapporto tra le parole, tra il potere che ha chi le pronuncia, e la realtà circostante: avere il potere di un dio significa andare oltre la propria umanità e quindi rinunciarvi, perderla irrimediabilmente e per sempre.
personalmente avrei preferito che questa doppia identità del romanzo fosse rimasta più in equilibrio mentre invece il finale si sbilancia troppo a beneficio della seconda, lasciandomi con tante, troppe domande ma con un senso di stupore enorme, che mi ha comunque fatto apprezzare tantissimo la lettura.
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È stato bello confrontarmi con te su Ritrovato e Perduto, come sai abbiamo apprezzato gli stessi racconti
RispondiEliminasì ed è per questo che la mia wishlist è per buona parte una copia del tuo blog 🤣❤️
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