mercoledì 29 gennaio 2025

katie

sapeva che non c'era niente di cui vergognarsi a essere poveri, ma non poté evitare una fitta al pensiero dei continui sacrifici cui erano costrette lei e la madre, per la scarsità e precarietà di mezzi. a volte le capitava di sognare a occhi aperti gli abiti del guardaroba di jewel. sognava di visitare new york e di vedere l'oceano. sognava una vita che non fosse tutta fatica e privazioni. sognava cento sogni al giorno, uno più bello dell'altro, ma ciò che non si sarebbe mai sognata era quanto fosse a portata di mano la possibilità di esaudirli.


con katie torniamo ai paesaggi dell'america dell'800 a cui ci ha abituatə michael mcdowell, un paese di eccessi, in cui le classi sociali si distinguono nettamente, dove lə poverə arrancano avanti giorno per giorno strappando qualche ora di vita in più alle malattie, alla disperazione e alla fame mentre lə ricchə si annoiano tra serate di gala, pizzi e gioielli.
se però ne gli aghi d'oro le disuguaglianze sociali e un certo tono politico erano elementi portanti della trama del romanzo e in gioco trovavamo due famiglie rivali, in katie lo status di ogni individuo sembra più voluto da un capriccio del destino che l'espressione di un preciso sistema sociale, e la lotta si consuma tutta tra due donne: katie e philomena.
quello che accomuna i due romanzi sono, prevedibilmente, i numerosi ed efferati crimini che si consumano tra le loro pagine - che mcdowell sa descrivere con uno stile orripilante quanto ipnotico e affascinante - e lo stesso, identico (e in qualche modo preoccupante) senso di soddisfazione che ci dà arrivare alla fine e poter assaporare una sorta di rivalsa.

katie la conosciamo nel prologo, quando è ancora bambina e manifesta già un'indole psicotica che rivela il suo potenziale di serial killer. philo, invece, la incontriamo all'inizio della storia vera e propria, ed è la tipica ragazza povera, poverissima, ma volenterosa che sogna di cambiare la sua vita senza sapere bene come riuscirci e che è sempre stata circondata di persone la cui unica funzione - dal punto di vista narrativo, si intende - è quello di impedire ogni cambiamento: una madre arrendevole, un padrone di casa impietoso e arrogante, una non-amica acida e cattiva.
le vite delle due ragazze potrebbero non incrociarsi mai se non fosse per una complessa serie di morti, vedovanze e nuove parentele acquisite che portano katie a diventare la nipote del nonno di philo che, dopo anni e anni di silenzio, scrive alla figlia - la madre di philo - per farsi salvare dalle grinfie della nuora, del suo nuovo marito e della sua figliastra che lo tengono praticamente prigioniero nella sua stessa casa, lasciandolo sopravvivere quel tanto che basta finché non si deciderà a firmare il testamento e lasciare tutto a loro.

nella comparsa a sorpresa del nonno e nella promessa di una fortuna economica per nulla indifferente, philo vede non soltanto la possibilità di migliorare sensibilmente il proprio status sociale ma anche, e soprattutto, l'occasione di vedere finalmente sua madre felice, di nuovo riunita al padre perduto tanti anni prima. fingendosi una domestica per andare in soccorso del nonno, philo fa la conoscenza con la famiglia slape: richard, padre naturale di katie, e hannah, moglie di seconde nozze e matrigna di katie che, fin da piccolina, aveva cresciuto insegnandole ogni possibile crudeltà e disprezzo.
il terzetto è l'incarnazione del male, della cattiveria e - soprattutto nella figura di richard - della stupidità. il piano di philo per salvare il nonno - e i suoi soldi - viene scoperto presto: il povero vecchio fa una fine da incubo mentre philo viene accusata di un delitto mai commesso e ritorna non soltanto a essere povera in canna, ma braccata dalla polizia e da katie, la folle, brutale e pericolosissima "cugina".

da questo momento in poi, philo e katie viaggeranno su due binari paralleli, incrociandosi e raccogliendo l'una i resti dei delitti dell'altra, spostandosi dalla provincia alle affollatissime strade di new york, lì dove la vita corre avanti frenetica e ogni momento può essere quello decisivo per chiunque: si può incontrare un'amica sincera, trovare l'amore, diventare la segretaria personale di una facoltosa benefattrice, assistere a ogni genere di spettacolo teatrale, farsi predire il futuro, restare coinvoltə in incidenti mortali o finire due metri sotto il pavimento di una desolata cantina.

katie è un romanzo che, come tutti quelli nati dalla penna di mcdowell e già pubblicati in italiano negli ultimi anni, si fa leggere senza lasciare allə lettorə un solo momento di tregua, affastellando colpi di scena e turpi omicidi mentre la narrazione entra ed esce nell'interiorità dellə personaggə, mostrandoci le loro virtù, le debolezze e - soprattutto, perché in fondo è questo che cerchiamo nei libri di mcdowell - l'orrore.
personalmente, per quanto l'abbia trovato estremamente appassionante (quasi ossessionante!), non lo ritengo all'altezza di blackwater o de gli aghi d'oro dove, rispettivamente, l'aspetto magico/sovrannaturale o il tema politico riuscivano a dare qualcosa di più al racconto. katie è la storia dello scontro tra una furiosa serial killer e una ragazza di sani principi che vuole una vita migliore, due personegge che però rimangono confinate nelle loro definizioni e che non tradiscono mai il loro ruolo.
consigliato allə fan dell'autore, ma sicuramente non è da questo che partirei per iniziare a conoscerlo.

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venerdì 24 gennaio 2025

ultima fermata prima del vuoto

e se solo una di quelle nuove persone ipotetiche ne salvasse un’altra, con una parola, un’azione o un singolo atto sconsiderato? quanti futuri potrebbe portare dentro di sé quel minuscolo neonato insanguinato? quante vite potrei aggiungere al conteggio?

il conteggio. tutta la vita di decem rea sembra girare attorno al conteggio, un modo per riportare equilibrio nella sua vita e, in qualche modo, all'universo.
tenere fede al suo proposito non è facile e per riuscirci si ritroverà imbarcata in un'avventura folle il cui obiettivo non è più semplicemente sopravvivere e aggiungere numeri al conteggio, ma salvare la generale.

ultima fermata prima del vuoto è definito un western fantascientifico, ma aggiungerei all'etichetta anche punk e totalmente matto. per tutto il tempo, all'inizio della storia, ho pensato che questo libro stesse rischiando di essere un minestrone di cose già viste, da ken il guerriero a kids with guns passando per star warsthe mandalorian, mad max e the last of us. in effetti, stark holborn pesca a piene mani da immaginari che conosciamo bene: le ambientazioni desertico-western, le bande di tagliagola (taglia-un-po'-di-tutto-e-raccatta-quello-che-puoi-che-si-vende-bene a dire il vero) che arrivano all'improvviso in piena notte, la figura dell'eroe, anzi dell'eroina in questo caso, solitaria e con un passato misterioso e non del tutto limpido alle spalle che si ritrova, suo malgrado, a proteggere una bambina a dir poco speciale da chi le sta dando la caccia senza pietà, e un mucchio di personaggə impossibili da definire buonə o cattivə.

eppure, ultima fermata prima del vuoto è soltanto sé stesso. holborn ha imparato tantissimo da un mucchio di narrazioni che l'hanno preceduta e ha dato alla luce un romanzo con una sua identità ben definita, con personaggə solidə e una trama che, nonostante viaggi a velocità prossime a quella del suono, difficilmente perde un colpo.

il racconto si apre nel deserto delle desolazioni, il faro della narrazione puntato fisso su decem rea. alle spalle, un passato misterioso di cui è impossibile scuotersi la colpa di dosso, davanti a lei l'oscurità della notte e del futuro, tutto intorno i se, entità quasi magiche - che spostano ultima fermata prima del vuoto dalla fantascienza nuda e cruda verso contaminazioni più fantasy - che si insinuano nella mente, mostrano i possibili futuri e, forse, contribuiscono a trasformarli in presente. è da qui, in questo ansiogeno buio rischiarato da un fuoco minuscolo, che decem nota la nave spaziale schiantarsi sul pianeta. l'esperienza le dice che avvicinarsi è un suicidio, il conteggio le ricorda che non ha scelta. il disastro è totale, ci sono solo due sopravvissutə: un uomo, un soldato, pronto a esalare il suo ultimo respiro e una bambina, minuscola, avvolta in una divisa troppo grande per lei, priva di sensi.

l'incidente non è stato un incidente e gabi, la bambina, non è nulla di neppure lontanamente simile a una bambina come tutte le altre. nella lotta tra l'accordo e i senza confini che ha scosso l'universo e i cui effetti si ripercuotono ancora sulle vite dellə sopravvissutə, la forza minoritaria è sempre stata per decem qualcosa di molto simile a una leggenda: bambinə geneticamente modificati e potenziati per diventare soldatə praticamente imbattibili, che puntano non soltanto sulle loro capacità affinate dalla biotecnologia dell'accordo ma anche, e soprattutto, sullo shock di chi si ritrova davanti a unə bambinə sul campo di battaglia.

gabi è una di loro e, per qualche motivo, l'accordo la vuole morta. nonostante l'incontro con decem prima e tutto il periodo che passano insieme poi non sia esattamente rose e fiori, tra le due si instaura una sorta di fiducia dettato dalla necessità di sopravvivere, per gabi, e di onorare le proprie promesse, per decem.

il viaggio - o la fuga, se preferite - attraverso scenari che sembrano fatti apposta per vedere morire quante più creature possibili, è frenetico, totalmente matto, una corsa infinita verso una meta che sembra allontanarsi come fosse uno scherzo. ma è anche costellato di incontri con personaggə che, come tutto in questo romanzo, sono impossibili da definire secondo gli standard di un'etica che non tiene conto della necessità impellente di sopravvivere minuto dopo minuto.
ai morti non interessano i motivi per cui li hai uccisi.
holborn ci prende al volo per una manica e ci butta dentro a un mondo che gira troppo veloce, dove nessunə ti spiega nulla e ti conviene aprire bene gli occhi e cogliere ogni dettaglio per non perderti nel nulla. non è solo una metafora per rendere il senso di urgenza che pervade tutta la narrazione, ma è esattamente quello che si prova durante la lettura: lo show don't tell è portato ai massimi livelli, non abbiamo possibilità di distrarci nemmeno per un momento perché nessuna voce paziente ci spiegherà cosa diamine stiamo leggendo.

ve lo dico io, in breve: un romanzo folle e velocissimo che un attimo ci fa sentire a casa nel nostro bel nerd-mondo, l'attimo dopo ci sbatte in faccia che no, questa non è la solita storia di buonə e cattivə che si affrontano a colpi di raggi laser, questa è una storia che parla dell'incomprensibile e incoerente complessità degli esseri umani, di colpa e di redenzione, di cosa vuol dire cercare sé stessə - come personaggə, come creatorə di mondi fantastici, come lettorə e appassionatə di fantastico - e provare a definire la propria identità.

martedì 21 gennaio 2025

l'airone della pioggia

ma ancora più curioso fu quel che videro dopo: un airone gigantesco, del colore della pioggia, che con un balzo fulmineo emerse all'improvviso dall'acqua senza lasciare nemmeno un'increspatura.

mentre leggevo l'airone della pioggia immaginavo i paesaggi e lə personaggə come se fossero quellə di un film dello studio ghibli. le atmosfere e le tematiche in effetti si avvicinano moltissimo a quelle che si ritrovano nei film diretti da miyazaki, ma declinate in modo molto più cupe e adulte.
già dall'inizio, da quel capitolo zero che somiglia a una favola o a una leggenda antica, robbie arnott ribalta i toni del racconto popolare. c'era una volta una contadina molto povera e sfortunata. un giorno l'airone della pioggia decise di aiutarla, e la contadina iniziò a vivere una vita felice e prospera, senza avidità, condividendo con lə altrə la sua nuova fortuna.
ma gli esseri umani sono creature capaci di invidia, gelosia e crudeltà, e per colpa di uno di loro, della sua rabbia cieca e dei suoi atti scellerati, la contadina tornò a vivere nella sfortuna e nella miseria, abbandonata dall'airone della pioggia, fino al giorno in cui incontrò una morte solitaria e miserabile.

misterioso e capriccioso come un dio, l'airone della pioggia è una creatura nata nella leggenda. o almeno, ren l'ha sempre pensato così, fino al giorno in cui, dopo un'interminabile scalata tra le montagne quando era ragazzina, sua nonna non la condusse fino a dove viveva l'airone.
vivo, reale, lì davanti ai suoi occhi questa creatura impossibile, pallida e lucente, appariva proprio come nelle leggende: il corpo fatto d'acqua, capace di lasciare filtrare attraverso di sé i raggi del sole, di librarsi in volo e di fluire come un ruscello. non poteva più dubitare, adesso, della sua esistenza, né faticava a credere che avesse potere sulla pioggia e sulla siccità, sull'abbondanza e la carestia, sulla vita e sulla morte.

adesso, ren vive sulla montagna, lontana dal resto dellə abitanti del paese e dalla guerra. le sue giornate sono difficili e pericolose, il suo tempo è tutto votato alla caccia e alla raccolta, alla sopravvivenza che in buona parte dipende anche dalla sua amicizia con barlow, un uomo che le procura quello che non può trovare nei boschi in cambio di qualcuna delle sue prede.
la loro è un'amicizia strana, fatta di silenzi interrotti da poche parole, solo se necessario. ren non vuole conoscere la sua vita, non vuole parlare della sua famiglia né di suo figlio: sa, per esperienza, di quali follie siano capaci lə giovanə, quanto sia facile per loro scegliere male e ferire chiunque pur di seguire ostinatamente le loro idee.
le giornate di ren sono difficili e pericolose ma immerse in paesaggi selvaggi, ostili e bellissimi. robbie arnott sa raccontare il bosco con parole che sanno farci sentire il suono dei ruscelli e respirare l'aria fresca che passa tra le foglie. la vita di ren è spalancata sull'enormità dell'essenziale: procacciarsi il cibo, trovare rifugi caldi e sicuri, difendersi dai pericoli, strappare alla grandezza del mondo un giorno dopo l'altro.
ma il giorno in cui un manipolo di soldati, guidati da una donna giovane, bellissima e spietata, segna la fine di tutto. ferita e braccata, ren è diventata la preda della comandante harker e del suo obiettivo: catturare l'airone della pioggia.

la storia di harker inizia lontano dal bosco, al nord del mondo, in un paesino gelido accovacciato sulle rive del mare. lì, la gente custodiva gelosamente il segreto dell'inchiostro che commerciava con il resto del mondo, garantendosi prosperità persino in un angolo di mondo così sperduto e ostile.
orfana, harker viveva con la zia, la donna che le aveva insegnato il segreto della pesca e della produzione d'inchiostro e che rideva di ogni cosa, in modo incontrollabile e spesso incomprensibile.
la vita della piccola harker e di tutto il villaggio viene stravolta dall'insistenza di un forestiero deciso a massificare la produzione di inchiostro e di arricchirsi con quel segreto che nessunə era disposto a condividere con uno straniero.
ma l'avidità, si sa, non porta altro se non disgrazie e fallimenti e harker, perduto il suo posto sul mare, inizia a viaggiare, diventa una soldata, si unisce alla guerra e si piega agli ordini di chi, probabilmente, non avrebbe mai ascoltato quando era bambina.

l'airone della pioggia è stato definito una eco-favola ma credo che meriti qualcosa di più di un'etichetta così facile. robbie arnott ha uno stile asciutto, essenziale ma allo stesso tempo poetico ed evocativo, capace di mostrare paesaggi incantevoli e spaventosi, e di raccontare le turbolenze che investono l'animo umano. le storie di ren e harker, il modo in cui i loro destini si incontrano e si intrecciano quasi come fossero divinità capricciose a orchestrarne le coincidenze, dà al romanzo un tono sì fiabesco, ma più vicino al mito che al racconto per bambinə.

durante la lettura, l'incanto per i paesaggi naturali e gli elementi quasi magico-mitologici che ne fanno parte si contrappone con violenza al senso di rabbia e frustrazione che nasce dalla riflessione sull'avidità, sullo sfruttamento impietoso, sul desiderio di dominio di pochə che però stravolge la realtà di moltə, offendendone la memoria e mortificandone il futuro.
ci sono infiniti modi per criticare gli effetti devastanti del capitalismo, della guerra e del colonialismo ai danni delle popolazioni, umane e non, e delle loro terre. scegliere tra tutti questi il romanzo - focalizzarsi cioè su storie individuali e scandagliarle anche dal punto di vista più intimo, evocare immagini così nitide ed emozioni così forti - è forse la via più breve per toccare i nostri sentimenti e risvegliare la nostra più profonda consapevolezza del mondo in cui viviamo.
l'airone della pioggia è più che un'eco-favola, è una denuncia contro la frattura tra umano e non-umano in nome del potere e della ricchezza, una denuncia rabbiosa e addolorata che però si concede la speranza di una redenzione.

giovedì 16 gennaio 2025

il mondo della foresta

il terreno non era asciutto e solido, ma umido ed elastico, prodotto dalla collaborazione degli organismi viventi con la lunga complicata morte delle foglie e degli alberi; e da quel ricco cimitero crescevano sia alberi di trenta metri, sia minuscoli funghi che spuntavano in cerchi larghi poco più di un centimetro. l'odore dell'aria era sottile, vario e dolce. la vista non spaziava mai, a meno che non si guardasse in alto, fra i rami, e non si scorgessero le stelle. nulla era puro, secco, arido, netto. le rivelazioni mancavano all'appello. non esisteva la visione di tutte le cose nello stesso tempo: non c'erano certezze.

una delle ultime letture di fine 2024 - e, soprattutto, uno dei libri che è finito dritto dritto nella mia lista di preferiti dell'anno e dei miei preferiti in generale - è questo breve ma densissimo romanzo di ursula k. le guin, il mondo della foresta, il sesto libro del ciclo dell'ecumene (di cui aspettiamo ancora diverse riedizioni), scritto - come spiega l'autrice nell'introduzione, in un momento delicatissimo per la storia recente dell'umanità, ovvero durante gli anni della guerra in vietnam e durante i primi tempi in cui si iniziava a parlare di disastri ecologici e di necessità di tutela degli ecosistemi del nostro pianeta.

sebbene lei si rimproveri di aver dato un tono troppo moralista a questo racconto, io credo che sia riuscita a scrivere un piccolo capolavoro che è formalmente un romanzo e che, tra le righe, svela un bellissimo manifesto che riassume alcuni dei temi fondamentali delle sue opere (che sono poi, necessariamente, riferiti agli ideali a cui si è sempre rifatta come persona): l'anticolonialismo, il pacifismo, l'ecologismo, la lotta contro ogni forma di discriminazione e sopraffazione.

ma quello che più di ogni altra cosa mi ha colpita de il mondo della foresta è il modo in cui la sua penna sia riuscita a incarnare due personaggi, e quindi due tipologie di pensiero, così straordinariamente opposte e con una tale efficacia: il romanzo si apre presentandoci il capitano davidson, un personaggio quasi grottesco e caricaturale se non fosse così plausibilmente reale.
davidson è uno dei militari che tengono sotto controllo il pianeta colonia athshe - chiamato dai terresti new tahiti - il rigoglioso mondo-foresta (è interessante e significativo il gioco di parole fatto con il titolo originale: the word for world is forest) che la terra ha colonizzato e trasformato nella sua personale riserva di legname, un materiale ormai impossibile da reperire, il cui valore è più alto di quello di qualsiasi metallo o minerale prezioso.
athshe però, non è semplicemente una legnaia da cui prelevare risorse a piacimento: qui vivono lə athshianə, una delle tante possibili declinazioni della stirpe hainita, che si è adattata a vivere su un pianeta che è, come spiega il titolo, un'enorme foresta.
piccolə di statura e ricoperti di una soffice peluria verde, vengono chiamatə - con una certa sufficienza che sfocia in un non troppo celato disprezzo - creechie dai coloni terrestri. quello dellə athshianə è un popolo intrinsecamente pacifico, strutturalmente incapace di violenza, che dà una straordinaria importanza all'interiorità personale di ogni individuo, alla sua capacità di connettersi con un piano di esistenza più profondo che si mette in atto attraverso il sogno e, più precisamente, nella capacità di sognare con lucidità e di ricordare i sogni come strumento di consapevolezza e conoscenza di sé e della realtà tutta.
un modo di vivere talmente differente e distante da quello di davidson e dal suo esercito da risultare del tutto incomprensibile per questi colonizzatori profondamente razzisti e per nulla interessati a costruire dei rapporti pacifici e costruttivi con la popolazione indigena.

una delle cose che più mi piace di le guin è la sua attenzione antropologica per le strutture sociali e culturali che descrive nei suoi romanzi che rendono molto più realistici i mondi in cui si svolgono le vicende come, ad esempio, succede quando ci descrive il modo in cui lə athshianə si dividono i compiti tra maschi e femmine, quando ci spiega il loro rapporto con i sogni e l'influenza che questi hanno nella loro vita, ma anche quando ci mostra le logiche del pensiero razzista, oppressivo e coloniale dei terrestri di base a athshe.

i popoli de il mondo della foresta sono agli antipodi sotto molti punti di vista e il loro incontro sarà inevitabilmente catastrofico. l'arrivo dei coloni terrestri e il loro comportamento oppressivo e sfruttatore farà scoprire allə athshianə la violenza per la prima volta. dopo gli inutili, efferati abusi che sono costrettə a subire, i loro sogni iniziano a cambiare, a partire da quelli di selver, un athshiano vittima della crudeltà di davidson, che diventa così - agli occhi dellə athshianə - un dio, ovvero un'entità capace di mutare radicalmente e permanentemente la realtà.

la metafora con la guerra del vietnam - ma che si può traslare in ogni altro contesto geografico e in ogni altro periodo storico che ha visto (e sta vedendo) gli effetti della colonizzazione occidentale - è più che mai chiara: un popolo pacifico viene occupato, oppresso, violentato, ucciso, sfruttato e disumanizzato, la sua terra distrutta e depredata da uomini che credono di agire in nome di un qualche diritto che li colloca al di sopra di ogni legge e di ogni etica. quel popolo è costretto a stravolgere sé stesso, la propria natura, la propria fede, le proprie credenze e abitudini per fronteggiare il nemico e resistere all'insensatezza crudele dei coloni.
chi non aveva mai neppure immaginato di prendere una vita adesso impara a pianificare attentati il più possibile letali, con il solo intento di salvaguardare la propria sopravvivenza e quella del pianeta stesso, consapevole del fatto che non vi è alcuna differenza né possibilità di separazione tra le due cose.
le guin ci dice che non c'è possibilità che i coloni agiscano in modo differente: per quanto uno dei personaggi terrestri, il dottor lyubov, possa essere interessato a comprendere lə athshianə e il loro mondo e a istaurare una convivenza pacifica, il suo stesso approccio scientifico viene fatto oggetto di appropriazione da parte dei soldati, che sfruttano le conoscenze di lyubov per realizzare i propri progetti (proprio come racconta la storia dell'antropologia e il suo pessimo uso soprattutto tra fine '800 e inizio '900).

le guin non concede alcuna redenzione al contingente militare terrestre su athshe proprio come non ne concede al governo del suo paese: l'oppressione di altri popoli e lo sfruttamento insensato e sfrenato delle risorse non possono che condurre a una catastrofe da cui non si può tornare indietro, che stravolge e avvelena sia le vittime che i carnefici: selver non potrà mai affrancarsi dal male che ha commesso, anche se è stato fatto per liberare il suo popolo, lə athshianə tuttə non potranno tornare al modo in cui vivevano prima di scontrarsi con i terrestri; e allo stesso modo i terrestri non potranno mai cancellare i crimini commessi su athshe.
proprio come l'america - e l'occidente tutto - non sarà mai assolta per la guerra in vietnam e per quella che ha portato ovunque in giro per il mondo, per come ha distrutto le risorse di mezzo pianeta, per come ha dominato, sfruttato e ucciso.
«a volte arriva un dio» disse selver. «porta un nuovo modo di fare una cosa, o una nuova cosa da farsi. un nuovo tipo di canzone, o un nuovo tipo di morte. la porta facendole attraversare il ponte che c'è tra il tempo del sogno e quello del mondo. e, una volta che l'abbia fatto, è fatto. non puoi prendere le cose che esistono nel mondo e cercare di ricacciarle nel sogno, di trattenerle all'interno del sogno mediante pareti e finzioni. questa è pazzia. ciò che è, è. è inutile adesso fingere, adesso, che non sappiamo ucciderci l'un l'altro»
è passato quasi mezzo secolo dalla prima pubblicazione di the word for world is forest e ancora, nonostante le centinaia di migliaia di voci che si alzano contro la colonizzazione di popoli e terre non si siano mai zittite per un solo momento, i nostri governi continuano ad agire come i davidson di turno, schiacciando, opprimendo e distruggendo. athshe insegna però che il momento della liberazione, per quanto difficile e sofferto sia, arriva.
ecco perché quelle voci non taceranno mai, ed ecco perché l'umanità continuerà a raccontare storie come questa, perché continuerà a protestare, a sabotare, a boicottare, a lottare.

domenica 5 gennaio 2025

commenti randomici a letture randomiche (90)

inizio questo post senza sapere quando lo finirò o se ne pubblicherò un altro prima perché sono entrata in questo 2025 portandomi dietro quintali d'odio dal 2024 per tutto quello che riguarda i social, la bolla, il bookstagram, e con la nostalgia per quello che erano i blog e che non sono più e blablabla. e sì, forse è che ormai sono solo troppo vecchia e non so adattarmi al cambiamenti velocissimi delle realtà online, sono rimasta aggrappata a qualcosa che non esiste più, però che tristezza.
vabbè, il punto non è questo.

vi racconto in breve tre libri che ho letto a fine dell'anno scorso, che vi consiglio ma con qualche riserva. sono tutti e tre dei poteva essere bellissimo ma.

lo specchio perfetto del mio umore, insomma.

 ritrovato e perduto 
le parti azzurre erano dove c'era tanta acqua, simili alle cisterne ma più profonde, e le parti di altri colori erano terra, simili ai giardini di terriccio ma più grandi. il cielo non riusciva proprio a capirlo. il cielo era una seconda palla che circondava la palla di terriccio, diceva suo padre, ma nel modellino del globo non potevano mostrarlo perché di fatto non si vedeva. era trasparente, come l'aria. era aria. però azzurra. una palla di aria, e da sotto appariva azzurra, e stava fuori dalla palla di terriccio. aria esterna. che cosa strana.

questo povero libro mi ha aspettata per anni e nel frattempo ha affrontato cinque traslochi. la sua mole mi ha sempre spaventata però le vacanze di natale mi sembravano il periodo perfetto per affrontarlo. ero sicura che avrei adorato ogni pagina di ritrovato e perduto - figuriamoci, è ursula k. le guin! - invece mi è difficile dare un giudizio perché se da un lato ci sono racconti meravigliosi, dall'altro ce ne sono anche alcuni che mi hanno sfiancata e che ho addirittura mollato a metà, se non meno.
capita spesso nelle raccolte di racconti che il livello non sia sempre uguale, però forse è la prima volta che trovo un'antologia così altalenante.

la raccolta si divide in racconti non di genere, altri di fantascienza - legati e non al ciclo dell'ecumene - e altri fantasy, attinenti all'universo di terramare. i miei preferiti sono quelli in cui viene maggiormente fuori l'attenzione antropologica di le guin (ricordiamoci che era figlia di alfred kroeber, uno degli allievi del padre dell'antropologia moderna franz boas, convinto antirazzista a cui dobbiamo pagine meravigliose che smontavano le teorie cosiddette scientifiche razziste in voga nell'ottocento ben prima che la genetica facesse la sua comparsa), come la questione di seggri - ambientato in un mondo in cui il rapporto tra uomini e donne è di 1 a 16 e dove, quindi, l'appartenenza al genere maschile determina in modo preponderante il futuro dei socializzati maschi e dove i rapporti relazionali sono pesantemente influenzati da questa proporzione - o una storia alternativa o un pescatore del mare interno, in cui il matrimonio è un complesso sistema di relazioni endo ed esogamiche a quattro, dove il concetto stesso di amore è qualcosa di molto differente da quello che siamo abituatə a pensare. molto bello anche liberazione di una donna, un racconto che, attraverso la storia di una donna che da schiava impara a conoscere la libertà, invita a riflettere sul significato che diamo al concetto di libertà stessa che, per le guin, dipende in buona parte dalla possibilità di conoscere e di dotarsi di strumenti intellettuali per comprendere le strutture del mondo in cui viviamo.

il mio racconto preferito è però l'ultimo, più una novella o un romanzo breve che un racconto a dire il vero, paradisi perduti: setting della storia è un'astronave-mondo, la discovery, in viaggio verso un nuovo mondo abitabile, partita da una terra ormai in crisi in cui la vita umana è seriamente minacciata dal pericolo dell'estinzione. l'enorme distanza da percorrere, però, prevede che sarà la sesta generazione quella che per prima potrà vedere il nuovo mondo, mentre l'ultima che ha visto il pianeta madre, la generazione zero, è ormai estinta da tempo. la vicenda inizia quando i membri della quinta generazione sono appena bambinə e la vita nell'astronave mondo è l'unica realtà conosciuta ormai da decine e decide di anni. uomini e donne natə, vissutə e mortə senza aver sperimentato mai nulla più che i video immersivi che simulano la vita sulla terra, immaginando un mondo che non avrebbero mai raggiunto.
eppure, sulla discovery non si conosce il senso di claustrofobia né quello di oppressione: generazione dopo generazione, la vita in viaggio si è normalizzata fino al punto da dar vita a una sorta di religione fondata proprio sul concetto di viaggio infinito verso la beatitudine, lontano dai pericoli, dalla miseria, dalle malattie e dalle difficoltà da cui l'astronave lə ha sempre protettə e che però potrebbero ripresentarsi nel nuovo mondo.
costruendo una comunità e una politica fondata sulla cooperazione e sull'integrazione di tutti i membri nella società, su un obiettivo comune, sul riutilizzo virtuoso delle risorse le guin riflette con noi sull'utopia anarchica dell'autogoverno, ponendo dubbi sempre molto interessanti - come è pure in i reietti dell'altro pianeta - su quanto possa essere soddisfacente vivere nel migliore dei sistemi possibili.

purtroppo non tutti i racconti, come accennavo su, sono all'altezza di quelli di cui ho brevemente parlato qui. forse è una questione di gusto personale, però avrei preferito una raccolta più breve ma con un livello sempre così alto.

 fisica della malinconia 

non mi importa se il libro dice che è un mostro. sono stato in lui e conosco tutta la storia. c'è alla base un grande peccato e una calunnia, una straordinaria ingiustizia. io sono il minotauro e non sono assetato di sangue, non voglio divorare sette giovani e sette fanciulle ogni volta, non so perché sono rinchiuso, non ho alcuna colpa... e ho una paura bestiale del buio.

un po' romanzo, un po' memoir, un po' raccolta di appunti e riflessioni, fisica della malinconia è un lungo monologo di quello che fu un bambino dotato di un'empatia così forte da riuscire a fare propri persino i ricordi altrui più lontani nel tempo, trasformando in suoi gli eventi vissuti da suo nonno quando era bambino, quelli di una lumaca o di un altro bambino, quello che per via della sua testa di toro venne chiuso in un labirinto buio e chiamato mostro fino al momento del suo assassino. quello che fu quel bambino è adesso un uomo che ha perduto quella capacità - o, si potrebbe anche dire, è guarito dalla sua patologia - e che adesso colleziona storie, riempiendo quaderni su quaderni dei ricordi altrui.
tra storia e ricordo, tra realtà e mitologia, andiamo avanti e indietro tra il labirinto del minotauro e la casa in cui il suo giovane nonno, ai tempi in cui era soldato, era stato salvato e amato da una donna che parlava un'altra lingua.
il buio del labirinto, il buio della casa della sua infanzia al piano seminterrato, il buio a cui il nonno è costretto ad abituarsi per non farsi accusare di diserzione: il senso di smarrimento è il filo rosso che collega diversi piani temporali e i diversi piani di realtà, che tiene insieme le pagine di questo libro e che ci guida, quasi ipnotizzati, dal principio alla fine.

la lingua di gospodinov è incantevole e mi ha fatto venire voglia di leggere anche gli altri suoi libri ma a volte questo mi ha un po' stancata, si ripiega troppo su sé stesso, ingarbugliando memoria e sogno, ricordi ed empatia e perdendosi in lunghe pagine che mi facevano venire voglia di tornare indietro o correre avanti. bello, sì, ma avrei preferito che mantenesse un po' di più la messa a fuoco.

 amatka 

vanja andò a prendere le sue valigie e slacciò le fibbie. una di queste sembrava sul punto di cedere. era stato il regalo di qualcuno che a sua volta l'aveva ereditata da qualcun altro, e così via. in ogni caso, non sarebbe durata a lungo: la parola valigia era quasi illeggibile. avrebbe potuto ricalcare le lettere, certo, ma la domanda era cosa sarebbe accaduto prima - la valigia si sarebbe semplicemente sgretolata per l'usura oppure si sarebbe dissolta, una volta riposta. avrebbe dovuto distruggerla.
«valigia» sussurrò vanja per mantenerla nella sua forma ancora per un po'. «valigia, valigia».


quando un libro promette di avere una trama originale che mi incuriosisce in modo particolare cerco di evitare di leggere commenti e recensioni prima di iniziarlo, così da non farmi idee preconcette e aspettative di vario tipo. con amatka è stato così, sapevo solo che era ambientato in un mondo in cui è necessario nominare le cose per evitare che queste svaniscano. non avevo capito bene come avrebbe dovuto funzionare questa regola ma non ho voluto indagare oltre.
effettivamente è stato utile arrivare alla prima pagina con meno informazioni possibili perché il sistema descritto da karin tidbeck, anche se non è originalissimo, è parecchio interessante, e il suo punto di forza non si limita esclusivamente a questa strana peculiarità degli oggetti.
la storia di vanja è ambientata in un qualche pianeta - o parte di un pianeta, questo non è chiarissimo - in cui gli oggetti perdono la loro forma se non vengono nominati, tornando alla materia primigenia con cui sono stati creati, una sostanza informe e molliccia non meglio identificata che sembra comporre qualsiasi cosa, a esclusione degli artefatti provenienti dal vecchio mondo - che supponiamo essere la terra. in questo pianeta non esistono altri animali se non gli esseri umani, divisi in colonie le cui funzioni principali sono chiaramente assegnate: essre, balbit, odek e, appunto, amatka, più una quinta colonia ormai distrutta, di cui la storia ufficiale dice poco o nulla, ma che - non vi dico come né perché - sarà importantissima per lo svilupparsi della trama.
la vita nelle colonie è fortemente comunitaria, lə bambinə vivono tuttə insieme in delle case apposite lontanə dallə genitorə per scongiurare inutili attaccamenti ed eventuali traumi, ogni persona ha un preciso compito da svolgere e tuttə lavorano per il bene collettivo, tenendo sempre a mente l'impresa eroica dei pionieri, di chi cioè fondò le colonie, permettendo a tuttə adesso di vivere vite piene e sicure.

giunta ad amatka, vanja svolge correttamente la sua ricerca sulle abitudini igieniche commissionata da essre, per capire che tipo di prodotti potrebbe essere utile commercializzare nella colonia, ma alla fine decide di rimanere con le persone scelte per ospitarla: nina, che lavora come dottoressa, ivar, assegnato alle coltivazioni di funghi - con cui ad amatka non solo si cucina praticamente tre quarti delle possibili pietanze, ma ci si fa praticamente di tutto, saponi compresi - e la vecchia ulla, anche lei medico ma ormai in pensione, che sembra conoscere molti dei segreti legati ad amatka e al passato delle altre colonie, soprattutto della quinta...
è per amore di nina che vanja resta, e tutto sembrerebbe il preludio di una lunga e serena felicità se non fosse che la storia di amatka e delle colonie tutte comincia a venire alla luce, tra vecchi libri destinati a scomparire e strane costruzioni segrete nascoste sottoterra...

il senso di questo libro sta tutto nelle parole, in quelle che l'autrice utilizza per raccontare la storia, certo, ma soprattutto in quelle che lə personaggə sono liberə o meno di pronunciare. la materia presente nelle colonie risponde alle parole, prende forma grazie ad esse e in loro assenza si disgrega. il mondo esiste perché viene nominato, proprio come avviene nel mito ebraico della creazione, dio "disse" e la luce, il cielo, la terra, gli alberi, gli animali, la vita, ogni cosa "fu". il potere che ognunə dellə abitantə delle colonie è immenso e dunque deve essere controllato perché chi ha il potere di fare ha anche quello di disfare, e infatti l'uso improprio delle parole può costare caro, carissimo.

possiamo dire che amatka è una distopia se ci fermiamo al suo sistema politico, all'annullamento richiesto alla dimensione individuale di ciascunə dellə colonə a beneficio della comunità, ma diventa quasi una riflessione teologica - o più semplicemente un fantasy - se osserviamo il rapporto tra le parole, tra il potere che ha chi le pronuncia, e la realtà circostante: avere il potere di un dio significa andare oltre la propria umanità e quindi rinunciarvi, perderla irrimediabilmente e per sempre.

personalmente avrei preferito che questa doppia identità del romanzo fosse rimasta più in equilibrio mentre invece il finale si sbilancia troppo a beneficio della seconda, lasciandomi con tante, troppe domande ma con un senso di stupore enorme, che mi ha comunque fatto apprezzare tantissimo la lettura.

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