giovedì 20 marzo 2025

il governo ombra

«saranno belle e potenti entrambe. immensamente potenti. due maestre.»
[...]
«però mi spiace molto doverti dire, miranda, che bellezza e potere sono tutto quello che le tue figlie avranno in comune. perché mentre una sarà dolce, generosa e amorevole, l'altra sarà in combutta con i demoni.»
miranda spalancò gli occhi. «cosa?»
«lo dirò chiaramente. una sarà buona, l'altra cattiva.»

attenzione! questo post contiene spoiler su la congregazione reale di sua maestà, il primo volume della trilogia. se non l'hai ancora letto, rimedia subito e poi torna qui!

qualche mese fa vi avevo parlato de la congregazione reale di sua maestà di juno dawson, uno dei libri che mi avevano appassionata ed entusiasmata di più l'anno scorso. adesso è finalmente uscito il seguito, il governo ombra, e io l'ho divorato subito, l'ho adorato come e forse più del primo e ne voglio ancora!

il finale del primo romanzo era stato un cazzotto gigantesco in piena faccia (ve lo ripeto, ci saranno necessariamente spoiler su lcrsm) e questo seguito inizia proprio lì dove la storia si era interrotta.

anzi, inizia con una profezia, quella che viene fatta a miranda, la madre di niamh e ciara, prima ancora che le sue figlie nascessero: entrambi potentissime, ma una buona e dolce, l'altra cattiva e in combutta con i demoni. e adesso eccole lì, le due gemelle così uguali e così diverse, al funerale di ciara, la sorella cattiva. la ciara che ha tramato contro le altre streghe, che ha ucciso il solo, unico e grande amore di niamh, che si è lasciata divorare dai demoni e che si è alleata con dabney hale, lo stregone che voleva distruggere la congregazione e schiacciare gli esseri umani senza poteri. la ciara che niamh stessa ha cancellato, svuotata di ogni ricordo, ridotta a un guscio vuoto che per nove lunghissimi anni non ha fatto che sopravvivere su un lettino d'ospedale, mentre il mondo intorno a lei continuava ad andare avanti.

o almeno, così pensano tuttə. quello che nessunə sa è che se il corpo sepolto è effettivamente quello di ciara, la sua anima si trova nel corpo di niamh. e l'anima di niamh... beh, è ovvio no? chissà quanto sarebbe diversa l'atmosfera di quel funerale se sapessero che ad essere tornata per sempre a gaia è la sorella buona, quella amata da tuttə, la santa e impeccabile niamh!

da lettrice, ammetto che questo primo capitolo è stato una vera e propria sofferenza. mi ero affezionata a niamh tanto quanto avevo detestato ciara, ma - e qua sta la magia di juno dawson! - nel corso della storia i miei sentimenti hanno iniziato a vacillare fino a stravolgersi.
la storia di ciara è quella delle cosiddette profezie che si autoavverano. in psicologia e in sociologia si parla di profezia che si autoavvera quando una persona (o un gruppo di persone), convinta della possibilità che un evento infausto possa verificarsi, cambia il suo comportamento finendo proprio causare lo stesso evento che avrebbe voluto evitare.
man mano che i ricordi di ciara tornano a galla, scopriamo come sua madre miranda abbia sempre mantenuto un atteggiamento diverso con le due gemelle, incoronando niamh come figlia perfetta mentre controllava ossessivamente ciara, la rimproverava e puniva per nulla, arrivando perfino a terrorizzarla da bambina e a distruggere i suoi sogni di adolescente. portandola, insomma, a essere davvero una strega cattiva.
ogni volta che ciara ritrovava un episodio della sua storia passata, un pezzetto del mio cuore si sbriciolava.

ovviamente però, il governo ombra non è solo la storia di ciara e del suo passato. la minaccia di dabney hale incombe su tutta la congregazione; leonie è in viaggio, intenzionata a ritrovare suo fratello radley; theo è stravolta dal suo nuovo corpo, dalle reazioni che suscita nellə altrə e da quelle che suscita in ləi stessə, mentre la profezia del leviatano continua a gettare ombre sul suo futuro e lo strano atteggiamento di niamh le fa temere di trovarsi sul punto di essere abbandonata ancora una volta. e poi ci sono holly, in piena crisi adolescenziale, e elle che, nonostante la sua età, è rimasta ancorata ai suoi sogni di felicità matrimoniale di ragazzina e ora si vede sgretolare tutto tra le mani, scoprendo di avere un potere che non sa gestire e che la spaventa al punto da non riuscire neppure a parlarne.
la narrazione si allarga ancora e ancora, toccando altre città - c'è anche bologna! - e paesi, reali o mitici che siano. perché è ovvio che la crsm non è la sola congregazione di streghe del mondo e la minaccia di hale (e quella del leviatano) è enorme per chiunque. infine, il personaggio-rivelazione di questo romanzo è stato luke! non aggiungo altro perché non voglio rovinare la sorpresa a nessunə ma... non me lo sarei mai aspettato!

oltre ad avere una trama serratissima che ti incolla alle pagine e non lascia tirare il fiato nemmeno un secondo, anche ne il governo ombra rimane l'attenzione per le tematiche che mi avevano fatta innamorare della scrittura di juno dawson nel primo romanzo e che fanno di questi libri dei perfetti esempi di narrazione transfemminista e intersezionale in cui si sottolinea come, senza fare retorica, davvero il personale è politico. dawson pone l'accento sulle relazioni sentimentali (romantiche, familiari, d'amicizia) e su come queste riproducano in piccolo i rapporti di potere tra le categorie socialmente privilegiate (gli uomini, le persone bianche, quelle cis, quelle ricche) e quelle marginalizzate e svantaggiate (le donne, persone nere, quelle trans, quelle povere, ecc.).

e poi, anche questa volta, arrivatə all'ultima pagina non possiamo che metterci a gridare e ad aspettare con ansia che arrivi presto il capitolo conclusivo. personalmente, ho bisogno di un gruppo di sostegno e supporto psicologico da adesso all'annuncio della prossima pubblicazione (anzi, fino al momento in cui potrò finalmente iniziare a leggere human rites). se vi trovate nella stessa situazione, contattatemi: scriviamoci, parliamone, teniamoci per mano!

giovedì 13 marzo 2025

il mondo di rocannon

come si può distinguere tra leggenda e realtà, su mondi che giacciono a molti anni di distanza dal nostro? pianeti senza nome, che i nativi chiamano semplicemente "il mondo"; pianeti senza storia, dove il passato è materia di mito e dove l'esploratore che vi fa ritorno scopre che le sua azioni di pochi anni prima sono diventate le gesta di un dio. un velo buio di irrazionalità si stende sull'intervallo di tempo che le nostre astronavi attraversano alla velocità della luce, e nell'oscurità proliferano l'incertezza e le esagerazioni, come erbacce.

il mondo di rocannon di ursula k. le guin è considerato il primo romanzo del ciclo dell’ecumene, una serie di romanzi autoconclusivi e di racconti - presenti in raccolte come ritrovato e perduto - le cui vicende sono indipendenti e che quindi possono essere in qualsiasi ordine, ma che condividono la stessa ambientazione, cioè l’universo colonizzato dal pianeta hain, il mondo di provenienza della specie umana.

da hain, l’umanità si è spostata in decine di pianeti e, nel corso del tempo, si è adattata ed evoluta sulla base delle necessità dettate dalle diverse condizioni ambientali dei mondi colonizzati. nonostante le differenze biologiche e culturali, che si sono sempre più accumulate nel corso dei secoli, è riuscita a riunirsi in quello che, appunto, si definisce ecumene, una colossale struttura sociale, politica ed economica. l’unità è garantita grazie a tecnologie di comunicazione - come l’ansible - e di trasporto interstellare, elementi fondamentali anche delle vicende raccontate nei romanzi e nei racconti.

è grazie alla possibilità di incontro, comunicazione e scambio - non sempre positivi, come ad esempio ne il mondo della foresta - che le guin riesce a raccontare l’enorme ventaglio di possibilità entro cui l’umanità può organizzare la sua esistenza, con una prospettiva fortemente antropologica che rende sempre le sue storie estremamente realistiche e fantascientifiche (perché anche le scienze sociali sono scienze).

le storie del ciclo dell’ecumene sono ambientate sia prima che dopo l’avvento dell’ecumene propriamente detto, raccontandoci così - in una narrazione orizzontale che resta sempre sullo sfondo di ogni vicenda - anche la storia di un’unione di mondi e degli infiniti possibili modi di esistere come esseri umani.

il mondo di rocannon, pubblicato per la prima volta nel 1966, ci presenta fomalhaut II, un pianeta il cui sviluppo tecnologico è assimilabile a quello della nostra età del bronzo o poco più, abitato da tre specie umane già note e da altre su cui mancano informazioni. le prime sono lə gdemiar, il popolo d’argilla, dalla pelle chiara e i capelli scuri, di piccola statura, abituatə a vivere sotto terra e prevalentemente notturnə; lə fiia, altrettanto piccolə e chiarə di pelle ma biondə, amantə della luce e della natura. infine vi sono lə liuar, più altə e fortə, organizzatə in una sorta di società feudale in cui la nobiltà di lignaggio deve essere confermata dal coraggio, dalla lealtà e, più in generale, da un preciso codice morale che regola i rapporti intra- e interspecie, ma soprattutto da alcune caratteristiche somatiche che dividono la specie in due: da un lato lə angyar, lə signorə, dalla pelle scura e i capelli biondi o rosso-oro, dall'altra lə olgyior, la plebe, che come lə gdemiar hanno la pelle chiara e i capelli scuri.

lə liuar sono la popolazione più nota dallə studiosə del pianeta e la loro storia, così antica da perdersi nella leggenda, si fonde con quella di rocannon, grazie agli sfalsamenti temporali dovuti ai viaggi intergalattici.

il tono del romanzo è sospeso tra epica, fantasy e fantascienza proprio in virtù del fatto che fomalhaut II vive in un’epoca di sviluppo tecnologico ancora distante da quello degli altri pianeti - come ad esempio nuova georgia del sud, il pianeta da cui arriva rocannon, etnografo in missione, che ospita la base esplorativa delle forme di vita a intelligenza elevata della lega.

il prologo alla vicenda sembra una favola, la leggenda di un mondo lontano nel tempo: il lungo viaggio della regina semley per recuperare il suo tesoro perduto, così da ridare lustro alla sua casata e al suo re. è affascinante come le guin suggerisca che l’inspiegabile è tale solo fino a che non si fanno proprio le conoscenze scientifiche e tecnologiche che lo rendono possibile, e che lo faccia senza giudizi di sorta, scrollandosi di dosso quel senso di sufficienza e superiorità che ha caratterizzato la prima etnografia.
allo stesso modo, anche rocannon stesso, per quanto provenga da una realtà più progredita, rifugge da facili giudizi e riesce a costruire legami sinceri con lə coprotagonistə del romanzo.

la vicenda prende il via quando lə compagnə di rocannon vengono spazzatə da un attacco alla loro nave condotto dallə ribellə di faraday, contrarə al consolidamento della lega dei mondi e alle regole imposte per l’effettiva cooperazione intergalattica. rimasto solo su un pianeta alieno, senza più un mezzo per tornare nel suo mondo né l’ansible - un apparecchio capace di trasmettere istantaneamente i messaggi a qualsiasi distanza, grazie alla capacità di far viaggiare i dati a velocità superiori a quella della luce - per comunicare con la lega dei mondi, rocannon inizia il suo viaggio alla ricerca dellə ribellə e del loro ansible.
ad accompagnarlo ci sarà una sorta di compagnia dell’anello formata da mogien, signore di hallan e da un gruppo di suoi fedeli, appartenenti alle altre specie umane del pianeta.

il viaggio attraverso fomalhaut II è insidioso, costellato di pericoli, di incontri e scontri. rocannon, già noto come signore delle stelle, è dotato di una corazza sottile come una seconda pelle, praticamente indistruttibile e resistente a qualsiasi tipo di arma, che lo trasforma agli occhi di chi lo incontra nel dio errante, colui che cammina in mezzo agli uomini.

come già detto, il mondo di rocannon è un romanzo di fantascienza che attinge a piene mani dal repertorio fantasy ed epico per i toni, per la caratterizzazione dellə personaggə, per l’organizzazione delle loro società e del loro sistema di valori, e la vicenda di rocannon stessa si rifà alle numerose interpretazioni - discutibili e ampiamente discusse (se vi può interessare vi rimando alla famosa diatriba tra marshall sahlins e gananath obeyesekere sulla vicenda del capitano cook) soprattutto nei decenni immediatamente successivi alla pubblicazione di questo romanzo - che nel corso degli ultimi secoli sono state fatte sul pensiero delle popolazioni native, indebitamente chiamate selvagge, in merito allə esploratorə e studiosə bianchə, arrivando alla conclusione - voluta o meno - dell’inevitabile rivalutazione del significato stesso di nativo e selvaggio.

non è uno dei miei preferiti di ursula k. le guin ma resta un testo prezioso sia per conoscere al meglio l’autrice e il suo pensiero, che qui si declina in una riflessione sui significati che gravitano intorno alla conoscenza dell’altrə, sia per approfondire il ciclo dell’ecumene stesso che, oltre all’innegabile valore letterario, ha - dal mio personalissimo e trascurabile punto di vista - il merito di ricalibrare il concetto di etnocentrismo in una prospettiva intergalattica: come si diceva più su, le guin ha indicato hain come pianeta di origine per l’umanità e non la terra, identificando così la nostra specie come una delle tante, possibili variazioni adattative di una stessa specie. in quest’ottica la terra perde il suo ruolo centrale tipico delle narrazioni fantascientifiche e si riduce a essere una delle tante colonie spaziali.

per concludere, volevo spendere due parole sulla nuova uniform edition dedicata a le guin e al ciclo dell’ecumene. mondadori ha già iniziato a ripubblicare tutti i titoli della serie - molti, come il mondo di rocannon, erano fuori catalogo da anni - con le nuove copertine illustrate da rodrigo corral, contributi di autorə italianə e internazionali e, quando presenti, le introduzioni firmate da le guin stessa.
oltre ai titoli già pubblicati (il mondo della foresta, i reietti dell’altro pianeta, ritrovato e perduto e il pianeta dell’esilio, che si aggiungono a la mano sinistra del buio, pubblicato nel 2021 con una nuova traduzione) sono previste nuove edizioni anche per la falce dei cieli, città delle illusioni, il giorno del perdono, sempre la valle e la salvezza di aka.

venerdì 7 marzo 2025

orbital

resteranno così per nove mesi, nove mesi a fluttuare, nove mesi di testa gonfia, nove mesi di questa vita da sardine, nove mesi a osservare la terra a bocca aperta, per poi tornare giù, al pianeta paziente.
qualche civiltà aliena potrebbe avvistarli e chiedersi: cosa ci fanno qui? perché non vanno da nessuna parte, girano solo su se stessi? la terra è la risposta a tutte le domande.

l'ho fatto di nuovo.
ho letto un libro su cui avevo aspettative altissime e mi sono chiesta ma è davvero tutto qui?
orbital mi ha un po' delusa. un po' tanto.
per essere un capolavoro, il libro più chiacchierato del momento, una bellissima lettera d'amore al nostro pianeta, mi aspettavo qualcosa di più.

orbital racconta di sei astronautə - anzi, quattro astronautə e due cosmonautə (se ci interessa scoprire la differenza possiamo andare a fare una ricerchina online perché samantha harvey non ce la spiega) - in missione sulla stazione spaziale internazionale che, appunto, orbita intorno alla terra e che ha la funzione principale di laboratorio in cui svolgere esperimenti di ricerca scientifica di varia natura in assenza di gravità.
dallo spazio, quindi, il personale della stazione studia e sperimenta in favore nostro, mantenendo lo sguardo fisso - in senso letterale e non - sul pianeta. inoltre, sulla stazione si effettuano esperimenti che saranno utili ad eventuali futuri viaggi verso la luna o marte e, soprattutto, il suo carattere di internazionalità suggerisce l'idea che la cooperazione tra popoli e nazioni possa essere più utile e produttiva degli atteggiamenti di chiusura o, peggio, di quelli belligeranti.
idea abbastanza semplice ma, a quanto pare, abbiamo bisogno di lanciarci a duemila chilometri fuori dall'atmosfera per capirla.

la narrazione segue la durata di sedici orbite della stazione intorno alla terra, ovvero circa ventiquattro ore. una giornata nello spazio in cui, un po' come per il piccolo principe, si susseguono sedici albe e sedici tramonti, un gioco di luce e buio che illumina il pianeta visibile solo da chi ha l'incredibile, privilegiata prospettiva che solo la stazione internazionale può offrire.

«da quassù la terra è bellissima, senza frontiere né confini» è forse una delle frasi che meglio ha saputo mettere insieme poesia e politica. una frase semplicissima, pronunciata nel 1961 da gagarin. eravamo in piena guerra fredda ed era la prima volta che un essere umano riusciva a trovarsi abbastanza lontano dal pianeta da poterlo abbracciare interamente con il proprio sguardo.
una frase semplicissima che racchiude dentro di sé significati e messaggi fondamentali: la bellezza di un pianeta unico in uno spazio oscuro e sconfinato, l'unica casa che abbiamo e che dobbiamo preservare e proteggere (o magari, con un pelino meno di arroganza, limitarci a non distruggere), una sorta di gigantesca madre comune che ci rende tuttə fratelli e sorelle, un mondo intero su cui abbiamo giocato con linee immaginarie per poter dire questo è mio, quello è tuo. in questa frase c'è tutto.
ovviamente possiamo aprirla questa frase, scartarla come un regalo e osservare pezzetto per pezzetto cosa c'è dentro: magari così è più facile da capire, anche se però perdiamo quel tono poetico, quasi magico che ci fa salire le lacrime agli occhi ogni volta che la sentiamo o leggiamo.
mentre leggevo orbital mi rigiravo in mente questa frase.
e pensavo che, per fare letteratura, bastava così.

questo romanzo ha, secondo me, due enormi problemi: il primo è che è estremamente ridondante. va benissimo che non ci sia una vera e propria trama, va benissimo che non succeda niente, ma gli elenchi di paesi illuminati dal sole - la loro bellezza, i loro colori, il modo in cui le nuvole li nascondono o li svelano, come le luci artificiali tradiscono una presenza umana che altrimenti risulta invisibile - ripetuti più volte stancano. rallentano la lettura, ti fanno pensare ok, l'hai già detto, l'ho capito. e se non l'avessi capito potrei tornare indietro a rileggere, non serve che me lo ripeti.
il secondo, immenso problema (sottolineo: sempre secondo il mio personalissimo parere) è il punto di vista della narrazione. in queste ventiquattro ore lə personaggə alternano le loro voci, le loro emozioni, i loro ricordi, le loro considerazioni, ma molto spesso la voce narrante è quella di un noi collettivo e indefinito, come se in questa pluralità lə sei abitanti della stazione orbitante si fondessero e confondessero tra loro, trasformandosi in un'entità unica di cui solo a volte si riconoscono le diverse personalità. tutto questo mi ha fatto sembrare lə personaggə piattə, interscambiabili a volte, privi di una qualche riconoscibilità forte.

insomma, sono d'accordo con chi dice che orbital è una lettera d'amore verso il pianeta, molto meno con chi dice che questo amore si rivolge anche all'umanità: da un lato l'umanità dellə astronautə/cosmonautə è appiattita sul loro ruolo e su delle storie personali troppo accennate per diventare abbastanza importanti da restituire loro profondità. abbiamo troppo poco tempo a disposizione per poterlə conoscere quel tanto che servirebbe a riuscire ad avvicinarci a loro, sbirciamo nelle loro menti solo per un giorno, solo per ventiquattro ore in cui i loro pensieri rincorrono ricordi lontani, preoccupazioni, lutti, l'idea di essere solo a dieci centimetri di titanio dalla morte. troppo e troppo poco tempo per permetterci di conoscerlə.
dall'altro lato, il resto dell'umanità della terra è cancellata dalla distanza.
si intravedono solo gli effetti - quelli peggiori - della sua presenza:
la mano della politica è così visibile da lì, che si chiedono come hanno fatto a non accorgersene subito. è evidente in ogni dettaglio - come la forza di gravità ha fatto del pianeta una sfera e ha spinto e tirato le maree che modellano le coste, così la politica l'ha scolpito modellato, lasciando ovunque tracce di sé. vedono finalmente la politica dell'avidità. la politica del crescere e del prendere, la voglia di avere di più declinata in miliardi di modi diversi, ecco cosa vedono guardando in basso.
quell'umanità che poeticamente scompare alla luce del sole, troppo piccola per poterla vedere da lassù, lascia tracce devastanti sul pianeta. è un'umanità che ha perso la sua innocenza primordiale, che ha smesso di limitarsi a popolare il pianeta per iniziare a plasmarlo secondo il proprio bisogno e il proprio profitto, un'umanità avida che non si rende conto della sua piccolezza, della sua fragilità, del suo essere poco più che nulla in confronto a quello che si estende all'infinito davanti agli sguardi dell'equipaggio della stazione internazionale. più che d'amore, mi è sembrata una lettera piena di sconforto verso quelle creature minuscole che rosicchiano il loro stesso futuro.

e quindi: mi è piaciuto orbital? nì. per essere un libro così chiacchierato, mi aspettavo qualcosa di più.
ha dei passaggi straordinariamente belli ma diluiti in troppe pagine che mi hanno annoiata, ha un linguaggio ricercato ed elegante, ma a volte sembra che questo lirismo sia inutilmente stiracchiato, come se cercasse ad ogni costo di colpire lə lettorə che, nel frattempo, ha imparato a difendersi.

giovedì 27 febbraio 2025

detransition, baby

voleva davvero diventare mamma. lo voleva più di ogni altra cosa. aveva passato tutta l'età adulta in mezzo a persone queer, ad assorbire le loro relazioni radicali e li poliamore e i ruoli di genere, ma in qualche modo non aveva mai davvero destituito dall'apogeo della femminilità quelle mamme del wisconsin bianche e carine che avevano popolato la sua infanzia. non aveva mai perso l'ardente speranza di diventare una di loro. nella maternità riusciva a immaginarsi separata dalla sua solitudine, dal bisogno che la consumava, perché da madre, credeva, non si è mai da sole.

ci sono narrazioni abbastanza stereotipate circa le reazioni degli uomini alla notizia che la loro compagna/fidanzata/moglie è incinta, c'è chi rimane pietrificato, chi pensa alla fuga e chi - credo nella maggior parte dei casi - si lascia trasportare dalla gioia e dall'entusiasmo.
fuori dagli stereotipi, sicuramente, c'è la reazione di ames che, quando katrina gli annuncia che sta per diventare padre, chiama reese, la sua ex che ha sempre desiderato diventare madre, e le propone di crescere questa creatura in tre.

detransition, baby inizia così, con questa folle richiesta di prendersi per mano e fare un salto nel vuoto, ames, reese, katrina, lə bambinə e insieme noi lettorə che non sappiamo ancora molto degli strani, inusuali legami che tengono insieme questo terzetto sgangherato. quello che sappiamo è che di solito non è così che funziona, che le famiglie si creano in un certo modo, di sicuro non con una telefonata che rompe anni di silenzio e lontananza, sappiamo che ci sono delle gerarchie tra le relazioni e che l'attuale compagna incinta vale più della tua ex con cui hai rotto da secoli, che gli uomini fanno i padri e le donne le madri e che ne bastano uno e una per mettere al mondo una terza vita, che lə figlə è bene crescerli dentro a un matrimonio (e, meglio ancora, evitare di concepirli prima di un matrimonio).

visto che, con buona pace di una certa fetta di popolazione, nella famiglia nucleare cis-etero monogama non c'è niente di naturale, potremmo (e, se non l'abbiamo mai fatto, dovremmo) chiederci perché sappiamo tanto bene queste cose al punto di crederle come un dato di fatto scolpito nella nostra genetica di esseri umani. darci le risposte qui, però, sarebbe impossibile sia per ragioni di spazio che di buon senso, quindi torniamo al romanzo di torrey peters e al nostro salto nel vuoto.
"ricordi che hai sempre voluto che facessimo un bambino insieme? lo vorresti ancora?" non è una domanda facile, non quando ti coglie alla sprovvista, non quando arriva da una voce che credevi non avresti mai più ascoltato pronunciare certe parole, ma reese sa cosa desidera, cosa ha sempre desiderato nonostante per una donna trans sia estremamente difficile se non impossibile diventare madre, ed è per questo che non ha dubbi: sì, certo che vuole farlo.

dal momento di quella telefonata, la narrazione inizia a muoversi avanti e indietro nel tempo, ancorandosi a un punto zero che coincide con quello del concepimento. anni prima, settimane dopo, impariamo a conoscere uno spezzone alla volta la storia di reese e di ames che, quando stava con lei, era ancora amy. disporre i capitoli in ordine non cronologico non è una scelta meramente stilistica né un artificio narrativo architettato solo per incuriosire lə lettorə, ma un modo molto chiaro ed esplicativo di mostrare come esperienze passate e aspettative future siano strettamente intrecciate e come coinvolgano il presente, senza che ci sia una qualche soluzione di continuità tra chi eravamo, chi siamo e chi speriamo - o temiamo - di essere. se, nel corso del tempo, cambiamo, non è per rinnegare quello che siamo statə ma semplicemente perché tra tutti i possibili futuri che possiamo intraprendere, dobbiamo sempre e comunque sceglierne uno, giorno dopo giorno.
e questo potrebbe essere un comodo riassunto per raccontare la storia di amy/ames: la detransizione non è un pentimento né un'ammissione di colpa e, come dice lui stesso, non è neppure una scelta definitiva e irreversibile. è solo la vita. ogni scelta ha avuto dietro di sé una ragione e, proprio in virtù degli anni passati insieme, una buona parte di quella ragione è intrecciata alla sua relazione con reese e quindi con i suoi desideri, tra cui quello di diventare madre.

c'era stato già un momento in cui reese e amy avevano provato a creare una famiglia, una famiglia non ordinaria tanto quanto potrebbe esserlo questa che ames le sta proponendo. era stato difficile anche allora, è facilmente immaginabile il numero e l'entità degli ostacoli che una coppia di donne trans deve affrontare dal momento in cui decide di compiere un passo così importante. su quegli ostacoli, amy e reese sono andate a sbattere con una violenza tale da mettere in crisi la loro stessa esistenza come coppia.
avanti e indietro nel tempo, peters sembra sussurrarci all'orecchio con la vocina metallica e insensibile di un navigatore che la vita è un continuo ricalcolo percorso, che le scelte che facciamo ci cambiano ma cambiano anche le persone intorno a noi, il nostro e il loro futuro, e che la somma di tutte le variabili accolte e di quelle scartate può condurre a situazioni che sembrano assurde solo se guardate da chi non ha percorso quelle strade.

detransition, baby è un libro che racconta come la comunità trans ha reinventato regole, legami di parentela e percorsi di vita per trovare una propria dimensione all'interno di quella ufficiale ed escludente del mondo cis-eteronormato, e che lo fa senza didascalie o note a piè di pagina. non spiega nulla - perché nessuna minoranza è tenuta a offrire lezioni su di sé a beneficio della curiosità altrui - ma ci mostra tutto, anche i lati più personali e intimi dellə suə personaggə, affidandosi a una comprensione emozionale ed empatica più che a un apprendimento razionale.
attraverso reese, peters ci permette di ragionare senza pregiudizi sugli stereotipi di genere e su quanto - senza mai giustificarli o, peggio, naturalizzarli - questi siano fondamentali per orientarci e darci modo di trovare il nostro posto nel mondo. da donna trans, reese desidera che gli uomini proiettino su di lei tutti quegli stereotipi (anche quelli negativi) di cui rivestono le donne cis, semplicemente per potersi riconoscere anche lei in quel preciso ruolo di genere, che non può che definirsi proprio attraverso le relazioni con lə altrə. da donna disabile, ho cercato di mettere a fuoco come le comuni narrazioni sugli stereotipi e i ruoli di genere non soltanto non coinvolgono tutte le persone allo stesso modo, ma che anche la loro non applicazione - tanto desiderata dalla maggior parte della gente che li subisce costantemente - può portare un qualche tipo di sofferenza.
le parole di reese, anche le più controverse e fastidiose, mi hanno illuminata molto più di quanto non abbiano saputo fare pagine e pagine di saggistica sull'argomento. se costruiamo un ruolo e ci mettiamo dentro le persone sulla base del loro genere e delle aspettative che riponiamo in quel genere, escluderne una minoranza non fa che peggiorare la condizione tanto delle persone escluse che di quelle incluse, rafforzando gli aspetti negativi che quel dato ruolo ha, e rafforzando, quindi, le strutture di potere che funzionano proprio sulla base di quella divisione di ruoli.

altro grandissimo merito di peters è stato quello di ripulire la parola queerness dai glitter e dagli arcobaleni di cui siamo solitə abbellirla al punto di averla fatta diventare una moda, o nel migliore dei casi una via di fuga dalla noia dell'eteronormatività. peters ci ricorda che la storia delle persone queer non è fatta soltanto del rigetto che viene dalla stanchezza per certe convenzioni sociali a cui è facile rinunciare, soprattutto per chi ricopre ruoli sociali di prestigio (come katrina), ma è stata costruita pezzo dopo pezzo di lotte e sofferenze vere, di famiglie che allontanano, di omofobi e transfobici che picchiano, di malattie che prima emarginano e poi uccidono, di ogni forma possibile di ingiustizia, di povertà, di diritti negati, di depressione e anche - in alcune pagine che sotto una scorza di cinismo rivelano una sensibilià gigantesca - di suicidi.

detransition, baby è un romanzo stratosferico che parla di persone e di come le persone vanno avanti nella vita, incespicando e rialzandosi e cambiando idea, andando avanti e poi indietro e scartando di lato. ed è un romanzo che dice che va bene così, che ogni persona e ogni vita è fatta di tutto il suo tempo e le sue scelte, e che è perfetta così.

mercoledì 19 febbraio 2025

brucia la notte ~ s'infiammano le stelle

nessuno entra.
nessuno esce.

noi siamo nessuno.

in una emilia-romagna immaginata ma non troppo, nel pieno di una catastrofe climatica lontana da noi ma non troppo, sotto un regime distopico ma non troppo, ani e bi(anca) cercano il modo di sopravvivere nel campo dove sono state confinate.
il campo è una salina e il lavoro lì spacca le mani e corrode l'animo.
a lavorare il sale, immerse nell'acqua tutto il giorno sotto lo sguardo vigile delle stecche - o gli integri, come preferiscono definirsi - sono solo donne. denunciate per comportamenti che offendono la morale del regime, come bianca, o rinchiuse perché migranti senza diritti, come ani, o anche volontarie, come tutte quelle donne che hanno scelto la dura vita del campo alla fame e alla miseria del mondo esterno, le centinaia di raccoglitrici delle saline sono la manodopera fondamentale in un mondo in cui l'economia - e quindi il potere - gira tutta intorno al sale che, esauriti i combustibili fossili, è diventato l'unica fonte di energia disponibile.

formalmente le saline sono solo saline, ma nei fatti si tratta di vere e proprie prigioni dove rinchiudere le donne - soprattutto quelle scomode, le povere, le migranti, le non cis-etero, eccetera - e spremerle fino all'osso, abusando tanto del loro lavoro quanto del loro corpo.
è per questo che bi e ani non si limitano solo a sopravvivere, ma cercano ad ogni costo di scavalcare le mura del campo e riprendersi la loro libertà.

bianca e ani sono come il giorno e la notte: bianca è un biondo fiume in piena di parole che adora fare la buffona e sdrammatizzare le situazioni più difficili; ani è silenziosa e schiva, un cespuglio di arruffati ricci neri, minuta e agile. a unirle non è soltanto uno spontaneo e sincero sentimento di amicizia, nato fin dal loro primo incontro nel campo, ma soprattutto un odio profondo e totale per quel regime che ha distrutto la loro vita, le ha separate dalla loro famiglia e ha rubato la loro libertà.
ani e bi non si sono mai fermate, hanno vissuto ogni giorno, ogni ora per riuscire a fuggire dal campo, hanno fatto piani su piani, mappature dell'area di comando e progetti, ma l'occasione arriva nel modo più imprevedibile e violento.
il primo attacco dall'esterno, la prima violentissima esplosione annienta in pochi minuti l'incrollabile e organizzatissima routine delle saline, manda le stecche nel panico ma, al contempo, uccide integri e raccoglitrici indistintamente.
è così che ani perde l'unico motivo per cui non si è mai decisa davvero a scappare, l'unico legame che la teneva stretta al suo ruolo.
ed è così che la rivoluzione ha inizio.

il dolore di chi viene costantemente schiacciatə, abusatə, violatə, imprigionatə e spogliatə della sua dignità di essere umano fa in fretta a trasformarsi in rabbia, e lì dove esistono regimi che si basano proprio sulla sopraffazione e sulla violenza nasce la resistenza, pronta a tutto pur di ritrovare una dimensione in cui vivere libera e in pace.
senza avere più niente da perdere, ani e bi approfittano dell'attacco e del caos per sfuggire alle guardie, e se la scoperta che bianca ha il potere di manipolare le menti di chi ascolta il suo canto sconvolge ani, l'incontro fortuito con sua sorella gizem - da cui si era separata anni prima, al suo arrivo in italia, e creduta perduta per sempre - è ancora più shockante, e di certo molto meno romantico e strappalacrime di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare.

grazie a gizem, ani e bianca arrivano alla congrega di dozza, una delle tante comunità fuori dal controllo del regime, dove la gente vive in regimi di mutuo soccorso e autosostentamento e... magia. perché bianca non è l'unica ad avere capacità fuori dal comune, anzi: le streghe - le strighe - esistono.
storiche vittime del potere, adesso sono loro a dirigere la resistenza contro quel potere che le teme e vorrebbe annientarle.


clarissa la suprema, guida e riferimento per tutta la congregazione; velia, tabagista affettuosa e saggia; dina, una guerriera dalla forza straordinaria; jole, che sa comunicare con lə scomparsə, le anime dellə defuntə; ottavia, archivista straordinaria e memoria vivente di dozza; aatifa, guaritrice della congrega e pittrice che ricorda, attraverso la sua arte, chi ha dato tutto per la congrega. e soprattutto ebe - fuggita da una vita ricca e agiata in quella rocchetta mattei che ha sempre appoggiato il regime per proprio tornaconto, incurante delle sofferenze altri, che sarà teatro fondamentale dell'ultima parte della storia - e ora votata al bene collettivo.
le storie e i destini di queste donne si intrecciano a quelle di ani, bianca e gizem sullo sfondo di una rivoluzione appena nata e già pronta a esplodere con ferocia.
sono storie cariche di rabbia e di voglia di rivendicazione che riassumono millenni di altre storie e di altre vite, quelle di tutte le donne che non si sono arrese al potere costituito a ogni livello dell'organizzazione sociale, dal microcosmo delle loro case fino a travolgere il mondo intero.
sono le storie delle donne che di solito non trovano spazio nei racconti: donne trans, donne lesbiche, donne anziane, donne disabili, donne bellissime ma forti quanto e forse più degli uomini. da questo punto di vista, questi romanzi sono un riscatto enorme per tutte quelle donne che non hanno avuto troppo spesso il privilegio di essere protagoniste di una storia.

se brucia la notte ha il ruolo di introdurci in questo sistema-mondo distopico e magico, di presentarci le protagoniste e il territorio - che, proprio in virtù del suo essere sovrapponibile a una geografia reale, è altrettanto protagonista del racconto - e di iniziare un percorso (concludendosi con un plot-twist e un cliffanger che definire crudele è solo una dimostrazione d'affetto nei confronti delle autrici), s'infiammano le stelle inizia con uno scioglimento iniziale della tensione che dura solo un attimo, prima che il racconto riprenda la sua corsa verso il gran finale.
brucia la notte / s'infiammano le stelle segue un percorso circolare, o meglio un percorso a spirale che parte dalle saline e che, andando avanti, s'ingrandisce, cresce insieme alle sue protagoniste come una linea che si irrobustisce caricandosi tanto di rabbia quanto di quell'amore che alimenta le comunità nate dal basso, dove nulla è imposto e tutto è collettivo.
una linea che abbraccia un territorio che si allarga sempre di più, traslato dal mondo reale a quello fittizio-ma-possibile del romanzo, una linea che accelera attraverso un racconto costruito dall'alternanza delle voci e dei punti di vista di ani, bi, ebe e gizem, che trovano sempre di più la loro forza come gruppo proprio nelle loro differenze individuali.

brucia la notte / s'infiammano le stelle sono romanzi pieni di rabbia e di forza che partono dall'idea streghe vs. fascisti e si trasformano in una storia che raccoglie a piena mani dalla nostra realtà e dalla nostra storia recente.
è impossibile incasellarli in una qualche categoria specifica e questo per me è prova della loro originalità e del lavoro delle autrici, tiffany vecchietti e michela monti, che, se da un lato hanno fatto loro tante lezioni di storytelling nella loro lunga carriera di lettrici (per una volta, l'orribile adagio del chi scrive non legge non vale!), dall'altro sono state capaci di restituire qualcosa di unico - tanto nei toni e nello stile, che rendono entrambi i romanzi estremamente appassionanti, quanto nei temi e nei contenuti - profondamente radicato nel territorio e nelle sue tradizioni e ispirato da una coscienza politica transfemminista fortissima e solida.

lunedì 3 febbraio 2025

lucifero

ogni volta che mi sveglio guardo il mio riflesso, mi chiedo chi sono e non so mai che cosa rispondere. so solo che mi chiamo lucifero. so con quali indumenti mi ha vestito il signore, che cosa mi ha donato e, dentro di me, sento ogni dettaglio con cui mi ha creato. eppure mi sento perso. vorrei sapere perché esisto, così da poter onorare il suo splendore.
ma non lo so. non so nulla.

leggendo questo libro ho capito una cosa importantissima, una verità a cui mi ero avvicinata tante volte ma che non mi era mai apparsa tanto chiara: quando un libro non rispetta le aspettative che me ne ero fatta, non è (quasi mai) colpa mia. non sono io che, per chissà quale ragione, guardo una copertina, leggo le poche righe di presentazione dietro e do il via a processi mentali insensati nutriti dalla mia immaginazione. quando mi faccio delle aspettative che vengono tradite, è perché chi doveva presentarmi il libro mi ha lanciato un messaggio completamente sbagliato, una bugia a cui io ho creduto.

prendiamo lucifero di rafael nicolás. a guardare la copertina e a leggere la definizione di retelling queer della storia di satana mi aspettavo - per dirla sinceramente e senza troppi giri di parole - un mezzo pornello gay pieno di uomini bellissimi e con le alucce che si davano alle orge.
capisco la necessità di rivolgersi a quella fetta di lettorə che, nel nostro paese, è più ricettiva alle novità, mette più volentieri mano al portafogli e fa vivere i libri - a volte li fa diventare dei veri e proprio miracoli editoriali - grazie al bookstagram e al booktok, però se diventa una forzatura, se ci si rivolge al target sbagliato o al target giusto ma lanciando dei messaggi sbagliati, si rischia di far arrivare il libro a chi non lo apprezzerebbe davvero e di non raggiungere lə lettorə giustə.
e infatti non è che avessi molta voglia di leggerlo (ammetto con candore che i mezzi pornelli - o i pornelli completi - mi mettono abbastanza a disagio, a prescindere dal sesso, dalle identità di genere e dalle preferenze sessuali dellə protagonistə) ma poi la brava francesca (l'autrice de la bilbioteca di zosma) mi ha detto che lo stava leggendo e che non era nulla di quello che avevamo (dunque non era solo una questione mia) pensato, nessuna feticizzazione di uomini belli, più o meno vagamente androgini e gay (ciao fan degli yaoi!) ma un romanzo incredibilmente profondo che si poneva questioni filosofiche, etiche e teologiche circa la natura stessa di bene e male.

mi spiace per chi sperava di trovare pettorali bagnati di sudore e peccaminose passioni, ma sono felicissima di aver seguito il consiglio e di aver letto un romanzo così forte, che metterei volentieri accanto al paradiso perduto di milton e a il vangelo secondo gesù cristo di saramago (con i dovuti distinguo, ovviamente).
gli appunti che ho preso su questo libro sono tantissimi, e moltissimi di questi sono in forma di domanda, ma si possono sintetizzare tutti in un disperato perché? che riecheggia i pensieri e le parole di lucifero per più della metà della storia.

dicono che quando nasciamo piangiamo perché l'atto della nascita stesso è violento e doloroso, un trauma che ci strappa da tutto quello che è la nostra realtà, una realtà dolce e rassicurante, per scaraventarci in un mondo ostile fatto di luci che ci feriscono gli occhi, rumori che nessuna membrana attutisce più per noi, aria che forza i polmoni.
anche la nascita di lucifero è violenta e dolorosa. il puro spirito che viene plasmato e scolpito da dio, costretto in un corpo fatto di carne e sangue e muscoli e ossa, un corpo che può soffrire, che può essere ferito e piegato. lucifero viene plasmato da dio non perché sia bello ma perché sia l'incarnazione stessa della bellezza.
sia chiaro che in questo post, così come nel libro, per lucifero e per tutti gli altri angeli viene usato il maschile solo per abitudine: la forma degli angeli non è quella che siamo abituatə a pensare, esseri umani - maschi o femmine che siano - di indicibile bellezza e grazia, soffusi di luce e ammantati da ali piumate. nicolás si rifà al testo biblico per lasciarci intuire che le loro forme sono a dir poco incomprensibili e inimmaginabili per la mente umana, mostruose nel significato originario del termine, che ci sia una sovrabbondanza di teste (e non necessariamente umane) o di ali (non necessariamente attaccate sotto le scapole) o anche che non ci sia nessuna parvenza di forma umana o animale di sorta.

sappiamo solo che gli angeli sono di una bellezza squisita, che sono diversi tra loro per il colore della pelle, dei capelli e degli occhi e per le forme, che possono essere esili e delicate o forti e vigorose, ma gli altri dettagli sono omessi o solo accennati perché, sia chiaro, sono angeli, non esseri umani alati. e l'idea di bellezza che dio ha deciso di incarnare in loro non è neppure afferrabile per le nostre menti.
atteniamoci a questo e diciamo addio all'idea di un retelling queer: cosa dovrebbe esserci di queer in creature che non hanno nemmeno una vaga idea di cosa sia l'identità di genere, figuriamoci il sesso biologico (ammesso e non concesso che ne esista uno e che somigli a quello che noi intendiamo con queste parole)? ve lo dico io: assolutamente nulla. se anche fossero tutti biologicamente maschi e se anche tutti si riconoscessero nella categoria socioculturale di maschi, o se fossero tutte femmine o tuttə non binary o quello che vi pare, non cambierebbe niente. perché né il sesso, né l'identità di genere, né gli atti sessuali - che ci sono, certo, ma non sono quello che la copertina, tra testo e illustrazione, vi suggerisce - hanno un ruolo utile ad appiccicare a questo libro l'etichetta di queer. con buona pace di chi si occupa del marketing.

lucifero nasce e in noi - e in lui - nascono i primi perché: il suo corpo, così bello da stupire ogni altro angelo del paradiso, non è soltanto l'origine di un dolore fisico, ma motivo di vergogna. dio lo crea, gli dà la vita e la conoscenza e lo ammanta di ogni pietra preziosa e di vergogna.
perché lo fa? e come può una creatura come un angelo, la cui vita è destinata a godere di ogni possibile piacere in paradiso per l'eternità, provare vergogna per il proprio corpo? come fa a conoscere il concetto stesso di vergogna, il più artificiale e culturalmente informato dei nostri - umani - sentimenti?
tenete da parte questa domanda (tranquillə, ve la porrete alla seconda pagina, non è uno spoiler) perché vi accompagnerà per tutta la lettura.

leggendo la storia di lucifero scopriamo com'è la vita degli angeli e com'è il paradiso, un posto di eterna beatitudine e gioia, dove gli angeli trascorrono il loro tempo infinito in amicizia fraterna, tra un lavoro che non è mai fatica e divertimenti che anche quando diventano brutali - fanno qualcosa che somiglia ai nostri sport, corrono e fanno giochi di squadra, ma vanno matti per i combattimenti che sono spesso feroci - non sono mai davvero violenti o mortali. i loro corpi sanguinano, vengono feriti, provano dolore ma non muoiono. il dolore è un gioco, per tutti tranne che per lucifero: la prima volta che tira fuori le ali, ripiegate all'interno del suo corpo, lo strappo della carne e il sangue che ne cola è per lui un trauma, che rimarrà impresso nella sua memoria per milioni di anni.
la sua gioventù è un periodo lungo, lunghissimo. il tempo degli angeli è inconcepibile per noi ed è proprio per sottolineare questa impossibilità di comprensione che nicolás non lo scandisce mai in modo chiaro, lasciandoci solo intuire quanto infinitamente grande sia.

circondato dall'affetto degli altri angeli - rosier, raffaele, asmodeo, belial, gabriele, tra gli altri - lucifero trascorre la sua giovinezza tormentato dalla vergogna e dalle domande. avverte la profonda differenza tra sé e tutti gli altri ma non riesce a comprenderla, si strugge nella paura di non essere sufficiente per essere amato da dio e desidera ardentemente incontrarlo. il paradiso è la terra degli angeli e dio, invece, ha scelto di vivere nell'eden, nel suo giardino, chiamando a sé i suoi figli solo quando ne ha voglia, per essere servito, adorato e venerato.
plasmato, creato e voluto da dio, lucifero non è ancora stato ammesso alla sua presenza, e questa lontananza lo fa soffrire, lo impaurisce. perché un angelo, creato perché viva nella gioia, soffre e ha paura?
lucifero cresce senza sapere chi è: ogni angelo ha il suo talento - rosier è l'angelo della frutta, belial l'angelo del volo, e così via - ma qual è il suo? tutti gli dicono che lui è l'angelo della bellezza, ma cosa fa l'angelo della bellezza? in che modo onora il talento che gli è stato donato? cosa deve fare l'angelo della bellezza per compiacere dio? domande su domande su domande, e lucifero crede che solo incontrare finalmente dio potrà dissipare tutti i suoi dubbi.

quando l'incontro avviene, finalmente, l'angelo più giovane e più bello si convince di aver trovato finalmente una risposta: a dio piace sentirlo cantare e i suoi canti e i suoi balli in onore del padre coinvolgono chiunque in paradiso e dunque sarà l'angelo della venerazione. la musica di lucifero trascina chiunque in modo quasi frenetico, estatico, come se nessuno possa resistergli.
parlare con dio, però, non porta ai risultati sperati. nessuna vera risposta, nessuna piena comprensione, solo una valanga di dubbi che cresce man mano che va avanti, che investe tutto quello che incontra, se ne nutre, cresce ancora e diventa inarrestabile.
nelle parole di dio, lucifero non riesce mai a trovare alcuna rivelazione né risposta:
di tanto in tanto lucifero si chiedeva perché il loro padre non potesse spiegare in modo diretto la natura delle cose. erano sempre metafore, allusioni, parole studiate per essere interpretate. le prime falsità.
e intanto, lucifero incontra michele, l'angelo della forza, che per tanto tempo aveva ammirato durante i combattimenti.
potremmo chiamare amore quello che nasce tra loro ma il significato che diamo alle parole non può adattarsi a quello che succede a due angeli del paradiso, esseri eterni creati soltanto per amare dio. totalmente ed esclusivamente dio.
il rapporto tra lucifero e michele è un'amicizia totalizzante che si strugge della sua incapacità di essere qualcosa di più: c'è un'infinita tenerezza tra i due, un desiderio profondo di stare vicini, di toccarsi, di annullare i confini, ma non è nulla che sfiori anche solo lontanamente il nostro concetto di desiderio.
almeno fino a quando non succede quel qualcosa che stravolge lucifero, l'innesco osceno e brutale che dà il via a una lunga e sofferta strada verso la ribellione.

l'amore tra lucifero e michele e quello che dio impone ai suoi angeli da un lato sono diversi dall'esperienza di amore che abbiamo noi, creature finite e per nulla perfette, ma dall'altro rispecchiano benissimo i due concetti di amore sano e amore tossico. lì dove c'è reciprocità, dove c'è rispetto e parità, dove c'è voglia di rendere felice l'altro, ovvero nel rapporto tra i due angeli, nicolás ci racconta l'amore così come dovrebbe essere, un amore che è anche scoperta e conoscenza.
ma nell'amore che dio pretende c'è tutta la tossicità possibile, come se - cioè, è esattamente questo - quella pretesa fosse alla base di ogni orrore insito nelle culture patriarcali che tanto bene conosciamo e di cui tanto parliamo, provando a decostruirle e distruggerle.

il modo di scrivere di rafael nicolás è perfetto per questa storia, lirico e al tempo stesso semplice, capace di portare sul piano umano eventi che vanno molto al di là della nostra natura e della nostra possibilità di comprensione. nicolás ci permette di cogliere la dimensione propria del sentire e del pensare degli angeli e, attraverso le loro parole, quella di dio. dà loro un carattere e una personalità, rendendoli riconoscibili e unici pur nel loro essere perfetti.
ma il capolavoro della sua penna è la caratterizzazione di dio, una figura impossibile da descrivere, un essere che nemmeno gli angeli possono guardare direttamente, di cui però cogliamo alcuni sprazzi. immenso, potente oltre ogni immaginazione, l'idea di dio che ci arriva è respingente e spaventosa eppure terribilmente umana, inquietantemente vicina a quella di un padre che pretende amore dai suoi figli ma che non è capace di dare loro nulla, se non la possibilità di essere venuti al mondo. 
«impuro? che cosa vuol dire essere impuri?» nella sua testa, gridò: "sono diventato impuro? sono rovinato?".
«non conoscere l'impurità, vuol dire essere puri» rispose semplicemente il signore. «non tremare, lucifero, non hai nulla da temere [...] devi sempre mantenere la tua purezza, in tutti i modi possibili. la tua mente e il tuo corpo mi appartengono.»
la storia della guerra in paradiso la conosciamo già: lucifero raduna un esercito di angeli a lui fedeli e combatte contro dio, contro un altro esercito di angeli. una guerra soprattutto fratricida, una guerra che solo dio, in quanto dio, può vincere e che porterà alla caduta di lucifero e di tutti i suoi seguaci, scaraventati giù dal paradiso sulla terra, con così tanta forza da creare l'inferno stesso.
ma nicolás non si limita a riprendere il mito originale, si concentra invece sul come e sul perché della dannazione di lucifero, sulla sua origine, sul suo motivo e sul suo significato.
per farlo, non può che risultare blasfemo agli occhi dellə lettorə credenti. e come potrebbe non essere così? quale altra volontà, se non la sua, poteva concepire il nemico? quale altro potere, se non il suo, poteva corrompere lo spirito perfetto di un angelo?

noi cristianə - e non intendo necessariamente chi ha fede (chi scrive, ad esempio, non ne ha) ma chi è natə e cresciutə in una società prevalentemente cristiana, regolata da leggi morali e giuridiche che si rifanno a quelle cristiane e quindi a un intero sistema di pensiero fondato sull'insegnamento di cristo - abbiamo un'immagine incongruente e sdoppiata di dio: il dio del vecchio testamento e quello del nuovo sono profondamente diversi, per molti aspetti opposti, e quale che siano i motivi - legati alla fede o alla storia sociale, politica e culturale degli ultimi due millenni - per cui vogliamo accettare che sia sempre la stessa entità che decide di cambiare il suo rapporto con gli esseri umani, non riusciamo comunque a toglierci dalla mente l'idea di un dio buono, compassionevole e caritatevole.
ma dobbiamo fare uno sforzo e ricordarci che non è così: dio è terribile e chiede di essere temuto, oltre che amato e venerato. abbiamo deciso di adottare il dio degli eserciti di un popolo che non metteva carità e compassione tra i suoi valori fondamentali, e dunque non possiamo dimenticare l'ambiguità della natura di dio e del suo rapporto con gli esseri umani e, prima, con gli angeli.

nicolás fa quello sforzo per noi, ci ricorda che dio - il dio prima di gesù o, se preferite, lo stesso dio che costringe il suo stesso figlio a sofferenze indicibili e a una morte crudele e senza dignità - è temibile e incomprensibile, lontano dal pensiero umano. ci ricorda che è un dio forte (he whom thunder hath made greater, diceva il lucifero di milton), uno che non si fa scrupoli a ostentare la sua potenza e che agisce esclusivamente per sé, incurante del dolore di creature troppo piccole per valere qualcosa dinnanzi a lui.
questo è il dio di lucifero e questo è il motore primo della storia dell'angelo più bello, quello che porta la luce e che illumina dio e il creato intero.
quell'angelo che ci ricorda che perché ci sia luce, perché qualcuno brilli, qualcun altro deve rimanere nell'ombra e nell'oscurità.
e che se ombra e oscurità non esistono, allora bisogna crearle.

mercoledì 29 gennaio 2025

katie

sapeva che non c'era niente di cui vergognarsi a essere poveri, ma non poté evitare una fitta al pensiero dei continui sacrifici cui erano costrette lei e la madre, per la scarsità e precarietà di mezzi. a volte le capitava di sognare a occhi aperti gli abiti del guardaroba di jewel. sognava di visitare new york e di vedere l'oceano. sognava una vita che non fosse tutta fatica e privazioni. sognava cento sogni al giorno, uno più bello dell'altro, ma ciò che non si sarebbe mai sognata era quanto fosse a portata di mano la possibilità di esaudirli.


con katie torniamo ai paesaggi dell'america dell'800 a cui ci ha abituatə michael mcdowell, un paese di eccessi, in cui le classi sociali si distinguono nettamente, dove lə poverə arrancano avanti giorno per giorno strappando qualche ora di vita in più alle malattie, alla disperazione e alla fame mentre lə ricchə si annoiano tra serate di gala, pizzi e gioielli.
se però ne gli aghi d'oro le disuguaglianze sociali e un certo tono politico erano elementi portanti della trama del romanzo e in gioco trovavamo due famiglie rivali, in katie lo status di ogni individuo sembra più voluto da un capriccio del destino che l'espressione di un preciso sistema sociale, e la lotta si consuma tutta tra due donne: katie e philomena.
quello che accomuna i due romanzi sono, prevedibilmente, i numerosi ed efferati crimini che si consumano tra le loro pagine - che mcdowell sa descrivere con uno stile orripilante quanto ipnotico e affascinante - e lo stesso, identico (e in qualche modo preoccupante) senso di soddisfazione che ci dà arrivare alla fine e poter assaporare una sorta di rivalsa.

katie la conosciamo nel prologo, quando è ancora bambina e manifesta già un'indole psicotica che rivela il suo potenziale di serial killer. philo, invece, la incontriamo all'inizio della storia vera e propria, ed è la tipica ragazza povera, poverissima, ma volenterosa che sogna di cambiare la sua vita senza sapere bene come riuscirci e che è sempre stata circondata di persone la cui unica funzione - dal punto di vista narrativo, si intende - è quello di impedire ogni cambiamento: una madre arrendevole, un padrone di casa impietoso e arrogante, una non-amica acida e cattiva.
le vite delle due ragazze potrebbero non incrociarsi mai se non fosse per una complessa serie di morti, vedovanze e nuove parentele acquisite che portano katie a diventare la nipote del nonno di philo che, dopo anni e anni di silenzio, scrive alla figlia - la madre di philo - per farsi salvare dalle grinfie della nuora, del suo nuovo marito e della sua figliastra che lo tengono praticamente prigioniero nella sua stessa casa, lasciandolo sopravvivere quel tanto che basta finché non si deciderà a firmare il testamento e lasciare tutto a loro.

nella comparsa a sorpresa del nonno e nella promessa di una fortuna economica per nulla indifferente, philo vede non soltanto la possibilità di migliorare sensibilmente il proprio status sociale ma anche, e soprattutto, l'occasione di vedere finalmente sua madre felice, di nuovo riunita al padre perduto tanti anni prima. fingendosi una domestica per andare in soccorso del nonno, philo fa la conoscenza con la famiglia slape: richard, padre naturale di katie, e hannah, moglie di seconde nozze e matrigna di katie che, fin da piccolina, aveva cresciuto insegnandole ogni possibile crudeltà e disprezzo.
il terzetto è l'incarnazione del male, della cattiveria e - soprattutto nella figura di richard - della stupidità. il piano di philo per salvare il nonno - e i suoi soldi - viene scoperto presto: il povero vecchio fa una fine da incubo mentre philo viene accusata di un delitto mai commesso e ritorna non soltanto a essere povera in canna, ma braccata dalla polizia e da katie, la folle, brutale e pericolosissima "cugina".

da questo momento in poi, philo e katie viaggeranno su due binari paralleli, incrociandosi e raccogliendo l'una i resti dei delitti dell'altra, spostandosi dalla provincia alle affollatissime strade di new york, lì dove la vita corre avanti frenetica e ogni momento può essere quello decisivo per chiunque: si può incontrare un'amica sincera, trovare l'amore, diventare la segretaria personale di una facoltosa benefattrice, assistere a ogni genere di spettacolo teatrale, farsi predire il futuro, restare coinvoltə in incidenti mortali o finire due metri sotto il pavimento di una desolata cantina.

katie è un romanzo che, come tutti quelli nati dalla penna di mcdowell e già pubblicati in italiano negli ultimi anni, si fa leggere senza lasciare allə lettorə un solo momento di tregua, affastellando colpi di scena e turpi omicidi mentre la narrazione entra ed esce nell'interiorità dellə personaggə, mostrandoci le loro virtù, le debolezze e - soprattutto, perché in fondo è questo che cerchiamo nei libri di mcdowell - l'orrore.
personalmente, per quanto l'abbia trovato estremamente appassionante (quasi ossessionante!), non lo ritengo all'altezza di blackwater o de gli aghi d'oro dove, rispettivamente, l'aspetto magico/sovrannaturale o il tema politico riuscivano a dare qualcosa di più al racconto. katie è la storia dello scontro tra una furiosa serial killer e una ragazza di sani principi che vuole una vita migliore, due personegge che però rimangono confinate nelle loro definizioni e che non tradiscono mai il loro ruolo.
consigliato allə fan dell'autore, ma sicuramente non è da questo che partirei per iniziare a conoscerlo.

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venerdì 24 gennaio 2025

ultima fermata prima del vuoto

e se solo una di quelle nuove persone ipotetiche ne salvasse un’altra, con una parola, un’azione o un singolo atto sconsiderato? quanti futuri potrebbe portare dentro di sé quel minuscolo neonato insanguinato? quante vite potrei aggiungere al conteggio?

il conteggio. tutta la vita di decem rea sembra girare attorno al conteggio, un modo per riportare equilibrio nella sua vita e, in qualche modo, all'universo.
tenere fede al suo proposito non è facile e per riuscirci si ritroverà imbarcata in un'avventura folle il cui obiettivo non è più semplicemente sopravvivere e aggiungere numeri al conteggio, ma salvare la generale.

ultima fermata prima del vuoto è definito un western fantascientifico, ma aggiungerei all'etichetta anche punk e totalmente matto. per tutto il tempo, all'inizio della storia, ho pensato che questo libro stesse rischiando di essere un minestrone di cose già viste, da ken il guerriero a kids with guns passando per star warsthe mandalorian, mad max e the last of us. in effetti, stark holborn pesca a piene mani da immaginari che conosciamo bene: le ambientazioni desertico-western, le bande di tagliagola (taglia-un-po'-di-tutto-e-raccatta-quello-che-puoi-che-si-vende-bene a dire il vero) che arrivano all'improvviso in piena notte, la figura dell'eroe, anzi dell'eroina in questo caso, solitaria e con un passato misterioso e non del tutto limpido alle spalle che si ritrova, suo malgrado, a proteggere una bambina a dir poco speciale da chi le sta dando la caccia senza pietà, e un mucchio di personaggə impossibili da definire buonə o cattivə.

eppure, ultima fermata prima del vuoto è soltanto sé stesso. holborn ha imparato tantissimo da un mucchio di narrazioni che l'hanno preceduta e ha dato alla luce un romanzo con una sua identità ben definita, con personaggə solidə e una trama che, nonostante viaggi a velocità prossime a quella del suono, difficilmente perde un colpo.

il racconto si apre nel deserto delle desolazioni, il faro della narrazione puntato fisso su decem rea. alle spalle, un passato misterioso di cui è impossibile scuotersi la colpa di dosso, davanti a lei l'oscurità della notte e del futuro, tutto intorno i se, entità quasi magiche - che spostano ultima fermata prima del vuoto dalla fantascienza nuda e cruda verso contaminazioni più fantasy - che si insinuano nella mente, mostrano i possibili futuri e, forse, contribuiscono a trasformarli in presente. è da qui, in questo ansiogeno buio rischiarato da un fuoco minuscolo, che decem nota la nave spaziale schiantarsi sul pianeta. l'esperienza le dice che avvicinarsi è un suicidio, il conteggio le ricorda che non ha scelta. il disastro è totale, ci sono solo due sopravvissutə: un uomo, un soldato, pronto a esalare il suo ultimo respiro e una bambina, minuscola, avvolta in una divisa troppo grande per lei, priva di sensi.

l'incidente non è stato un incidente e gabi, la bambina, non è nulla di neppure lontanamente simile a una bambina come tutte le altre. nella lotta tra l'accordo e i senza confini che ha scosso l'universo e i cui effetti si ripercuotono ancora sulle vite dellə sopravvissutə, la forza minoritaria è sempre stata per decem qualcosa di molto simile a una leggenda: bambinə geneticamente modificati e potenziati per diventare soldatə praticamente imbattibili, che puntano non soltanto sulle loro capacità affinate dalla biotecnologia dell'accordo ma anche, e soprattutto, sullo shock di chi si ritrova davanti a unə bambinə sul campo di battaglia.

gabi è una di loro e, per qualche motivo, l'accordo la vuole morta. nonostante l'incontro con decem prima e tutto il periodo che passano insieme poi non sia esattamente rose e fiori, tra le due si instaura una sorta di fiducia dettato dalla necessità di sopravvivere, per gabi, e di onorare le proprie promesse, per decem.

il viaggio - o la fuga, se preferite - attraverso scenari che sembrano fatti apposta per vedere morire quante più creature possibili, è frenetico, totalmente matto, una corsa infinita verso una meta che sembra allontanarsi come fosse uno scherzo. ma è anche costellato di incontri con personaggə che, come tutto in questo romanzo, sono impossibili da definire secondo gli standard di un'etica che non tiene conto della necessità impellente di sopravvivere minuto dopo minuto.
ai morti non interessano i motivi per cui li hai uccisi.
holborn ci prende al volo per una manica e ci butta dentro a un mondo che gira troppo veloce, dove nessunə ti spiega nulla e ti conviene aprire bene gli occhi e cogliere ogni dettaglio per non perderti nel nulla. non è solo una metafora per rendere il senso di urgenza che pervade tutta la narrazione, ma è esattamente quello che si prova durante la lettura: lo show don't tell è portato ai massimi livelli, non abbiamo possibilità di distrarci nemmeno per un momento perché nessuna voce paziente ci spiegherà cosa diamine stiamo leggendo.

ve lo dico io, in breve: un romanzo folle e velocissimo che un attimo ci fa sentire a casa nel nostro bel nerd-mondo, l'attimo dopo ci sbatte in faccia che no, questa non è la solita storia di buonə e cattivə che si affrontano a colpi di raggi laser, questa è una storia che parla dell'incomprensibile e incoerente complessità degli esseri umani, di colpa e di redenzione, di cosa vuol dire cercare sé stessə - come personaggə, come creatorə di mondi fantastici, come lettorə e appassionatə di fantastico - e provare a definire la propria identità.

martedì 21 gennaio 2025

l'airone della pioggia

ma ancora più curioso fu quel che videro dopo: un airone gigantesco, del colore della pioggia, che con un balzo fulmineo emerse all'improvviso dall'acqua senza lasciare nemmeno un'increspatura.

mentre leggevo l'airone della pioggia immaginavo i paesaggi e lə personaggə come se fossero quellə di un film dello studio ghibli. le atmosfere e le tematiche in effetti si avvicinano moltissimo a quelle che si ritrovano nei film diretti da miyazaki, ma declinate in modo molto più cupe e adulte.
già dall'inizio, da quel capitolo zero che somiglia a una favola o a una leggenda antica, robbie arnott ribalta i toni del racconto popolare. c'era una volta una contadina molto povera e sfortunata. un giorno l'airone della pioggia decise di aiutarla, e la contadina iniziò a vivere una vita felice e prospera, senza avidità, condividendo con lə altrə la sua nuova fortuna.
ma gli esseri umani sono creature capaci di invidia, gelosia e crudeltà, e per colpa di uno di loro, della sua rabbia cieca e dei suoi atti scellerati, la contadina tornò a vivere nella sfortuna e nella miseria, abbandonata dall'airone della pioggia, fino al giorno in cui incontrò una morte solitaria e miserabile.

misterioso e capriccioso come un dio, l'airone della pioggia è una creatura nata nella leggenda. o almeno, ren l'ha sempre pensato così, fino al giorno in cui, dopo un'interminabile scalata tra le montagne quando era ragazzina, sua nonna non la condusse fino a dove viveva l'airone.
vivo, reale, lì davanti ai suoi occhi questa creatura impossibile, pallida e lucente, appariva proprio come nelle leggende: il corpo fatto d'acqua, capace di lasciare filtrare attraverso di sé i raggi del sole, di librarsi in volo e di fluire come un ruscello. non poteva più dubitare, adesso, della sua esistenza, né faticava a credere che avesse potere sulla pioggia e sulla siccità, sull'abbondanza e la carestia, sulla vita e sulla morte.

adesso, ren vive sulla montagna, lontana dal resto dellə abitanti del paese e dalla guerra. le sue giornate sono difficili e pericolose, il suo tempo è tutto votato alla caccia e alla raccolta, alla sopravvivenza che in buona parte dipende anche dalla sua amicizia con barlow, un uomo che le procura quello che non può trovare nei boschi in cambio di qualcuna delle sue prede.
la loro è un'amicizia strana, fatta di silenzi interrotti da poche parole, solo se necessario. ren non vuole conoscere la sua vita, non vuole parlare della sua famiglia né di suo figlio: sa, per esperienza, di quali follie siano capaci lə giovanə, quanto sia facile per loro scegliere male e ferire chiunque pur di seguire ostinatamente le loro idee.
le giornate di ren sono difficili e pericolose ma immerse in paesaggi selvaggi, ostili e bellissimi. robbie arnott sa raccontare il bosco con parole che sanno farci sentire il suono dei ruscelli e respirare l'aria fresca che passa tra le foglie. la vita di ren è spalancata sull'enormità dell'essenziale: procacciarsi il cibo, trovare rifugi caldi e sicuri, difendersi dai pericoli, strappare alla grandezza del mondo un giorno dopo l'altro.
ma il giorno in cui un manipolo di soldati, guidati da una donna giovane, bellissima e spietata, segna la fine di tutto. ferita e braccata, ren è diventata la preda della comandante harker e del suo obiettivo: catturare l'airone della pioggia.

la storia di harker inizia lontano dal bosco, al nord del mondo, in un paesino gelido accovacciato sulle rive del mare. lì, la gente custodiva gelosamente il segreto dell'inchiostro che commerciava con il resto del mondo, garantendosi prosperità persino in un angolo di mondo così sperduto e ostile.
orfana, harker viveva con la zia, la donna che le aveva insegnato il segreto della pesca e della produzione d'inchiostro e che rideva di ogni cosa, in modo incontrollabile e spesso incomprensibile.
la vita della piccola harker e di tutto il villaggio viene stravolta dall'insistenza di un forestiero deciso a massificare la produzione di inchiostro e di arricchirsi con quel segreto che nessunə era disposto a condividere con uno straniero.
ma l'avidità, si sa, non porta altro se non disgrazie e fallimenti e harker, perduto il suo posto sul mare, inizia a viaggiare, diventa una soldata, si unisce alla guerra e si piega agli ordini di chi, probabilmente, non avrebbe mai ascoltato quando era bambina.

l'airone della pioggia è stato definito una eco-favola ma credo che meriti qualcosa di più di un'etichetta così facile. robbie arnott ha uno stile asciutto, essenziale ma allo stesso tempo poetico ed evocativo, capace di mostrare paesaggi incantevoli e spaventosi, e di raccontare le turbolenze che investono l'animo umano. le storie di ren e harker, il modo in cui i loro destini si incontrano e si intrecciano quasi come fossero divinità capricciose a orchestrarne le coincidenze, dà al romanzo un tono sì fiabesco, ma più vicino al mito che al racconto per bambinə.

durante la lettura, l'incanto per i paesaggi naturali e gli elementi quasi magico-mitologici che ne fanno parte si contrappone con violenza al senso di rabbia e frustrazione che nasce dalla riflessione sull'avidità, sullo sfruttamento impietoso, sul desiderio di dominio di pochə che però stravolge la realtà di moltə, offendendone la memoria e mortificandone il futuro.
ci sono infiniti modi per criticare gli effetti devastanti del capitalismo, della guerra e del colonialismo ai danni delle popolazioni, umane e non, e delle loro terre. scegliere tra tutti questi il romanzo - focalizzarsi cioè su storie individuali e scandagliarle anche dal punto di vista più intimo, evocare immagini così nitide ed emozioni così forti - è forse la via più breve per toccare i nostri sentimenti e risvegliare la nostra più profonda consapevolezza del mondo in cui viviamo.
l'airone della pioggia è più che un'eco-favola, è una denuncia contro la frattura tra umano e non-umano in nome del potere e della ricchezza, una denuncia rabbiosa e addolorata che però si concede la speranza di una redenzione.

giovedì 16 gennaio 2025

il mondo della foresta

il terreno non era asciutto e solido, ma umido ed elastico, prodotto dalla collaborazione degli organismi viventi con la lunga complicata morte delle foglie e degli alberi; e da quel ricco cimitero crescevano sia alberi di trenta metri, sia minuscoli funghi che spuntavano in cerchi larghi poco più di un centimetro. l'odore dell'aria era sottile, vario e dolce. la vista non spaziava mai, a meno che non si guardasse in alto, fra i rami, e non si scorgessero le stelle. nulla era puro, secco, arido, netto. le rivelazioni mancavano all'appello. non esisteva la visione di tutte le cose nello stesso tempo: non c'erano certezze.

una delle ultime letture di fine 2024 - e, soprattutto, uno dei libri che è finito dritto dritto nella mia lista di preferiti dell'anno e dei miei preferiti in generale - è questo breve ma densissimo romanzo di ursula k. le guin, il mondo della foresta, il sesto libro del ciclo dell'ecumene (di cui aspettiamo ancora diverse riedizioni), scritto - come spiega l'autrice nell'introduzione, in un momento delicatissimo per la storia recente dell'umanità, ovvero durante gli anni della guerra in vietnam e durante i primi tempi in cui si iniziava a parlare di disastri ecologici e di necessità di tutela degli ecosistemi del nostro pianeta.

sebbene lei si rimproveri di aver dato un tono troppo moralista a questo racconto, io credo che sia riuscita a scrivere un piccolo capolavoro che è formalmente un romanzo e che, tra le righe, svela un bellissimo manifesto che riassume alcuni dei temi fondamentali delle sue opere (che sono poi, necessariamente, riferiti agli ideali a cui si è sempre rifatta come persona): l'anticolonialismo, il pacifismo, l'ecologismo, la lotta contro ogni forma di discriminazione e sopraffazione.

ma quello che più di ogni altra cosa mi ha colpita de il mondo della foresta è il modo in cui la sua penna sia riuscita a incarnare due personaggi, e quindi due tipologie di pensiero, così straordinariamente opposte e con una tale efficacia: il romanzo si apre presentandoci il capitano davidson, un personaggio quasi grottesco e caricaturale se non fosse così plausibilmente reale.
davidson è uno dei militari che tengono sotto controllo il pianeta colonia athshe - chiamato dai terresti new tahiti - il rigoglioso mondo-foresta (è interessante e significativo il gioco di parole fatto con il titolo originale: the word for world is forest) che la terra ha colonizzato e trasformato nella sua personale riserva di legname, un materiale ormai impossibile da reperire, il cui valore è più alto di quello di qualsiasi metallo o minerale prezioso.
athshe però, non è semplicemente una legnaia da cui prelevare risorse a piacimento: qui vivono lə athshianə, una delle tante possibili declinazioni della stirpe hainita, che si è adattata a vivere su un pianeta che è, come spiega il titolo, un'enorme foresta.
piccolə di statura e ricoperti di una soffice peluria verde, vengono chiamatə - con una certa sufficienza che sfocia in un non troppo celato disprezzo - creechie dai coloni terrestri. quello dellə athshianə è un popolo intrinsecamente pacifico, strutturalmente incapace di violenza, che dà una straordinaria importanza all'interiorità personale di ogni individuo, alla sua capacità di connettersi con un piano di esistenza più profondo che si mette in atto attraverso il sogno e, più precisamente, nella capacità di sognare con lucidità e di ricordare i sogni come strumento di consapevolezza e conoscenza di sé e della realtà tutta.
un modo di vivere talmente differente e distante da quello di davidson e dal suo esercito da risultare del tutto incomprensibile per questi colonizzatori profondamente razzisti e per nulla interessati a costruire dei rapporti pacifici e costruttivi con la popolazione indigena.

una delle cose che più mi piace di le guin è la sua attenzione antropologica per le strutture sociali e culturali che descrive nei suoi romanzi che rendono molto più realistici i mondi in cui si svolgono le vicende come, ad esempio, succede quando ci descrive il modo in cui lə athshianə si dividono i compiti tra maschi e femmine, quando ci spiega il loro rapporto con i sogni e l'influenza che questi hanno nella loro vita, ma anche quando ci mostra le logiche del pensiero razzista, oppressivo e coloniale dei terrestri di base a athshe.

i popoli de il mondo della foresta sono agli antipodi sotto molti punti di vista e il loro incontro sarà inevitabilmente catastrofico. l'arrivo dei coloni terrestri e il loro comportamento oppressivo e sfruttatore farà scoprire allə athshianə la violenza per la prima volta. dopo gli inutili, efferati abusi che sono costrettə a subire, i loro sogni iniziano a cambiare, a partire da quelli di selver, un athshiano vittima della crudeltà di davidson, che diventa così - agli occhi dellə athshianə - un dio, ovvero un'entità capace di mutare radicalmente e permanentemente la realtà.

la metafora con la guerra del vietnam - ma che si può traslare in ogni altro contesto geografico e in ogni altro periodo storico che ha visto (e sta vedendo) gli effetti della colonizzazione occidentale - è più che mai chiara: un popolo pacifico viene occupato, oppresso, violentato, ucciso, sfruttato e disumanizzato, la sua terra distrutta e depredata da uomini che credono di agire in nome di un qualche diritto che li colloca al di sopra di ogni legge e di ogni etica. quel popolo è costretto a stravolgere sé stesso, la propria natura, la propria fede, le proprie credenze e abitudini per fronteggiare il nemico e resistere all'insensatezza crudele dei coloni.
chi non aveva mai neppure immaginato di prendere una vita adesso impara a pianificare attentati il più possibile letali, con il solo intento di salvaguardare la propria sopravvivenza e quella del pianeta stesso, consapevole del fatto che non vi è alcuna differenza né possibilità di separazione tra le due cose.
le guin ci dice che non c'è possibilità che i coloni agiscano in modo differente: per quanto uno dei personaggi terrestri, il dottor lyubov, possa essere interessato a comprendere lə athshianə e il loro mondo e a istaurare una convivenza pacifica, il suo stesso approccio scientifico viene fatto oggetto di appropriazione da parte dei soldati, che sfruttano le conoscenze di lyubov per realizzare i propri progetti (proprio come racconta la storia dell'antropologia e il suo pessimo uso soprattutto tra fine '800 e inizio '900).

le guin non concede alcuna redenzione al contingente militare terrestre su athshe proprio come non ne concede al governo del suo paese: l'oppressione di altri popoli e lo sfruttamento insensato e sfrenato delle risorse non possono che condurre a una catastrofe da cui non si può tornare indietro, che stravolge e avvelena sia le vittime che i carnefici: selver non potrà mai affrancarsi dal male che ha commesso, anche se è stato fatto per liberare il suo popolo, lə athshianə tuttə non potranno tornare al modo in cui vivevano prima di scontrarsi con i terrestri; e allo stesso modo i terrestri non potranno mai cancellare i crimini commessi su athshe.
proprio come l'america - e l'occidente tutto - non sarà mai assolta per la guerra in vietnam e per quella che ha portato ovunque in giro per il mondo, per come ha distrutto le risorse di mezzo pianeta, per come ha dominato, sfruttato e ucciso.
«a volte arriva un dio» disse selver. «porta un nuovo modo di fare una cosa, o una nuova cosa da farsi. un nuovo tipo di canzone, o un nuovo tipo di morte. la porta facendole attraversare il ponte che c'è tra il tempo del sogno e quello del mondo. e, una volta che l'abbia fatto, è fatto. non puoi prendere le cose che esistono nel mondo e cercare di ricacciarle nel sogno, di trattenerle all'interno del sogno mediante pareti e finzioni. questa è pazzia. ciò che è, è. è inutile adesso fingere, adesso, che non sappiamo ucciderci l'un l'altro»
è passato quasi mezzo secolo dalla prima pubblicazione di the word for world is forest e ancora, nonostante le centinaia di migliaia di voci che si alzano contro la colonizzazione di popoli e terre non si siano mai zittite per un solo momento, i nostri governi continuano ad agire come i davidson di turno, schiacciando, opprimendo e distruggendo. athshe insegna però che il momento della liberazione, per quanto difficile e sofferto sia, arriva.
ecco perché quelle voci non taceranno mai, ed ecco perché l'umanità continuerà a raccontare storie come questa, perché continuerà a protestare, a sabotare, a boicottare, a lottare.