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mercoledì 28 agosto 2024

commenti randomici a letture randomiche (87)

qualche considerazione sulle ultime letture di queste settimane di vacanza benedette, che sono un po' volate, come volano tutti i momenti piacevoli, tra pomeriggi di letture e coccole con le micie e mattine al mare e altre mille cose.
sono abbastanza carica da tornare su e ricominciare? non ne ho idea. ma so che eventualmente i libri saranno sempre molto d'aiuto.

 il glicine rampicante e altri racconti gotico-femministi 
john è un medico, e forse (certo, non lo direi ad anima viva, ma questa è carta morta e un gran sollievo per la mia psiche) forse questo è uno dei motivi per cui non migliori più in fretta.
vedete, lui non crede che io sia malata!
e una che ci può fare?
se un medico di grande fama, e che per giunta è anche tuo marito, assicura ad amici e parenti che una temporanea depressione nervosa - una leggera tendenza isterica - non è davvero niente di che - una che ci può fare?
anche mio fratello è medico, anche lui di grande fama, e dice la stessa cosa.
quindi prendo fosfato e fosfiti - di qualsiasi cosa si tratti - e ricostituenti, e faccio gite, sto all'aria aperta, faccio esercizio fisico, e mi è stato proibito di "lavorare" finché non mi sarò ripresa.
personalmente, non concordo con le loro idee.
personalmente, credo che un lavoro che mi sia congeniale, che mi dia entusiasmo e novità, mi farebbe bene.
ma una che ci può fare?

la carta da parati gialla è il racconto più famoso di charlotte perkins gilman, scrittrice ed economista femminista vissuta tra la seconda metà dell'ottocento e l'inizio del novecento, quello da cui è tratto il brano qui sopra. è un racconto che, come gli altri di questa raccolta, si fa mezzo di espressione delle rivendicazioni delle donne in un periodo in cui gli uomini controllavano, giudicavano e regolamentavano ogni aspetto della loro esistenza.
la carta da parati gialla è quella che riveste la camera dove una donna è confinata dal marito medico a seguito di una depressione post-partum. l'illustre luminare è convinto che il riposo assoluto, lontano da tutto e da tuttə possa aiutarla a stare meglio. ovviamente, l'isolamento e il divieto di dedicarsi a qualsiasi tipo di attività - soprattutto quelle intellettuali - porterà la donna a impazzire lentamente, fino a convincersi che un'altra donna viva intrappolata dietro i disegni dell'orribile carta da parati che riveste le mura della sua camera, metafora perfetta della sua condizione e di quella di tutte le altre donne della sua epoca.
fantasmi, streghe, atmosfere inquietanti e oniriche sono gli elementi chiave di questi racconti, e se da un lato si accordano a un certo gusto per il gotico, dall'altro si fanno metafora della condizione femminile: donne come fantasmi, presenze fuggevoli e mero oggetto di desiderio ma anche creature pericolose e spaventose. donne streghe, capaci di piegare la realtà ai loro desideri ma solo fino a un certo punto; donne che diventano uomini e iniziano a guardare il mondo con occhi diversi; donne schiave dell'essere mogli, madri, padrone di casa, oberate dalla mattina al tramonto, responsabili di tutto e padrone di niente.
tra i racconti, in questa raccolta sono presenti anche alcune poesie che parlano dell'ansia della vita di ogni giorno, delle costrizioni delle convenzioni sociali e del desiderio di sfuggirvi, costruendo realtà nuove, nuovi spazi di libertà e uguaglianza.

una lettura sicuramente piacevole, vista la qualità dei racconti, ma anche amara: i desideri, le speranze e le denunce di charlotte perkins gilman riecheggiano anche oggi, diverse nella forma ma troppo simili nella sostanza. nonostante i decenni che ci separano da queste storie, le personagge che le abitano continuano a parlarci della nostra vita.

 la strana storia dell'isola panorama 
a prima vista si potrebbe pensare che si tratti soltanto di un enorme parco, ma alcuni vi indovinano un qualche progetto stravagante dietro, o ancora avvertono qualcosa di artistico. al contempo, tuttavia, non possono fare a meno di venire scossi da un brivido, come se la zona traboccasse di un profondo rancore, di un terrore palpabile.
a dire il vero, a tale riguardo gira una storia, per quanto incredibile. una strana storia che per le persone vicine alla famiglia komoda è un segreto di pulcinella, ma la cui parte cruciale è nota solo a due persone. se vorrete credere al mio racconto e se lo ascolterete fino alla fine per quanto assurdo vi possa sembrare, sono pronto a svelarvi questo segreto.

erano anni e anni che mi dicevo che prima o poi avrei letto la strana storia dell'isola panorama, ma mi ci è voluto il consiglio di valentina per decidermi. è una storia strana per davvero quella di hitomi hirosuke - che diventa presto "il fu hitomi hirosuke" - un uomo complesso, perversamente intelligente, affascinato da mille cose ma ossessionato da una soltanto: costruire un paradiso artificiale, piegare la natura secondo la sua personale idea di bellezza per trasformare la vita in opera d'arte. il più grosso ostacolo alla realizzazione del suo sogno è, ovviamente, il costo spropositato che un'idea del genere richiederebbe. hirosuke tira a campare provando, con scarso successo, a pubblicare romanzi e racconti, senza mai riuscire ad affermarsi come scrittore.
è proprio perché non può realmente mettere in pratica la sua idea che quel sogno diventa, pian piano, un chiodo fisso, un'ossessione per la quale hirosuke rinuncerebbe a qualsiasi cosa.
così un giorno, quando gli si presenta l'occasione della vita - anche se all'inizio tentenna di fronte all'audace follia dei suoi propositi - hirosuke la coglie al volo.
viene a sapere che il giovane, potente e ricchissimo capofamiglia dei komoda, genzaburo, suo ex compagno di università, è morto improvvisamente per un attacco epilettico.
per tutti gli anni dell'università, hirosuke si è sentito ripetere quanto fosse la spaventosa la somiglianza con komoda, due gocce d'acqua, quasi indistinguibili.
l'idea che nasce in un attimo nella sua mente è semplice: inscenare il proprio suicidio, smettere di esistere come hitomi hirosuke e prendere il posto di genzaburo, sfruttando soprattutto la credenza che molto spesso gli attacchi epilettici portassero a una morte solo apparente.
idea semplice ma terribile, in cui hirosuke mette tutto il suo ingegno senza rimpianti né crisi di coscienza. nei panni di un komoda letteralmente risorto dalla tomba, non soltanto sa carpire tutte le informazioni utili a convincere chiunque - la famiglia, i dipendenti e persino chiyoko, la moglie di genzaburo - della sua storia e della sua nuova identità, ma riesce in poco tempo a creare, sulla vicina isola di okinoshima, una sorprendente varietà di panorami, scenari sospesi tra il sogno e l'incubo, carichi di una bellezza malsana e folle: tunnel sottomarini, foreste che sembrano infinite, scalinate altissime, sculture viventi e straordinarie coreografie messe in scena da deliziose ballerine nude che popolano le vedute dell'isola.

essere riuscito a ingannare i komoda, a mettere le mani sul loro patrimonio per realizzare il suo sogno e a costruire l'isola, però, non può bastare. quello che un tempo era hirosuke è terrorizzato all'idea di perdere tutto ciò che ha ottenuto, e quando chiyoko inizia a nutrire dei sospetti...

la trama, di per sé, è ben congegnata e, anche se a volte abbastanza prevedibile, la lettura è appassionante e piacevole perché edogawa ranpo non soltanto ha un bello stile - e la traduzione di alberto zanonato gli rende perfettamente giustizia - ma soprattutto perché riesce a farci sentire e comprendere i pensieri di hirosuke, i suoi desideri, il suo modo di agire folle, perverso e, al tempo stesso, freddo e lucido.
hirosuke è mosso dalla sua ossessione al punto di piegare ogni azione al progetto dell'isola panorama, e la sua idea blasfema di arte distorce ogni sua creazione, dando alla bellezza di ogni paesaggio una sfumatura spaventosa e inattesa, appesantendo le atmosfere, rendendole macabre e insane, come sogni dentro cui si celano incubi.
si avverte, per tutto il tempo, la presenza di qualcosa di inquietante dietro l'eleganza esasperata degli scenari dell'isola, così come si avverte la follia di hirosuke dietro la sua formidabile capacità di realizzare l'impossibile grazie al suo ingegno sconfinato. leggendo, resta quel pizzicorio dietro il collo, quel brivido costante di raccapriccio e piacere, dato soprattutto dall'equilibrio perfetto tra le immagini che il racconto suggerisce, a volte meravigliose, l'attimo dopo agghiaccianti.
edogawa ranpo, tenendo fede al suo nom de plume, omaggia i racconti di edgar alla poe e la letteratura gotica occidentale con un racconto che è, però, molto più che una semplice rivisitazione di stili e schemi narrativi. la strana storia dell'isola panorama sa condensare in poche pagine un'atmosfera elegantissima e decadente e squisitamente orientale, permettendoci di immergerci totalmente in un giappone tanto affascinante quanto pericoloso.

giovedì 15 agosto 2024

legami di sangue

la casa, i libri, sparì tutto. all'improvviso mi ritrovai all'aperto, inginocchiata a terra sotto degli alberi. ero in una radura verde, sul limitare di un bosco. davanti a me c'era un fiume largo e tranquillo e , all'incirca in mezzo al fiume, c'era un bambino che si dibatteva nell'acqua e strillava... stava affogando!

giugno 1976. sono passati due secoli dalla dichiarazione d'indipendenza americana e poco più di cent'anni dall'abolizione della schiavitù.
dana e kevin sono una coppia mista, lei nera e lui bianco. a unirlə è stato il desiderio di affermarsi entrambə come scrittorə. quando kevin riesce nell'impresa, possono finalmente permettersi una casa insieme dove portare tutti i loro libri, ed è proprio mentre stanno mettendo in ordine l'enorme mole di testi nel loro nuovo appartamento che dana accusa uno strano malessere.
vertigini, nausea, la stanza che scompare e un paesaggio del tutto sconosciuto che prende il suo posto.
dana non riesce a spiegarsi cosa le stia succedendo ma non ha neppure il tempo di pensarci troppo perché lì davanti a lei c'è un bambino che sta per annegare. dana lo salva ma lə genitorə del ragazzino non sono affatto riconoscenti, e quando il padre le punta un fucile alla testa, in preda al terrore per la propria vita, dana ritorna al suo presente fatto di scatoloni del trasloco e un appartamento ancora da trasformare in casa. per lei sono stati minuti densissimi, per kevin pochi secondi appena.
l'avvenimento ha dell'incredibile, è troppo realistico per essere un'allucinazione e kevin l'ha davvero vista sparire e riapparire, con gli abiti infradiciati dell'acqua fangosa del fiume.

il secondo "viaggio" la sorprende qualche ora dopo. lo stesso bambino, cresciuto di qualche anno, di nuovo in pericolo. questa volta la sua permanenza dura decisamente di più, quel tanto che le basta per scoprire che è il 1815, che il ragazzino si chiama rufus weylin e che è il figlio di un proprietario di una piantagione. e di parecchiə schiavə.
frugando tra i suoi ricordi, dana si rende conto che il bambino con i capelli rossi e la pessima abitudine di cacciarsi nei guai è uno dei suoi antenati. un antenato che, a quanto le pare di capire, riesce a chiamarla nella sua epoca ogni volta che si trova in pericolo di vita.
nella vecchia bibbia dove dana ha letto i nomi del suo albero genealogico, accanto a quello di rufus figura anche una certa alice. nel 1815 è una bambina anche lei, una bambina nera, libera, in un mondo che non fa che aspettare il momento giusto per privarla della sua libertà.
questa sarà la prima permanenza lunga di dana nell'epoca di rufus, la prima di una lunga serie che le permetteranno di seguire la crescita del suo antenato, di proteggerlo per scongiurare la sua scomparsa, e anche di imparare a conoscere il mondo in cui vive, l'america ai tempi dello schiavismo.
un'epoca in cui - come dice a kevin, che viene a sua volta trascinato con dana nel passato - è facile abituarsi all'idea che un essere umano possa possederne un altro e decidere della sua vita. troppo facile, pericolosamente facile, anche per due persone che conoscono gli orrori della storia e che sono cresciute in un mondo che ha giurato di rifiutarli.
storie di pestaggi, fame, sporcizia, malattia, tortura, tutte le possibili forme di degradazione. come se i tedeschi avessero provato a condensare in pochi anni quello in cui gli americani si erano cimentati per quasi due secoli. [...] al pari dei nazisti, c'erano stati dei bianchi prima della guerra di secessione che se ne intendevano parecchio di tortura, più di quanto avrei mai voluto sapere.
nei suoi viaggi nel tempo, nonostante sia rufus sia il resto della sua famiglia abbiano in qualche modo capito che lei viene da un futuro diverso in cui bianchə e nerə sono liberə, dana è costretta a vestire i panni da ne*ra, a vivere situazioni di pericolo sia come persona razzializzata che come donna. ed è costretta a calarsi in un sistema di pensiero diversissimo dal suo, un intricato complesso di regole e relazioni - che oggi chiameremmo tossiche - tra bianchə/padronə e nerə/schiavə, molto più complesse di quanto si potrebbe immaginare, tanto per sopravvivere quanto per non mettere in pericolo altre vite.

la protagonista è dana ma la figura di rufus è centrale: quando è piccolo, rufus non corrisponde di certo allo stereotipo del bianchi schiavista, anzi, intrattiene rapporti che si potrebbero definire quasi di amicizia con lə schiavə più giovani (anche se, ovviamente, non manca una fortissima gerarchia di potere), tra cui alice, quella che un giorno metterà al mondo una delle bisnonne di dana. per lei è una speranza, l'illusione che il suo sangue discenda da un'unione capace di superare i pregiudizi razziali dell'epoca. ma è, appunto, solo un'illusione.
illusione che mi ha subito fatto pensare che anche dana, come rufus, è figlia del suo tempo, che non le è mai passato per la mente che un'unione come quella tra uno schiavista e una schiava potesse essere qualcosa di diverso dall'amore romantico che lei immagina.

rufus è un uomo del suo tempo, dicevo, non necessariamente crudele ma imbottito di idee razziste e misogine, incapace di pensare fuori dal percorso tracciato per lui da suo padre e, in generale, dal modo in cui funziona la società della sua epoca.
riflettendo sulle violenze messe in atto da tom weylin, dana fa un'osservazione interessante: non c'è alcun tipo di sadico compiacimento in quei gesti, anzi, sono azioni quasi vuote, nulla più che un dovere da compiere per un uomo che ha la responsabilità di mandare avanti una tenuta così grande. la violenza è così istituzionalizzata da non essere neppure riconosciuta come tale, lə nerə così disumanizzatə da non permettere in alcun modo di mettere in dubbio la legittimità delle proprie azioni. ed è una violenza che ha una forte connotazione di genere e che si esprime in modo diverso nei confronti degli uomini e delle donne, confinandoli ancora di più nei loro ruoli stereotipati, i primi come pura forza lavoro, le seconde come riproduttrici di nuovə schiavə, utili anche, al bisogno, a soddisfare i bisogni dei padroni.

non esiste alcuna possibilità di incontro tra bianchə e nerə. dana, che è nera ma è colta, sa leggere e scrivere e sa parlare come una bianca, è in realtà esclusa da ciascuna di queste due realtà parallele ma nettamente separate. anche per questo l'amore tra dana e kevin è impossibile da comprendere pienamente, persino per rufus: l'amore che weylin dice di nutrire per alice non è nulla di più che un assoluto desiderio di possesso e controllo che distruggerà, nel tempo, la vita della povera ragazza.
e alice, per quanto sia gonfia di odio e desiderio di vendetta, non riesce neppure a immaginare un modo per sfuggire da rufus che non preveda il proprio autoannientamento.
rufus pretende amore con la forza, con prepotenza e violenza, incapace di provare qualcosa che non sia altro che la convinzione di poter avere ogni cosa che desidera dalle persone che possiede come schiave.
ha imparato a relazionarsi in modo sbagliato e perverso con lə altrə da sua madre - che lo ammorbava con un amore opprimente e inutile - e da suo padre - un uomo incapace di esprimere qualsiasi tipo di sentimento verso chiunque, persino di provarli, dei sentimenti. un uomo capace di vendere lə suə figliə illegittimə come fossero una qualsiasi merce.
anche nei confronti di dana, rufus prova sentimenti ambigui che però non sfuggono al suo unico modo di intendere le relazioni: per quanto apprezzi la sua intelligenza, la sua cultura e il suo carattere, rufus continua a considerarla poco più che una cosa di sua proprietà, pretende obbedienza cieca e non tollera di non avere il controllo assoluto sulle sue azioni e sui suoi pensieri.

legami di sangue di octavia e. butler è un romanzo di fantascienza così come è un romanzo storico. ma è anche un interessantissimo - per quanto empiricamente impossibile e solo immaginario - esperimento antropologico che mette in scena l'incomunicabilità, da un lato, tra epoche storie diverse, e dall'altro tra gruppi sociali antagonisti, e l'assoluta non-naturalità dei modi in cui pensiamo e ci relazioniamo con lə altrə. il livello di "umanità" di una persona, delle sue azioni e del suo sistema di valori non è innato, non è naturale né spontaneo, anzi, è profondamente informato dalla cultura in cui vive, dalle idee che ha appreso durante la sua vita, dai modelli che ha avuto durante la sua crescita. rufus non è "cattivo", semplicemente si adegua a un sistema in cui bianchə e nerə hanno ruoli sociali ben determinati e profondamente in contrasto. il problema non è "rufus" o suo padre, il problema è il sistema che li ha plasmati e che loro contribuiscono a tenere in piedi, un sistema che anche nell'epoca di dana - e nella nostra - rimane latente, pronto a tornare in qualsiasi momento. e, ancora una volta, si intravede nella facilità con cui anche le persone più colte e meno razziste - kevin e dana, in questo caso - possono abituarsi a vivere al suo interno.

un romanzo straordinario e appassionante che mi ha tenuta incollata alle sue pagine e mi ha sorpresa ed emozionata più e più volte, soprattutto per merito dellə personaggə estremamente reali e complessə. leggere legami di sangue è stato un po' come fare, a mia volta, un viaggio nel passato, guardare la storia del nostro "civile" occidente attraverso gli occhi di dana e soprattutto attraverso la sua sensibilità e consapevolezza (quasi) contemporanea.

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lunedì 12 agosto 2024

damsel

la dedizione di elodie a inophe era oggetti di profondo rispetto. per buona parte della settimana, la ragazza cavalcava sotto il sole rovente recandosi da un affittuario all'altro per controllare di cosa avesse bisogno. li aiutava in tutto - costruendo trappole per topi per proteggere i pollai o leggendo fiabe di draghi e principesse ai bambini - e adorava ogni secondo di quelle giornate. l'avevano cresciuta per farlo. come diceva sempre sua madre, «dare se stessi agli altri è il sacrificio più nobile»

nelle fiabe la principessa rapita dal drago guarda dalla finestra della sua alta torre in attesa di un valoroso e intrepido principe che venga a salvarla. nelle fiabe, di solito, la principessa ha (o aveva) un buon padre saggio, una matrigna crudele e una sorella/sorellastra invidiosa (perché, si sa, le donne sono le peggiori nemiche delle donne - ugh). nelle fiabe, dopo lo scontro con il drago cattivo, il principe sposa la principessa e, ovviamente, vivono felici e contentə da qualche parte oltre le pagine del libro, perché il matrimonio è la fine della storia, l'obiettivo ultimo, il primo premio che spetta alle principesse belle, buone e di animo nobile.

gli stereotipi e la struttura stessa delle fiabe, nella sua imperturbabile rigidità, hanno sempre avuto lo scopo di insegnare allə piccolə lettorə - o ascoltatorə - quali sono le regole della società, quali gli atteggiamenti da imitare e quali quelli da evitare, qual è, insomma, il ruolo di ciascunə di noi nel mondo e in relazione allə altrə.
ma se quegli stereotipi sono figli di una certa società, di un certo momento storico e di determinate coordinate spaziali, a un certo punto devono cambiare, adattarsi al mutamento sociale e alle persone che quel mutamento lo creano, lo esprimono e che hanno bisogno di comprenderlo per realizzarlo pienamente.

damsel di evely skye fa esattamente questo: prende gli elementi della fiaba e li ridefinisce e ricombina per tracciare una mappa di ruoli e sistemi relazionali nuova, più adatta ai nostri tempi, capace di parlare soprattutto alle lettrici più giovani e di fornire loro modelli di riferimento più sfaccettati, complessi e positivi. il risultato non è soltanto un nuovo sistema di personaggə ma anche - e soprattutto! - una storia appassionante che riesce, proprio in virtù del suo reinterpretare i topoi della fiaba, a sorprendere.

lady elodie bayford è la primogenita del duca e della duchessa di inophe, una cittadina arida e poverissima che, mentre tutto il resto progrediva, scivolava sempre più nel passato, basando la sua esigua economia sul baratto e sul mutuo aiuto.
elodie è cresciuta qui ed è cresciuta in fretta perché, da quando a dieci anni è rimasta orfana di sua mamma, è lei che si occupa insieme a suo padre di gestire il ducato e di assicurare a tuttə una vita dignitosa. nonostante il suo titolo, elodie non si risparmia mai, che si tratti di accudire lə bambinə o scavare una latrina in una nuova casa per una coppia di neo sposinə.
ma, un giorno, elodie si ritrova tra le mani la possibilità di risolvere tutti i problemi di inophe in modo facile e sicuro: il principe ereditario di aurea, un regno ricco oltre ogni immaginazione, vuole la sua mano. se accetterà di sposarlo, inophe riceverà tutto quello di cui ha bisogno.
mossa dal senso del dovere, che possiede in quantità industriali, più che da una qualche fantasticheria romantica, elodie accetta l'offerta: dirà addio alla sua famiglia e alla sua amata inophe ma, così facendo, garantirà una vita migliore a tutto il suo popolo.

dopo otto mesi di navigazione, elodie sbarca nel porto di aurea insieme a suo padre, alla sua matrigna e a sua sorella floria. la città sembra un sogno, ricca di ogni possibile meraviglia, alberi stracolmi di frutti, campi che esplodono di grano, il castello interamente ricoperto d'oro. tutto è bello da non crederci, compreso il principe henry, il suo romanticissimo fidanzato.
eppure, nell'aria, nell'atteggiamento della gente, persino della famiglia reale c'è qualcosa di strano e incomprensibile...

elodie percepisce qualcosa ma non si ascolta: per tutta la prima parte della storia il suo corpo e la sua mente provano a metterla in guardia, le suggeriscono che c'è un pericolo da qualche parte, qualcosa di oscuro e indecifrabile nascosto sotto lo sfarzo e la grandezza di aurea.
ma la razionalità, il senso del dovere e quelle che crede siano le aspettative dellə altrə nei suoi confronti la convincono a ignorare quegli avvertimenti, anche quelli più espliciti, come l'incongruenza delle promesse matrimoniali - finché la tua morte non vi separi - o la ragazzina che irrompe nel bel mezzo della lussuosissima cerimonia di nozze per avvertire elodie... ma di che cosa?

poco importa perché a un certo punto elodie viene convocata dalla regina lontano dalla festa, a prendere parte a un antico e misterioso rituale e soltanto quando è ormai troppo tardi elodie capisce che razionalizzare e mantenere la calma non serve a nulla.
la ricchezza di aurea si paga a caro prezzo: ogni anno, da ottocento anni, tre principesse reali sono date in pasto al drago che, in cambio, assicura pace e prosperità al regno.
gettata nella tana della creatura, elodie inizia una lotta di ingegno e astuzia contro il drago, aiutata non dal principe ma dal meno atteso - e più bistrattato - dei suoi affetti...

il matrimonio, che di solito precede di pochissimo la parola fine, è qui solo l'inizio della storia, la trama vera e propria si snoda tutta lungo il percorso fisico che elodie fa per mettersi in salvo e, soprattutto, lungo quello mentale che la porta a rivedere tutte le sue certezze, i suoi bias, i suoi pregiudizi, i suoi errori.
proprio come noi lettorə, infatti, elodie è imbottita di un certo tipo di fiabe, di narrazioni e di stereotipi. solo nella caverna del drago, davanti alla realtà nuda e cruda dei fatti, elodie può riflettere sul suo passato e su quello che si augura possa essere il suo futuro senza che i suoi pensieri siano costretti a seguire il solito sentiero già battuto miliardi e miliardi di volte.
così, elodie impara che l'amore romantico non è per forza il tipo di amore più importante, che anche le persone che prendiamo come guida ed esempio possono sbagliare, che a volte non vogliamo a nessun costo provare a capire le persone, vogliamo solo giudicarle. impara che bellezza e gentilezza possono essere solo maschere e che, se spesso la crudeltà è dettata dalla vigliaccheria, a volte la furia cieca ha un senso ben preciso e nasce dal bisogno di cancellare antiche violenze subite.
e, soprattutto, che i mostri, nella realtà al di là delle fiabe, non sono per forza quelli con le squame addosso.

quella di damsel è una storia tutta al femminile che riscrive i ruoli canonicamente assegnati alle ragazze e alle donne nei racconti popolari, nelle fiabe e nelle leggende e che, quindi, ci permette di ragionare in modo differente anche sul modo in cui costruiamo nella nostra quotidianità le relazioni tra madre/figlia, tra sorelle, tra amiche e, più in generale, con tutto il resto della società.
evelyn skye ha scritto un romanzo davvero sorprendente e appassionante che vorrei far leggere a tuttə ma soprattutto a tutte noi che siamo cresciute con fiabe - e romanzi, film, fumetti, eccetera - che ci raccontavano che, per una donna, l'unica possibilità di salvezza viene dal principe di turno e che ogni altra figura femminile non è altro se non un ostacolo o un pericolo.
non è così, non lo è mai stato. elodie si libera delle sue stupide convinzioni solo affrontando un drago. noi, che siamo decisamente più fortunate, possiamo riuscirci semplicemente smettendo di assecondare lo stupido sistema patriarcale che ci divide e ci mette una contro l'altra per indebolirci.
perché le donne, quando sanno vedersi come sorelle, sono forti anche più dei draghi.

ps. grazie francesca per avermi fatto scoprire questo libro!

mercoledì 7 agosto 2024

sirene

Mo dheirfiú.
Irlandese.
Mia sorella.
Com’era possibile che avesse sognato in una lingua straniera?
Una lingua che non aveva mai letto, mai sentito?

l'ultima lettura bolognese prima delle ferie e del rientro a casa è stata sirene di emilia hart, autrice di weyward che mi era piaciuto tantissimo. anche questa volta, non è di certo un capolavoro della letteratura ma un romanzo capace di darmi esattamente quello di cui avevo bisogno (e cosa si cerca nei libri se non questo?): sorellanza e solidarietà femminile, resistenza, lotta, scoperta di sé.

come in weyward, anche qui la storia si articola su piani temporali differenti.
2019 - australia: lucy si risveglia in camera di ben, ha le mani strette intorno al suo collo e sta quasi per strangolarlo. è confusa, non ricorda di come è arrivata lì ma ricorda benissimo cosa lui le ha fatto, come ha distrutto la fiducia che lei gli aveva concesso, i suoi sentimenti per lui e, soprattutto, come ha fatto a pezzi la sua reputazione e probabilmente il suo futuro. lucy sa che la sua carriera universitaria, il corso di giornalismo che ha sognato fin da bambina sono gravemente a rischio, sia per quello che ha subito sia per quella reazione incontrollata e totalmente inconsapevole.
in preda al panico e senza che nessuna delle sue amiche - né delle altre persone del campus, tutor e insegnanti compresə - sia dalla sua parte, lucy decide di scappare da sua sorella jess.
sono anni ormai che jess la ignora. il loro rapporto è sempre stato strano: lucy ha sempre adorato sua sorella maggiore, quella donna sempre sicura di sé, libera, indipendente, che è riuscita a fare della sua arte tutta la sua vita e che adesso è una pittrice famosa e apprezzata. ma, allo stesso tempo, è sempre rimasta ferita dal modo in cui jess l'ha tenuta lontana, aumentando sempre di più - e sempre inspiegabilmente - le distanze tra loro due.
adesso, jess abita a comber bay, in una vecchia casa squallida e sporca a strapiombo sul mare. comber bay è tristemente famosa per essere stata teatro di antichi naufragi e, più di recente, di misteriose sparizioni di uomini che, se pure all'apparenza sembravano persone comuni, nascondevano un'indole perversa e criminale.

lucy arriva a casa di jess e però jess non c'è. è sparita, senza portarsi dietro il cellulare e senza la sua auto. e mancano pochissimi giorni all'inaugurazione della sua mostra. ci sono, però, i quadri di jess, dipinti che raccontano una storia particolare: due donne che si tengono per mano davanti a una nave vecchia di due secoli, davanti a un mare in tempesta. lucy non dovrebbe conoscere quella storia eppure l'ha sognata. ha sognato quelle donne e ha sognato il mare ambiguo, che terrorizza e, al contempo, dà rifugio e speranza. lucy, proprio come jess, soffre di una rara malattia alla pelle - l'orticaria acquagenica - una condizione che ha sempre tenuto entrambe le sorelle lontane dall'acqua che per loro è come un veleno, capace di produrre sui loro corpi arrossamenti, lesioni e croste. eppure, lucy è sempre stata attratta inconsciamente dall'acqua e sospetta che anche jess - che ha vissuto in passato episodi di sonnambulismo come quello che hanno portato lucy quasi a strangolare ben - abbia provato lo stesso desiderio. adesso che è lì, nella casa deserta di sua sorella, senza alcun indizio su cosa sia successo a jess e con mille domande a cui dare risposta, lucy inizia a frugare (con un bel carico di sensi di colpa) tra le cose di jess...

ottocento - irlanda: una sfilza di prigioniere colpevoli di reati minori attende di essere imbarcata su una nave diretta in australia, in una colonia per detenute. tra queste, mary ed eliza si tengono per mano in attesa del loro nuovo destino, la polena a forma di sirena che incombe su di loro, il mare fino ad adesso sconosciuto che sembra una minaccia, una distesa infinita di acqua nera che le dividerà per sempre dal loro amato padre, che quando erano bambine ha portato via la loro madre e che minaccia di scorticare la loro pelle che non tollera di essere bagnata. proprio come quella di lucy e jess.
nella stiva della nave, tra lacrime, paura, escrementi e il puzzo delle donne rinchiuse per mesi e mesi, mary ed eliza iniziano a scoprire cambiamenti impossibili nei loro corpi, mentre stringono legami impensabili con le altre prigioniere, donne piegate dalla violenza e dal giudizio degli uomini.
la loro storia si fonde con la storia di comber bay, con le leggende che spaventano lə turistə e chi indaga sulle misteriose sparizioni e, soprattutto, con i sogni di lucy e jess...

anni '80 - australia: una giovane jess ci racconta la sua quotidianità dal suo diario, la vita a comber bay con i suoi genitori, la scoperta della pittura e dell'amore, di quello vero, inventato con goffaggine insieme al suo migliore amico, e quello che di amore non ha nulla, la maschera dietro cui si nasconde un mostro perverso e violento che, nonostante tutto, non riesce a spezzarla, ma che cambia irrimediabilmente la sua vita. e poi il richiamo del mare che arriva nel sonno, insieme ai sogni di due sorelle rinchiuse nel ventre di una nave, il canto delle sirene, la pelle che si ribella all'acqua, la storia misteriosa di una neonata abbandonata in una grotta a strapiombo sulle onde...

emilia hart costruisce la sua storia aggiungendo frammenti, indizi, echi e risonanze, scene che insieme raccontano una lunga, ininterrotta storia che attraversa i secoli e che vede protagoniste donne che non si arrendono alle violenze e ai soprusi, donne che si stringono per mano e che si difendono davanti a chi vuole spezzarle, piegarle, umiliarle, distruggerle. donne bellissime e mostruose e feroci, libere dalle prigioni di bellezza e obbedienza, libere dal silenzio imposto, donne che non intendono più accusare il colpo e tenere lo sguardo fisso in terra.

come era stato per weyward, la lettura di sirene è consolatoria e liberatoria allo stesso tempo, cura e dà forza e speranza. emilia hart racconta l'idea di sorellanza senza inutili retoriche fini a sé stesse e ci dona spazi di immaginazione e di costruzione di nuove realtà che scardinano il sistema patriarcale e oppressivo in cui, da sempre, tutte, in ogni angolo del pianeta, ci ritroviamo a ereditare, vivere, ricordare e soprattutto combattere le stesse ingiustizie.

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venerdì 2 agosto 2024

il posto delle bambine

"perché le bambine vengono considerate così?"

non leggevo ebine yamaji dai tempi di mangasan, quasi vent'anni.
praticamente una vita.
il mercato dei fumetti - e in particolare quello dei manga - è cambiato radicalmente in questo periodo e adesso è decisamente più facile che un'autrice come yamaji sembri un nulla di speciale. vent'anni fa leggere una cosa come love my life o indigo blue era abbastanza sconvolgente, era trovarsi davanti a qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che eravamo abituati a pensare come "manga", il parco di titoli che avevamo a disposizione non era ampio e diversificato come quello di oggi.
e se, da una parte, è indubbiamente un bene avere la possibilità di leggere tantissime opere di qualità, dall'altra è anche più facile che titoli come "il posto delle bambine" rischino di perdersi in un mercato editoriale che si è ormai espanso a dismisura.

nonostante le personagge di queste storie siano bambine e nonostante il target di riferimento è preferibilmente composto di giovani lettrici (e, si spera, giovani lettori), "il posto delle bambine" mi sembra essere un lavoro più maturo di quelli letti ai tempi dell'esordio di yamaji in italia, soprattutto per i temi che tratta.
il volumetto contiene cinque storie ambientate in cinque paesi diversi - arabia saudita, marocco, india, giappone e afghanistan - scelti dall'autrice, come spiega nella postfazione che precede però l'ultima storia, durante la fase di studio e documentazione. l'ultima storia, quella dedicata all'afghanistan, è stata scritta dopo, dopo la ripresa del potere da parte del regime talebano nell'agosto del 2021.
protagoniste delle storie sono sei bambine di dieci anni, nate e cresciute in società misogine e patriarcali - cosa che, ovviamente, non riguarda soltanto i paesi che yamaji ha scelto come sfondo dei suoi racconti ma che sono purtroppo esemplari da questo punto di vista - che cominciano a comprendere fino a che punto la realtà che le circonda voglia tenerle al loro "posto", soggette a regole che altri (e qui il maschile non è affatto sovraesteso) hanno deciso per loro, e iniziano a cercare un modo per divincolarsi da quelle catene invisibili.

c'è salma, che è ormai troppo grande per uscire da casa senza il velo e per continuare a giocare a calcio con il suo amico ghais. e c'è habiba, che ama andare a scuola e trova nella lettura un modo per emozionarsi ed evadere dalla quotidianità, ma scopre che c'è chi pensa che alle bambine non dovrebbe essere permesso di leggere e studiare. c'è XXX che finalmente può smetterla di preoccuparsi della sopravvivenza della sua famiglia e può finalmente andare a scuola, ma si rende conto che anche dietro la più luccicante e splendente delle scenografie esiste una realtà cupa e triste, in cui le donne sono costrette a sopportare sopprusi e angherie.
la quarta storia - che inizialmente doveva essere quella conclusiva del volume - è la storia di marie, una bambina giapponese che scopre pian piano quanti bias culturali ruotino intorno alla figura femminile in un paese come il suo (e come quello dell'autrice) così lontano geograficamente e culturalmente dagli altri presi in esame.

che ci sia una storia ambientata in giappone, il paese in cui vive il pubblico per cui yamaji ha scritto i suoi racconti, mi è sembrato il frutto di una scelta fondamentale: siamo abituat* all'etnocentrismo, a considerare il nostro paese, la nostra cultura e le nostre abitudini come le migliori, le più "progredite", a pensare al nostro modo di vivere come il migliore tra quelli possibili. eppure yamaji scardina queste convinzioni problematicizzando il suo paese - che si descrive ed è descritto come tra i più moderni dell'intero pianeta - e i pregiudizi di genere che impattano sulla vita delle donne, quale che sia la loro età.


queste prime quattro storie sono legate tra di loro dal ricorrere di alcuni temi: il matrimonio come unica possibilità per le donne di essere realizzate e felici o, addirittura, di avere il diritto di trovare un posto nella società; l'importanza della scuola e dell'istruzione nella vita delle bambine, come strumento imprescindibile di emancipazione e di costruzione di una vita adulta indipendente e autonoma; lo scontro generazionale, soprattutto all'interno delle famiglie, dove i pregiudizi sono così sedimentati da non riconoscere più quanto l'idea che a una donna tocchi una vita di subordinazione cozzi totalmente con l'amore che padri, madri e nonne provano per queste bambine.

l'ultima storia, quella di mursal e nafisa, come accennavo su, è l'unica che si discosta leggermente dallo schema dei racconti precedenti. le vicende delle due bambine sono ambientate in due momenti storici ben definiti: inizia nel marzo 2002, quando kabul viene liberata dal regime talebano. prima di quel momento, alle donne era proibito andare a scuola, studiare, persino uscire da casa, anche solo per fare la spesa. dopo anni di privazione - anni in cui anche ascoltare una canzone non approvata dal regime era considerato un crimine - mursal e nafisa possono finalmente andare a scuola. insieme a loro ci sono bambine più piccole e ragazzine più grandi, tutte emozionate per i loro quaderni nuovi, per le matite e per il futuro che possono finalmente permettersi di sognare. su di loro incombe la prospettiva di un matrimonio forzato, magari con un uomo molto più anziano e scelto dai loro padri, eppure mursal e nafisa riescono a guardare oltre. riusciranno a farlo per diciannove anni, fino all'agosto del 2021, quando gli americani lasciano il campo libero ai talebani per la ripresa del potere, mentre le donne perdono ogni briciola di diritti acquisita negli ultimi due decenni.

la chiusura di questa storia - tutta l'attenzione focalizzata sui volti delle protagoniste, sui loro sguardi fermi e colmi di speranza - è un colpo al cuore, e ci riporta alla mente le immagini di neanche tre anni fa, quando il mondo guardava a quelle donne senza avere il coraggio di fare nulla per loro:
"non toglieteci quaderni e matite. lasciateci andare liberamente dove vogliamo. qualunque difficoltà dovremo affrontare non potremo perderci d'animo"

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