i libri non sono mai solo libri, non si limitano mai a raccontare solo le storie scritte tra le loro pagine.
o almeno, per me è sempre stato così.
avevo deciso già prima di partire che queste prime settimane a bologna le avrei dedicate a bridgerton perché, per quanto desiderassi tornare qui, allontanarsi da casa non è una cosa facile. avevo pensato di buttarmi in questa serie perché l'ultima stagione di bridgerton è anche l'ultima serie tv che ho guardato prima di partire e pensavo che creare una sorta di collegamento avrebbe reso meno netto il cambiamento.
in realtà, le cose a bologna in queste settimane non sono andate come speravo, per tutta una serie di motivi che non ha senso raccontare qui. l'idea di leggere bridgerton, invece, è stata anche migliore di quanto avessi immaginato.
perché i libri non sono solo libri e questi libri qui non sono stati solo una sorta di collegamento tra un prima e un dopo abbastanza sconcertante (non è neppure la prima volta che vivo lontana da casa e sicuramente ho vissuto momenti peggiori di questo). i romanzi di julia quinn sono stati per me, in questi giorni, non solo un rifugio ma anche qualcosa di solo mio.
mi capita spesso di leggere libri/fumetti che stanno leggendo/hanno letto anche le persone con cui di solito parlo di libri e, di solito, mi piace confrontarmi e scambiare impressioni e idee con altrə lettorə.
in fondo è il motivo per cui ho aperto il blog (anche se, ormai da anni, questo spazio è molto meno animato di un tempo).
questa volta sono stata felice di leggere qualcosa che non solo nessunə della mia bolla sta leggendo ma che, probabilmente, in pochə leggerebbero.
e no, non voglio considerare bridgerton un guilty pleasure perché trovo tremendamente stupido dovermi sentire in colpa per quello che mi piace, tremendamente stupido e tremendamente maschilista quando quello che mi piace coincide con l'idea di cose-da-femmina, espressione che nasconde (poco e male) il disprezzo per tutto quello che secoli di stereotipi hanno associato alle donne.
e quindi, senza cercare giustificazioni e senza preoccuparmi di "oddio, cosa penserà di me la gente se leggo dei romanzi rosa?", sto leggendo la saga della famiglia bridgerton di julia quinn e mi sta piacendo un sacco, nonostante non sia di certo un'opera immune da critiche.
sto usando questi romanzi come spazi confortevoli, sto convivendo con lə personaggə come fossero amicə, sto lasciando che il loro vissuto interiore, i loro sentimenti e le loro emozioni possa riecheggiare da qualche parte in me, senza giudizi morali, solo provando a entrare in empatia con loro.
a livello più epidermico, è divertente scoprire le differenze tra i romanzi e le serie tv, che sono tantissime e si concretizzano più nei sottintesi che nelle differenze di trama vere e proprie. nonostante i romanzi siano sicuramente una lettura piacere, ammetto che certe cose della serie tv, probabilmente quelle che hanno fatto storcere il naso a chi intende adattamento come pedissequa ripetizione punto per punto della trama. ad esempio, una delle primissime cose che mi è piaciuta dell'adattamento televisivo è l'idea di mettere in scena una società che ignora completamente i pregiudizi razziali. quella di bridgerton, nella versione netflix, è una società sì classista ed aderente ai canoni culturali occidentali, ma in cui sembra che l'incontro tra bianchə e bipoc abbia portato a rapporti più equilibrati e paritari tra persone che non condividono lo stesso colore della pelle. non è una questione approfondita e proprio per questo, si può immaginare bridgerton come se fosse ambientato in un universo parallelo, un what-if in cui il colonialismo eurocentrico non esiste. non un mondo perfetto ma sicuramente un pelino meglio di quello che conosciamo, che parte da una base speculativa interessante su cui si possono immaginare un sacco di versioni alternative della nostra storia moderna e contemporanea.
inoltre shonda rhimes ha voluto dare spazio a corpi non conformi (da penelope ad alcunə personaggə disabili che si sono intravistə nella terza stagione) e alle relazioni non eteronormate e non monogame (anche queste nella stagione diledicata a polin), allargando enormemente il canone della rappresentazione tipico delle serie tv e dei film in costume.
la versione di netflix, inoltre, è molto più dichiaratamente femminista, e lo dimostra nella caratterizzazione delle personagge ma anche, e in modo forse più sorprendente, dei personaggi. è vero che il matrimonio è il punto di arrivo a cui tutte le ragazze - alcune prima, alcune dopo - puntano, ma ognuna di loro lo fa spinta da motivazioni personali che non si limitano mai al coronamento di una storia d'amore né, ancor meno, al raggiungimento di uno status socialmente accettato e necessario. l'amore - nel senso di passione, desiderio e soprattutto complicità - in bridgerton è qualcosa di reale, e se pure i modelli di mascolinità più o meno tossica non mancano, gli uomini che sono stati raccontati fino ad adesso si rivelano sempre compagni realmente interessati al benessere - fuori e dentro la camera da letto - e alla felicità delle loro fidanzate e mogli. sono uomini che amano davvero, che non distolgono lo sguardo dai loro sentimenti ma che anzi li accolgono per conoscerli e comprenderli. praticamente, è speculative fiction pura.
per le personagge, invece, il matrimonio è anche una questione d'amore ma non solo: se nel mondo reale il matrimonio è stato per le donne poco più che un passaggio da un padre-padrone a un marito-padrone, qui diventa il mezzo in cui emanciparsi dalla propria condizione di figlia, bisognosa di cure e attenzioni anche soffocanti, per diventare adulta a tutti gli effetti. una volta sposata, una donna ricopre un ruolo sociale inedito, ed è anche legittimata a scoprire la propria sessualità, in un dialogo esplorativo, conoscitivo e costruttivo col partner e col proprio corpo, senza sensi di colpa né intromissioni religiose di sorta.
l'aspetto romantico/erotico è centrale, ovviamente, ma - finalmente! - è esplorato attraverso quello che, per antitesi alla sua controparte maggiormente presente nelle nostre esperienze, potremmo definire female gaze. nella serie tv così come nei romanzi, il piacere femminile è il punto centrale delle scene di sesso, ed è inscindibile da tutto l'apparato emotivo-sentimentale che coinvolge le personagge e lə loro partner. il sesso non è mai sinonimo di necessità maschile, nessun uomo "usa" la sua compagna e, per chi si muove in queste storie, la sola idea è raccapricciante.
insomma, tutto è come dovrebbe essere (e come è troppo di rado).
il sesso in bridgerton è indissolubilmente legato all'amore, ma non mi ha mai dato l'impressione che questo doppio legame sia dettato da un'educazione puritana che demonizza il piacere e lo accetta solo se speri. mi sembra più che altro una versione ingenua e pura del sesso e dell'amore che non sanno essere finti, tossici o usati come mezzo per uno scopo. è l'amore come ce lo si immagina da bambinə alla prima cotta: bello, luminoso e assoluto.
sicuramente nulla di più lontano dalle complessità culturali, sociali e psicologiche che regolano i rapporti di coppia, ma altrettanto sicuramente è una bella utopia in cui è piacevole perdersi.
per chi ha visto la serie tv ed è indecisə se leggere o meno i romanzi che l'hanno ispirata: il mio consiglio è sì, purché non vi aspettiate la copia fedele di quanto è stato portato sullo schermo. le differenze di trama ci sono e sono spesso anche abbastanza macroscopiche, anche se i punti cardinali delle storie sono identici, però ho trovato interessante non soltanto leggere le versioni "alternative" delle storie che già conoscevo ma anche capire quanto lə personaggə di julia quinn potessero essere capaci di trasformarsi, di adattarsi a media e pubblici enormemente differenti tra loro, senza snaturarsi.
alla fine, a tre romanzi dalla fine della serie (e speriamo ad almeno cinque stagioni alla fine della serie tv) posso dire che quella di bridgerton è una delle serie che mi porterò dentro per tante, tantissime ragioni.
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