era la prima volta in vita mia che mi sentivo così. ci ho messo qualche anno a dare un nome a quella sensazione. pure a scuola mortacciloro ti insegnano a distinguere felice - triste - arrabbiato.il senso di colpa non te lo spiega nessuno.
a ogni uscita di un fumetto di zerocalcare c'è un preciso copione che si ripropone sempre uguale: avere il libro prima possibile, mettere da parte tutto il resto, respirare profondamente, iniziare a leggere, sapere che in qualche modo ti farà affrontare qualcosa di te che non avevi ancora tradotto in parole e pensieri compiuti. incassare colpo su colpo e arrivare alla fine, prenderti un po' di tempo e poi ricominciare con tutto il resto.
questa volta però per me è stato un po' meno traumatico perché, per la prima volta, c'ho trovato meno me in questo libro di quanto non mi sia mai successo con gli altri. pensavo che fosse una questione di tematiche, di fatti raccontati, invece poi ho capito che era tutta una questione di prospettive.
ci metterò un po' - non so perché ma mi viene sempre difficilissimo scrivere dei libri di zerocalcare, sarà che in qualche modo gli voglio bene - ma ci arriverò a spiegarla.
in quando muori resta a me zerocalcare affronta un viaggio in auto insieme a suo padre da roma fino a un buco di culo sperduto sulle dolomiti per aggiustare un guasto alla vecchia casa di famiglia paterna. ma tornare, dopo tanti anni, a merìn significa fare i conti con antichi rancori e ostilità mai sopite che restano generazione dopo generazione e, ancor di più, provare a svelare un mistero vecchio di trentacinque anni: cosa successe davvero in quello che nella memoria di zerocalcare è rimasto come il giorno di merman?
in questo paesino sperduto - dove il cellulare non prende, dove non esiste traccia del tranquillizzante traffico romano e dove non ci sono accolli di sorta - zerocalcare ripercorre la storia della sua famiglia, dalle vicende che risalgono fino all'epoca della seconda guerra mondiale e che ancora oggi continuano a impattare sulla vita di quel paesino ai piedi di una montagna che non dimentica, a quelle che riguardano la giovinezza di suo padre, di cui non aveva mai sospettato nulla.
ma, soprattutto, è un viaggio indietro nel tempo che parte dalla sua infanzia, quando riusciva a immaginare suo padre come un eroe capace di imprese straordinarie, e ripercorre uno sgretolarsi traumatico e inesorabile del loro rapporto, un po' per via dei divorzio dei suoi genitori, un po' perché durante l'adolescenza viene facile a tuttə essere delle merde.
dai primi sensi di colpa all'ispessirsi di quei muri che formano labirinti in cui è facile perdersi e impossibile ritrovarsi, zerocalcare mette nero su bianco la difficoltà che i padri hanno avuto nel rapportarsi con i figli (maschi, sicuramente, ma anche con le figlie femmine, seppur in modo diverso), i tentativi di recuperare poi in età adulta, l'incolmabile divario generazionale, i frutti di decenni di silenzi e bugie e sensi di colpa che si sedimentano sempre di più, soffocando un amore enorme che non sa più come esprimersi.
anche in questo libro abbiamo uno zerocalcare-personaggio i cui turbamenti interiori seguono il corso degli eventi: le cose succedono, risvegliano memorie sepolte, aprono interrogativi, portano a riflessioni. ma se fino ad adesso tutto questo processo di autoconsapevolezza era in qualche modo guidato dall'armadillo, ora la sua coscienza è sparita per lasciare il posto a qualcun altro...
nel frattempo, si fa inevitabile il confronto con lo zerocalcare-autore che non può più usare le emozioni del suo alter-ego soltanto per gestire i ritmi della narrazione, ma che si ritrova a doverci fare i conti in una scena memorabile, la prima in cui li vediamo così esplicitamente uno di fronte all'altro, uno riflesso dell'altro.
sono storie quelle che ci ha raccontato negli ultimi quindici anni ma sono anche pezzi della sua vita, pezzi importanti che quella vita l'hanno plasmata e condotta su un percorso ben preciso, diminuendo sempre di più la distanza tra personaggio e autore.
se di quando muori resta a me si dice che sia il suo libro più personale non si deve soltanto alla natura molto intima e biografica delle vicende narrate ma anche, e soprattutto, al fatto che questo libro più degli altri sembra tirare le somme di tutto quello che è stato dal successo de la profezia dell'armadillo in poi. la carriera di zerocalcare ha inevitabilmente influito sulla sua vita, sulle sue scelte e, in qualche modo, anche sul rapporto con chi lo circonda. e se fino ad adesso il lavoro di fumettista è stata un po' la scusa per sottrarsi ad alcune dinamiche tipiche dell'età adulta, ora non funziona più.
zerocalcare ci ha abituati a leggere, nelle sue storie, il ritratto della nostra generazione, di quelli nati tra gli anni 80 e 90, oltre che, ovviamente, tematiche più grandi, come ad esempio la questione curda o recentemente la storia di ilaria salis.
ha sempre affrontato questi temi - tipo la difficoltà a trovare lavoro, ad avere quindi una stabilità economica e personale e a trovare il proprio posto nel mondo - in modo sì autobiografico ma anche politico e collettivo, ed è per questo che ci è sempre venuto così facile riconoscerci nelle sue storie, rispecchiarci nel suo vissuto e sentirci parte di una generazione che è stata messa da parte con un colpo di scopa sotto a un tappeto di indifferenza.
questa volta però, in questo libro in cui il tema centrale è il rapporto padre-figlio e, di conseguenza, la sua mancata paternità, nonostante il tono sia quello a cui siamo abituatə, quella sensazione di tematica collettiva viene a mancare.
a un certo punto zerocalcare dice che negli ultimi anni c'è stata un'esplosione nella narrativa pop - romanzi, fumetti, serie TV, eccetera - di personaggi femminili che hanno posto la riflessione sul ruolo sociale delle donne, toccando diversi aspetti in cui questo ruolo si può declinare tra cui, ovviamente, quello della maternità. quindi, io personalmente mi sarei aspettata un ragionamento che decostruisse la logica del i figli si fanno perché li fanno tutti da sempre e ci fosse una riflessione sul desiderio di essere padre, sul ruolo di padre - quello stereotipato del padre-padrone o del padre-assente, o quello auspicabile di un nuovo tipo di padre più consapevole e presente - anche in relazione alle politiche in merito alla genitorialità in italia (che detto da me è un pippone odioso ma lui sarebbe in grado di uscirsene con un paio di tavole brillanti, come fa di solito).
però tutto questo non c'è.
quella versione frignona di zerocalcare che solitamente è premessa a una riflessione più ampia e profonda che finisce sempre per farci piangere, si riduce qui a un fissarsi l'ombelico, focalizzandosi sul proprio personalissimo vissuto, ovvero: mio padre, suo padre, il padre di suo padre eccetera da una parte e, dall'altra, gli altri uomini che conosco che hanno fatto figli, in un modo o nell'altro.
quando muoio resta a te è la frase che il padre di zerocalcare ripete più spesso e che in questo contesto assume un significato del tutto diverso: resta a te dover gestire un rapporto complesso a cui nessunə ti ha preparato, dover incarnare un ruolo di cui non hai modelli o, se ce li hai, non sono poi il massimo, doverti inventare un modo nuovo per crescere qualcunə che un giorno smetterà di vederti come un eroe.
se proprio vogliamo trovare la voce della riflessione collettiva e politica, questa è affidata a una donna, lesbica - là dove il suo essere lesbica non è solo un descrivere il suo orientamento sessuale ma definire il suo posizionamento politico all'interno di una società eteronormata ed eteronormativa - che è sara.
sara pone la questione dell'avere o no i figli proprio da un punto di vista politico: i figli come privilegio delle persone etero, fertili e monogame, con una posizione economica e sociale stabile e, aggiungerei, non-disabili. privilegio inaccessibile, ad oggi in italia, a ogni altra realtà. sara riporta zerocalcare nella sua dimensione narrativa sì, ma impegnata e di denuncia, lo schioda da quel rimirarsi nello specchio che va bene se è autoanalisi ma non se si trasforma in vittimizzazione e egocentrismo all'ennesima potenza.
quello che manca è, a questo punto, una prospettiva maschile - e per la precisione maschile cis-etero - sulla questione che poteva essere un punto di svolta e magari anche di avvio di una riflessione e di un dialogo.
da questo punto di vista quando muori resta a me mi ha un po' delusa anche se, tocca ammetterlo, alla fine è riuscito a commuovermi come sempre, con una tavola finale che è un colpo al cuore, una di quelle immagini che ti costringono a mettere sul piatto della bilancia tutta la tua vita, le tue idee, i tuoi comportamenti. una scena che ti porta a chiederti quanti stanzini segreti ci sono, in realtà, quanti amori incapaci di tradursi in parole e che non sappiamo riconoscere e che perdiamo per via dell'abitudine, dei silenzi, del senso di colpa, della rabbia.
mi spiace che non sia riuscito a osare quel tanto in più che avrebbe reso questo libro molto più che una storia, l'avrebbe potuto far diventare uno dei punti di partenza pop e alla portata di tuttə sulla genitorialità vista, pensata e vissuta anche da quelle figure - i padri - che sembrano così assenti nell'immaginario comune (e nelle politiche sociali così come in un certo tipo di narrazioni) del nostro paese.
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