la libertà è una buona cosa, dice. meglio della schiavitù. e il perdono è una buona cosa, meglio della vendetta. e la speranza nell'ignoto è una buona cosa, meglio dell'odio per quel che conosciamo.mariche resta stranamente calma. sincera e senza sarcasmo chiede a ona, ma e la tranquillità, la sicurezza, la casa e la famiglia? e la sacralità del matrimonio, dell'obbedienza, dell'amore?non so niente di queste cose, di nessuna di queste cose, dice ona. se non l'amore. e anche l'amore, dice, per me è un mistero.
TW: stupro.
sono i primi giorni di giugno del 2009, siamo nella colonia mennonita di molotschna e otto donne, insieme a un uomo di nome august epp, si sono riunite in un fienile. hanno poco tempo per prendere una decisione importantissima e questa è una cosa che non hanno mai fatto. hanno sempre obbedito ai loro padri, ai loro mariti, ai loro fratelli, persino ai loro figli e, ovviamente, al loro pastore, ma non hanno mai deciso per loro stesse.
adesso, però, devono scegliere cosa fare per rispondere alla violenza feroce che hanno subito.
per settimane si sono svegliate doloranti e sanguinanti, coperte di lividi. alcune di loro sono rimaste incinte, hanno contratto malattie sessualmente trasmissibili. tra queste, alcune sono bambine, la più piccola ha solo tre anni. il pastore e gli uomini della colonia le hanno accusate di aver attirato satana per colpa dei loro peccati, hanno svilito il loro dolore dicendo che non cercavano che attenzioni o che volevano giustificare relazioni illecite. in realtà, erano proprio quegli uomini - mariti, fratelli, padri - che, con la complicità dell'intera colonia, ogni notte le narcotizzavano con un anestetico per animali e le violentavano.
gli uomini sono stati arrestati ma le loro cauzioni sono state pagate e ora stanno per tornare. alle donne è rimasto pochissimo tempo per decidere cosa fare: restare e, come chiede peters, il loro pastore, perdonarli? restare e, invece, rispondere alla violenza con altra violenza? oppure andare via, abbandonare la colonia e andare verso un mondo che non conoscono, libere di vivere sicure e senza doversi vendicare?
le donne di molotschna, proprio come prescritto dalle norme che regolano la colonia, non sono soltanto completamente subordinate agli uomini. non sanno leggere né scrivere e così, per redigere i verbali di questi incontri fondamentali per il loro futuro, chiamano august epp, un uomo gentile e mal visto dal resto della comunità, accusato di non essere abbastanza uomo, di non saperci fare né con le bestie né con le donne. epp ha vissuto fuori da molotschna per qualche anno a seguito della scomunica dei suoi genitori, ha conosciuto un po' di mondo, nel bene e nel male, e se è tornato alla colonia è solo per amore di ona, una delle vittime degli stupri. è lei che gli chiede di redigere i verbali, che gli dà un ruolo tanto importante, forse per la prima volta nella sua vita. sembra inutile scrivere per delle donne che non sanno leggere ma il compito di epp è prezioso per la sua stessa salvezza oltre che per il futuro di molotschna. ed è un compito prezioso per noi lettorə perché donne che parlano è proprio quei verbali, tradotti in inglese e incorniciati dalle considerazioni e dal racconto di august epp.
le donne - anziane e giovani, madri e sorelle - parlano e parlano, non per piangere sulle proprie ferite ma per riflettere sulle azioni che possono compiere nel rispetto della loro fede e della loro sicurezza. queste donne incolte, fuori dal mondo, che non hanno mai visto il mare e non parlano neppure la lingua del paese in cui vivono, che conoscono solo la legge di dio così come il loro pastore gliel'ha insegnata, donne il cui pensiero, la cui opinione non hanno mai contato nulla, che sono sempre state usate come fattrici fino alla sfinimento da uomini che le considerano meno delle loro bestie, parlano e parlano e parlano. e le loro parole svelano animi affatto semplici e rozzi, anzi! discutono di cosa dio si aspetta da loro, basandosi sulla legge d'amore e di perdono su cui si fonda la loro fede, discutono di cosa gli uomini si aspettano da loro, rifacendosi al solo modo che conoscono di stare al mondo. discutono di obbedienza, di autorità, di dovere e di inganno, discutono del loro futuro e del futuro delle loro figlie, possibili vittime, e dei loro figli, possibili carnefici.
il tempo guarirà i nostri cuori afflitti, dice. la nostra libertà e la nostra sicurezza sono obiettivi fondamentali, e sono gli uomini che ci impediscono di raggiungerli.non tutti gli uomini, però, dice mejal.ona puntualizza: forse non gli uomini in sé, ma una perniciosa ideologia che ha potuto impadronirsi del loro cuore e della loro mente.
e se dietro le loro parole non ci sono studi, non ci sono basi teoriche né ideologiche a cui aggrapparsi, allora le donne di molotschna ci dimostrano che il bisogno di giustizia, di libertà e di rispetto sono qualcosa di innato, qualcosa che non si può solo apprendere astrattamente ma che si impara a desiderare quando ne soffriamo la mancanza. le loro parole ci illustrano cosa vuol dire davvero fare politica dal basso, senza sofismi inutili, solo ragionando sullo stato delle cose in cui viviamo e cercando insieme il modo di migliorarle.
è proprio per la spontaneità delle loro idee, per la genuina necessità che spinge quei ragionamenti a formularsi forse per la prima volta, che le donne che parlano sanno dirci così tanto, sanno mostrarci quello che le ore e ore di corsi e lezioni e dibattiti e assemblee forse non riescono a dirci davvero. che è difficile trovare una risposta e che è doloroso riconoscere qual è la soluzione migliore a un problema, che non sempre i pensieri seguono - o possono seguire - una sola direttiva perché siamo creature multiformi, complesse e sfaccettate, con le nostre storie, i nostri legami, la nostra fede, le nostre abitudini. e che però, nonostante tutto, trovare la via giusta, la soluzione ai problemi, è possibile e in qualche misura inevitabile e che, altrettanto inevitabilmente, non esiste vittoria senza perdita.
miriam toews fa raccontare alle sue donne che parlano la comunità mennonita tanto bene perché lei stessa ne ha fatto parte. non drammatizza né romanticizza il male di questo sistema patriarcale stretto e claustrofobico, solleva le protagoniste dal ruolo di vittime passive, dà loro voce, una pluralità di voci che illustrano la complessità di un sistema di pensiero che a una prima, superficiale occhiata, potrebbe sembrare semplice se non addirittura primitivo. queste donne che parlano non si arrogano mai il diritto di prendere parola per conto di tutte le donne, non immaginano assoluti né universalismi eppure sanno raccontare emozioni e desideri assoluti e universali, riprendono inconsapevolmente le voci di milioni di donne che si sono ribellate e continuano a farlo ogni giorno contro i sistemi oppressivi in cui vivono.
siamo donne senza voce, afferma ona, pacata. siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. siamo mennonite senza una patria. non abbiamo niente a cui tornare, a molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi. tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni - per forza che siamo sognatrici.
donne che parlano è un libro doloroso e terrificante, pieno di una rabbia che non sempre sa prendere forma né esprimersi a parole, eppure è, a suo modo, un libro luminoso e carico di speranza. perché fino a quando ci saranno delle donne a decidere di riunirsi e parlare insieme, a scegliere per il loro futuro, a comprendere i propri desideri e a sognare una vita migliore, allora quel modo migliore di vivere sarà un centimetro più vicino al nostro presente.
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