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giovedì 25 aprile 2024

partigiane

la legge morale mi ha spinto a combattere contro un nemico che usa la violenza per distruggere l'avversario politico, che usa l'oppressione per annullare sogni e speranze, che sta mortificando e mandando in rovina un paese e le sue generazioni più giovani, in nome di una mania di grandezza che è solo la scusa dietro la quale si nascondono persone orribili che pensano solo ad assecondare il loro desiderio di potere personale.

sta finendo un altro 25 aprile, uno particolarmente significativo, visto quello che è successo oggi tra le strade del nostro paese e nelle istituzioni. delle seconde non mi interessa parlare perché è inutile commentare il livello di antifascismo di chi fascista è per storia e vocazione. ma è grave, gravissimo, che in un giorno come questo si arrivino a compiere azioni violente, come è successo a roma dove la brigata ebraica ha lanciato pietre e bombe carte sul corteo pro-palestina, per supportare ancora l'orrore che lo stato israeliano, uno dei peggiori regimi fascisti attualmente in vita, sta mettendo in atto da mesi ai danni del popolo palestinese con l'appoggio delle istituzioni - ma non dei popoli - di mezzo occidente. ed è grave, gravissimo che già al tg della sera la notizia non fosse passata, criminalizzando le proteste di milano, dove allə attivistə pro-palestina è stato negato il diritto di parola.

sono giorni in cui si parla di censura, di diritto di asilo e di aborto negato, giorni in cui esce un report di amnesty international che racconta un'italia che tortura i detenuti, sminuisce e arresta chi fa attivismo per il clima, un'italia in cui le donne vengono uccise perché donne, un'italia che continua a vendere armi a paesi che fanno la guerra, infischiandosene della costituzione. e insieme a questa italia c'è buona parte di quel mondo che ama dirsi democratico e progredito, ci sono l'america e l'europa, che si fregiano di meriti che ormai sono decisamente in dubbio.

mi sembrava giusto dedicare questa giornata alle storie di chi, settantanove anni fa, ha combattuto il fascismo e il nazismo, alle storie che, tutte insieme, fanno la resistenza, la storia più bella del nostro paese e della nostra memoria, quella resistenza che ormai le istituzioni ridicolizzano svuotandola di significato, passando da una celebrazione della liberazione passata alla glorificazione dell'oppressione presente, senza soluzione di continuità.

partigiane è un libretto piccolo, veloce, semplice, adatto anche a un pubblico di giovanissimə. dentro ci sono le storie di alcune delle migliaia di donne che hanno contribuito alla liberazione dal nazifascismo: ursula hirchmann, ada rossi, carla capponi, ada gobetti, lidia menapace, teresa mattei, renata viganò, nilde iotti, marisa ombra e miriam mafai. donne che hanno vissuto la lotta di resistenza contro il fascismo e contro un mondo che le voleva silenziose e sottomesse, eterne subalterne, donne che poi quella storia l'hanno scritta e raccontata perché il suo ricordo non andasse perduto. donne comuni che hanno fatto qualcosa di straordinario: hanno gettato le basi per un mondo nuovo, una nuova realtà più giusta, più egualitaria, in cui le donne avrebbero avuto un ruolo finalmente attivo e partecipe della vita politica e sociale.
per una donna era più semplice superare i controlli, i fascisti ci misero un po' a capire quello di cui eravamo capaci, non si aspettavano tanto coraggio e intraprendenza, era ben altra l'idea che avevano di noi donne.
sono storie che riportano tutto alla sua vera dimensione: il fascismo non era solo un ideale, era la violenza, le uccisioni, i pestaggi, la fame, la miseria di ogni giorno e, allo stesso modo, neanche la resistenza era solo un ideale, era fatta di persone vere, di storie vere, di vera volontà di stravolgere quel potere che stava avvelenando e distruggendo le vite di un intero popolo, di vero desiderio di creare un mondo nuovo, più giusto e plurale.

oggi credo che sia un dovere non solo ricordare la resistenza partigiana italiana ma anche quella palestinese. le vicende familiari che ci raccontano la fine del fascismo richiamano quelle che osserviamo oggi dagli schermi dei nostri telefoni: madri, padri, fratelli e sorelle, bambine e bambini che subiscono l'orrore e provano a fuggire alla morte e a reagire all'oppressione.
credo che ogni giorno, e oggi ancor di più, chi sta lottando contro il genocidio sionista meriti di essere celebratə.
costruire la pace in ogni modo è la maniera migliore di "ripudiare" (un verbo molto forte) la guerra. il diritto internazionale riconosce ad ogni popolo invaso di difendersi come può e perciò anche con partigiane e partigiani. il che invece hitler non riconobbe mai a noi e ci chiamò "banditi".
alle partigiane e ai partigiani che in palestina, in italia e ovunque nel mondo hanno combattuto e combattono l'oppressione, la violenza, la volontà distruttiva del fascismo, nonostante le narrazioni distorte, nonostante la censura, nonostante lo strapotere che si oppone loro con ogni mezzo: viva la resistenza!


martedì 23 aprile 2024

un salmo per il robot

"attualmente nessuno al mondo sa dove mi trovo" pensò, e quell'idea lo colpì di gorgogliante eccitazione. aveva cancellato la sua vita, abbandonato tutto sulla spinta di un capriccio. la persona che sapeva di essere avrebbe dovuto essere scossa da questo, ma adesso era qualcun altro a reggere il timore, un qualcuno ribelle e spericolato che aveva scelto una direzione e l'aveva imboccata come se fosse stata una cosa che non aveva più peso dello scegliere un panino. in quel momento, non sapeva chi era, e forse era per questo che stava sorridendo.

copertina de "un salmo per il robot" di becky chamber, nell'edizione urania

nel tempo, ho imparato a credere che i libri arrivano quasi sempre quando hai bisogno di leggerli. anche se magari aspettano su uno scaffale da mesi o da anni, in qualche modo misterioso riescono a farsi scegliere proprio nel momento più adatto.
anche con un salmo per il robot è successo così.
sono giorni - settimane, forse - che mi sento stanca, scontenta, ansiosa, incapace di concentrarmi, perennemente assonnata e più o meno giù di morale. non sopporto quasi nulla di quello che trovo online e, quando sto così, non ho voglia di scrivere e di pubblicare niente. ho lasciato un po' languire il blog e mi sono dedicata a leggere solo quello che avevo davvero voglia di leggere, senza pensare a calendari e scadenze (che, oltretutto, questa cosa qui non è un lavoro e non ho voglia di viverla come un lavoro). e, in questo scenario grigiastro e noioso, la storia di sibling dex è arrivata come una fetta di torta inaspettata. una cosa piccola e semplice che però mi ha regalato un momento di buon umore.

iniziamo subito con una nota: la traduzione italiana lascia un po' a desiderare. soprattutto, non capisco perché i nomi dellə personaggə sono stati tradotti - nonostante in quarta di copertina siano rimasti come in originale - senza aver cura di un aspetto importante della loro caratterizzazione, ovvero senza tenere in conto che sia sibling dex che mosscap non hanno un genere definito (sibling è diventato fratello, ad esempio. ma l'errore più stupido e grossolano è stato tradurre pangan - lə abitanti di panga - con pagani. è una roba così insensata che non c'è da perdere altro tempo a discuterne.
a voler andare più per il sottile, anche la traduzione del titolo è un po' grossolana: la parola robot è stata scelta per rendere wild-built, togliendo un'importante sfumatura di significato che caratterizza l'essenza stessa di mosscap.
è indubbiamente una roba fastidiosissima ma non credo proprio valga la pena perdersi un racconto così bello solo per questo, quindi, nonostante tutto, vi consiglierei di recuperarlo.

la trama è abbastanza semplice e lineare: lə giovane monacə sibling dex sente che la sua vocazione sta cambiando. è stancə di vivere sempre nello stesso posto, per quanto la città, il centro abitato di panga, sia così bella, un posto sano, fiorente, una continua armonia di creazione, di azione, di crescita, di tentativi, di risa, di corse, di vita. panga è un mondo - anzi, per l'esattezza è una luna, un satellite che ruota attorno a un pianeta (il nostro?) - in cui l'umanità ha drasticamente cambiato il suo stile di vita quando si è resa conto di essere diventata insostenibile per l'ecosistema tutto. finita l'era delle fabbriche, gli esseri umani hanno deciso di occupare solo metà del pianeta, lasciando tutto il resto alle altre creature:
il cinquanta per cento dell'unico continente di panga era stato destinato all'uso umano, il resto era stato lasciato alla natura e l'oceano non era quasi stato toccato. a pensarci bene, era una divisione folle: metà della terra per una sola specie e metà per le centinaia di migliaia di altre, ma del resto gli umani avevano un talento per distruggere l'equilibrio delle cose, e trovare un limite a cui attenersi era già una vittoria sufficiente.
compreso quanto invasiva e pericolosa fosse la loro specie, gli esseri umani avevano rinunciato a quella che conosciamo come l'unica possibilità, a quello che chiamiamo il migliore dei mondi possibili: l'idea folle di una continua crescita, di un progresso tendente all'infinito, la necessità di accumulare ricchezze e quindi di produrre e consumare merci su merci, sempre più effimere, sempre più veloci nel trasformarsi in rifiuti e nel distruggere il mondo in cui viviamo. in questo scenario, i robot avevano sviluppato una coscienza, avevano scelto di smettere di lavorare per gli esseri umani e si erano allontanati nelle terre lasciate alla natura.

sibling dex, dunque, decide di diventare un monacə del tè, cioè di viaggiare per panga fermandosi di villaggio in villaggio offrendo a chiunque ne avesse bisogno una tazza di tè e un momento di ascolto sincero. sì, perché perfino in quello che sembra quasi un paradiso utopico come panga c'è bisogno di staccare la spina ogni tanto e di prendersi del tempo solo per sé stessə. dex sembra essere diventatə bravissimə nel suo nuovo compito, eppure quel desiderio che lo aveva spinto all'inizio continua a ronzargli in testa...
"scommetto che è piacevole addormentarsi ascoltando i grilli"
ma esistono ancora i grilli? gli errori che l'umanità ha compiuto nel passato, portando la propria e le altre specie quasi sull'orlo della distruzione, hanno risparmiato queste creature? senza una vera e propria risposta, dex si mette di nuovo in discussione e riprende il suo viaggio.
e questa volta decide di inoltrarsi nella metà non antropizzata di panga, alla ricerca di un vecchio santuario in cui forse, potrà ascoltare il canto dei grilli dal vivo e magari trovare una risposta a quel senso di insoddisfazione che non lə da mai tregua. e qui, nelle terre selvagge, dex incontra lə più improbabile dellə compagnə di viaggio, un robot, o meglio un wild-buit (cioè un robot costruito senza l'intervento umano) di nome mosscap che vuole tornare tra gli esseri umani - dopo decenni in cui le due specie si sono allontanate - per scoprire di cosa hanno bisogno nella loro vita.

l'incontro - un momento di portata storica per tutto panga - è un po' buffo e impacciato ma, in qualche modo, dex e mosscap decidono di continuare il loro viaggio insieme. e qui, nella bellezza della natura selvaggia che si riappropria di sé stessa e dei suoi spazi, tra la strana coppia nasce una bellissima, lunga serie di dialoghi e riflessioni sull'essere al mondo, sulla propria natura - umana o robotica - e sul rapporto con le altre forme di vita, sui propri desideri e bisogni, sui ricordi e sulle prospettive future, sulla consapevolezza, sul senso e sullo scopo della propria stessa esistenza.
per chiunque sia nato e cresciuto nell'infrastruttura umana è difficile assimilare davvero il fatto che la sua visione del mondo in realtà è a rovescio. anche se sa bene di vivere in un mondo naturale che esisteva prima di lui e che continuerà a esistere molto dopo. pur essendo consapevole che lo stato selvaggio è la condizione predefinita delle cose e che la natura non è qualcosa che si verifica soltanto nelle enclave accuratamente curate fra le cittadine, qualcosa che appare negli spazi aperti se li si ignora per un po', anche se passi tutta la vita convinto di essere profondamente in contatto con gli alti e bassi, con il ciclo, con l'ecosistema com'è in realtà, avrai comunque difficoltà a visualizzare un mondo intatto. faticherai ancora a capire che i costrutti umani sono qualcosa di scavato e sovrapposto, che questi sono i posti che si trovano in mezzo, e non il contrario.
posso dire tranquillamente che questo sia uno dei libri più belli che abbia letto ultimamente. ne ho sottolineato pagine intere, ho adorato i personaggi, ho amato il mondo in cui si muovono e ho provato a immaginarlo, per quanto difficile possa essere. ma oltre all'aspetto più poetico - passatemi il termine - c'è quello che potrei definire più politico: un mondo che si è salvato grazie a una rivoluzione di stampo ecologico e spirituale in cui capitalismo e consumismo non esistono più, neppure come lontani ricordi.

un salmo per il robot (a psalm for the wild-built) fa parte di una serie in due volumi di cui in italia non è ancora stata pubblicata la seconda parte (a prayer for the crown-shy), in cui continua il viaggio di sibling dex e mosscap.
spero sinceramente che mondadori decida di pubblicare un volume con entrambe le novelle, ritraducendo anche questa prima parte della storia ma, eventualmente, mi andrebbe benissimo anche un secondo volume nell'edizione urania. insomma, qualsiasi cosa purché possa continuare il viaggio di sibling dex e mosscap.

lunedì 15 aprile 2024

ancora una fermata

il suo sorriso somiglia all'inizio di una storia molto lunga che august racconterebbe a una serata fra amici, se avesse degli amici.
copertina di "ancora una fermata" di casey mcquiston - una ragazza con i capelli lunghi e biondi, con un caffè in mano, sta per prendere la metro, mentre un'altra, con i capelli corti e scuri, si affaccia dalle porte del treno

1) il suo sorriso è davvero l'inizio di una storia molto lunga;
2) credo che non esista età più felice - stupida ma felice - di quella in cui basta un sorriso di qualcunə incontratə per caso, anche solo di sfuggita, per far sì che il nostro cervello inizi a scrivere libri, poesie, film, intere saghe di luminose fantasie;
3) lə amicə arrivano, a un certo punto, magari nel modo più inaspettato possibile, ma arrivano sempre.

ogni tanto bisogna uscire dalla propria comfort zone. fa bene. è vero che il pericolo di una delusione è dietro l'angolo ma se si è dispostə a correre il rischio, magari arrivano anche le belle sorprese.
ancora una fermata per me è stata una bellissima sorpresa. l'ho recuperato su vinted dopo che certe idiozie classiste e tremendamente maschiliste sulle scrittrici donne e sui romance mi avevano fatto ribollire lo stomaco di rabbia.
senza fare troppi giri di parole: è incredibilmente stupido e in cattiva fede dire che le donne scrivono solo storie d'amore ed è incredibilmente stupido e ottuso relegare le storie d'amore a prescindere da tutto il resto in una categoria marginale, criticando lə lettorə di romance di non capirne niente di letteratura, innalzando un certo tipo di testi - e quindi un certo tipo di lettorə - a vera letteratura (e verə lettorə). sinceramente, di questi giudizi così superficiali, snob e classisti non ce ne facciamo niente, grazie tante. continuate pure a farvi le pippe a vicenda su robinson.

insomma, ecco la premessa.
è vero che sono una lettrice di quella letteratura di genere che non rientra nei salotti bene, ma il romance mi mancava. e ancora una fermata sembrava il titolo perfetto, quindi mi sono lanciata. e ho fatto benissimo, è stato uno dei libri che mi hanno appassionata di più negli ultimi mesi!

la protagonista è august landry, ventitreenne che ha passato gli ultimi cinque anni della sua vita traslocando da un appartamento all'altro e da un corso di laurea all'altro. august ha un rapporto piuttosto complicato con sua mamma - che l'ha trascinata per tutta la vita nella ricerca di uno zio scomparso quando lei era bambina - che ha guastato ogni altra possibile relazione sociale.
non è mai riuscita a trovare dellə verə amicə e non ha mai avuto una storia d'amore. a dirla tutta, anche il suo conto in banca lascia parecchio a desiderare e... insomma, né il presente né il futuro sono troppo rosei per lei.
almeno finché non si trasferisce a new york, trova una stanza in affitto insieme a dellə coinquilinə e dellə vicinə di casa piuttosto sui generis, inizia un nuovo corso all'università e cominci a lavorare come cameriera in una tavola calda che sforna pancake unti e capaci di lasciarti il loro odore addosso per l'eternità. e soprattutto, finché non inizia a prendere la metro, linea Q. è lì che incontra jane, la ragazza più figa del mondo per cui si prende una cotta spaziale e, almeno in apparenza, disperata.
perché jane non è soltanto fighissima ma è anche incastrata nella situazione spazio-temporale più assurda possibile. l'incontro tra lei e august è davvero un miracolo, qualcosa di fortemente voluto dal destino, anche se a unirle è una matassa più che un filo, un ingorgo di storie e indizi e coincidenze che collegano gli anni '70 con i 2000, un mistero che chiede di essere svelato e che august risolverà non soltanto grazie a tutto quello che anni di indagini con sua mamma le hanno insegnato, ma anche con il preziosissimo aiuto e supporto di quella nuova famiglia di elezione in mezzo a cui è piombata quasi senza rendersene conto.

senza spoilerare la trama - che è piena ed appassionante e non merita spoiler - dentro questo libro c'è un'umanità incredibile, vera ed emozionante.
c'è la sorpresa di chi trova, finalmente, la propria gente, il proprio posto nel mondo, di chi riesce a mettere insieme, un pezzetto alla volta, la propria vita, esattamente quando ormai la dai per spacciata. la famiglia-per-scelta di august è queer e assurda e piena d'amore, è fatta di quelle persone a cui al primo incontro non daresti un centesimo ma poi ti cambiano l'esistenza (in meglio), persone che, se non rientrano in nessuna categoria socialmente accettata, fanno spallucce e se ne creano di nuove.
e la storia d'amore con jane è bella, semplice e sincera, senza drammi, senza stereotipi, senza stupidi normativismi. è quello che una storia d'amore dovrebbe essere e basta.

e quindi se le donne - o, come in questo caso, le persone queer e non binary, come casey mcquiston - sanno scrivere storie così, che divertono, appassionano, emozionano e sanno raccontare così bene l'immensa varietà dei possibili modi di stare insieme al mondo, direi che è il caso di mettere un po' di snobberia da parte e rivalutare il proprio sistema di valori.

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mercoledì 10 aprile 2024

cadavere squisito

mezzena. storditore. linea di macellazione. lavaggio a spruzzo. quelle parole gli si affacciano alla mente e lo colpiscono. lo annientano. ma non sono soltanto parole. sono il sangue, l'odore acre, l'automatizzazione, l'assenza di pensiero. irrompono nella notte, prendendolo alla sprovvista. si sveglia col corpo bagnato da un velo di sudore perché sa che lo aspetta un altro giorno in cui dovrà macellare umani.
copertina di "cadavere squisito" di agustina bazterrica, eris edizioni. la stessa figura - una chimera col corpo di donna e parti di animali macellati - si ripete in bianco e nero su un fondo rosa chiaro

è vero che siamo solo ad aprile ma probabilmente cadavere squisito di agustina bazterrica è e sarà il libro dell'anno.
la storia ruota attorno a marcos, un uomo che lavora nel mercato della carne. odia il suo lavoro ma ha bisogno di quei soldi per mantenere il padre in una costosa casa di cura. suo padre, a un certo punto, è impazzito. è successo dopo la transizione.
nel futuro in cui vive marcos un virus ha colpito gli animali, tutti gli animali: quelli da compagnia, quelli da allevamento, quelli selvatici. nessuna cura e nessun vaccino hanno dato risultati e la malattia è stata dichiarata letale anche per gli esseri umani. il panico e l'isteria si diffondono a livello globale e i governi, per ripristinare un qualche tipo di ordine, hanno deciso l'abbattimento di ogni animale non umano.
svuotati gli allevamenti, si è dovuto decidere come rimettere in moto il mercato della carne. mentre poverə, immigratə e marginalizzatə di ogni tipo iniziavano a sparire, i governi, pressati da uno dei settori industriali più potenti - quello carne - hanno deciso di legalizzare l'allevamento, la macellazione e il commercio di carne umana. anzi, di carne speciale.
eccola, la transizione. un processo velocissimo, crudele, aberrante che ha stravolto l'esistenza intera sulla terra. un processo che, molto probabilmente, è stato studiato e voluto per risolvere il problema della sovrappopolazione e dell'immigrazione, sebbene nessunə ne parli apertamente in questi termini.
un processo che ha fatto impazzire migliaia, centinaia di migliaia di persone, tra cui il padre di marcos. un processo a cui tuttə lə altrə si sono arresə, più o meno controvoglia.

la transizione prima e tutta la realtà che gira intorno al mercato della carne poi, sono state rese possibili grazie a un uso sapiente e costruito delle parole:
ci sono parole opportune, igieniche. legali.
lo ripeto sempre, in mille occasioni e contesti differenti: le parole non sono soltanto uno dei modi che abbiamo per descrivere e raccontare la realtà, sono, in primo luogo, gli strumenti principali che usiamo per creare la realtà.
da sempre, in ogni tempo e in ogni luogo, le parole, il nome che diamo allə altrə, ci ha consentito di mettere una distanza tra noi e loro. le parole, se usate bene, deumanizzano e reificano l'altrə. privatə della sua realtà e dignità di nostrə parə, l'altrə da noi diventa nostrə subalternə, diventa cosa. una cosa che abbiamo il potere, l'opportunità e addirittura il diritto di usare e distruggere a nostro piacimento.
guerre, assassinii e genocidi sono possibili solo se aumentiamo la distanza e la differenza con l'altrə. storia e cronaca ce lo insegnano bene.
persino il cannibalismo diventa legale ed eticamente accettabile se togliamo a un corpo lo status di essere vivente e lo trasformiamo in un prodotto.
i prodotti possono essere venduti, acquistati e consumati. basta solo chiamarli nel modo corretto, quello legalmente ed eticamente accettato.

agustina bazterrica insiste moltissimo sull'importanza del linguaggio, delle parole e dei nomi. la carne speciale - non carne umana - non ha nome e cognome, non ha identità e per questo è commestibile. i capi di allevamento non hanno voce, non possono parlare né gridare. la loro crescita - che avviene in allevamento, in un contesto separato da ogni altra struttura sociale e comunitaria - è velocizzata per massimizzare i profitti, il che vuol dire che non riescono ad apprendere nulla se non la paura, un terrore inoculato di generazione in generazione che non può essere espresso, sia per la mancanza fisica - ai capi d'allevamento vengono asportate le corde vocali - sia per quella culturale: i capi d'allevamento non hanno un linguaggio, non possono sviluppare una consapevolezza piena della realtà che, in qualche modo, abitano.

l'uso che facciamo del linguaggio è parte del sistema in cui viviamo, lo influenza e ne è influenzato in un circuito continuo in cui è impossibile individuare un punto di inizio e uno di fine.
marcos, per tutta la durata del romanzo, è disgustato dal suo lavoro, dal modo in cui l'allevamento di esseri umani ha sostituito quello degli altri animali, è disgustato da tuttə quellə che, in un modo o nell'altro, ne sono coinvoltə, uomini e donne che non nascondono una certa vena sadica e soddisfatta nel modo in cui affrontano i loro compiti (e, se vi è mai capitato di leggere report e articoli sullo stato degli allevamenti, saprete che purtroppo non è una situazione così lontana dalla realtà).
eppure, quello che traspare dai pensieri e dagli atteggiamenti di marcos è ben lontano da un qualsiasi tipo di umanitarismo. il disgusto non nasce dall'orrore per il modo in cui i capi d'allevamento vengono trattati e uccisi, non prova alcun tipo di empatia per quelle creature che sono in tutto e per tutto uguali a lui.
può sembrare paradossale che l'evento che lo scuote emotivamente di più è l'incontro con dei cuccioli di cane, ma in realtà non lo è, anzi. l'episodio ricalca perfettamente il tipo di meccanismo che mettiamo in atto - più o meno consapevolmente - quando trattiamo in modo differente animali di specie diverse: ci sciogliamo d'amore davanti a cagnolini o gattini e dieci minuti dopo non abbiamo - non avete - problemi a mangiare la carne di un vitello di poche settimane. nel futuro di marcos, così come nel nostro presente, abbiamo eletto alcune specie ad animali da compagnia, che trattiamo come nostri pari o quasi, ma a cui comunque riconosciamo una certa dignità e certi diritti, e abbiamo relegato altre al concetto di prodotto e merce, negando loro la nostra empatia, privandoli di sentimenti, emozioni, paure e gioie.

quello che succede nell'episodio dei cagnolini mi ha turbata profondamente, è stato il primo momento in cui ho dovuto posare il libro e provare a distrarmi perché mi stavo sentendo fisicamente male. eppure avevo già letto scene ben più aberranti e orribili, avevo già seguito l'intero processo di macellazione di uno dei tanti capi di allevamento umani. perché i cagnolini mi avevano fatto stare così male e le scene precedenti mi avevano procurato solo fastidio?
è qui, secondo me, che sta il genio di bazterrica, è qui che questo romanzo svela effettivamente tutta la sua potenza. bazterrica riprende le dinamiche speciste proprie del nostro sistema culturale ed economico e le distorce appena. gli esseri umani degli allevamenti sono creature con cui non siamo in grado di comunicare, di interagire, di instaurare dei legami - nella finzione narrativa così come da lettorə. è per via di questa incomunicabilità, di questa mancanza di un sentire comune - che, invece, non esiste con i cagnolini, che siamo abituatə a vivere costantemente nella nostra realtà e a trattare come bambinə, e che sperimenta anche marcos insieme a noi nel romanzo - che proviamo soltanto disgusto e fastidio, esattamente come faremmo, magari, se avessimo letto la descrizione di un qualsiasi processo di lavorazione in un qualsiasi macello reale.

in un'intervista rilasciata a the guardian, bazterrica dice:
questo romanzo è una riflessione su cosa sia il capitalismo e come ci insegna a naturalizzare la crudeltà. il capitalismo è un sistema in cui tutti nasciamo, lo abbiamo dentro di noi e il patriarcato fa parte di quel sistema. ho provato a lavorare con l'idea che ci mangiamo a vicenda in modo simbolico. [...] capitalismo e cannibalismo sono quasi la stessa cosa, sai?
proprio come accade a marcos nel romanzo, anche noi siamo dentro un sistema che, per quanto possa farci orrore, è quello in cui siamo natə e cresciutə, in cui abbiamo sviluppato il nostro sistema di pensiero, persino quei pensieri che sono critici verso il sistema stesso. è per questo, probabilmente, che riusciamo a seguire così bene il corso dei suoi pensieri e delle sue emozioni durante il racconto.
perché, al netto dell'elemento esasperatamente distopico del cannibalismo, il futuro di marcos non è poi così lontano dal nostro presente.

insieme alla questione della produzione e del consumo di carne, bazterrica dissemina il testo di un sacco di altri indizi che avvicinano il futuro di cadavere squisito al nostro tempo: sono immigratə e poverə le prime vittime del cannibalismo, così come sono le femmine - ovvero le donne incluse nel sistema di allevamento - quelle che patiscono violenze legate al loro genere, stupri e fecondazioni forzate in primo luogo. gli esemplari malati vengono abbattuti senza pietà, in un riproporsi di quell'abilismo che conosciamo bene e il colore della pelle è, ovviamente, un discrimine fondamentale soprattutto se rapportato al mercato della conceria.

le leggi scritte e non che regolano il sistema in cui vive non si discostano troppo dalle nostre: al centro di ogni possibile aspetto della realtà c'è la produzione finalizzata al profitto. nel futuro di marcos si può sopravvivere senza mangiare carne esattamente come succede nella nostra realtà ma il sistema si alimenta di sé stesso e spinge lə consumatorə verso quel determinato tipo di prodotto, incurante di ogni possibile effetto collaterale, ambientale, economico, politico fisico o psicologico che sia.

smantellare il mercato della carne speciale nel romanzo sarebbe possibile tanto quanto sarebbe possibile fare la stessa cosa con il nostro mercato della carne: non soltanto abbiamo un'infinità di alternative alimentari che sostituiscono la carne egregiamente, sia dal punto di vista del gusto che da quello nutrizionale, ma sappiamo benissimo che l'allevamento intensivo è una delle cause principali - la seconda, dopo i trasporti - dell'inquinamento e del disastro ambientale verso cui corriamo a velocità sempre più alte. eppure, siamo spintə a consumare carne da un sistema che coinvolge migliaia di aspetti - dal marketing alla disinformazione medica, dall'ideologia antivegan - a dispetto della nostra salute e di quella del nostro pianeta.
la merce che vendiamo è morta, in stato di putrefazione, ma sembra che la gente si rifiuti di accettarlo.
cadavere squisito di agustina bazterrica ci mostra come il sistema in cui viviamo si alimenti di scelte consapevolmente sbagliate, un sistema di cui facciamo parte anche se disgustatə e ideologicamente contrarə.
nel romanzo sembrano non esserci vie d'uscita e probabilmente è così. ma se non può essere distrutto, il sistema può essere indebolito usando i suoi stessi strumenti: siamo consumatorə e, in quanto tali, abbiamo potere economico che si traduce in potere politico. il modo in cui sosteniamo un certo tipo di economia attraverso le scelte di consumo che mettiamo in pratica hanno effettivamente una ricaduta politica che non è indifferente come ci viene detto (basti pensare alle campagne di boicottaggio messe in atto a sostegno della palestina negli ultimi mesi). acquisire consapevolezza, anche attraverso opere come questo libro, è fondamentale per non essere ingranaggi passivi, per non arrenderci all'orrore e imparare a non farne parte.

lunedì 8 aprile 2024

girl juice

«ti chiedi mai perché siamo qui?»
«madonna, no. dio mi ha donato questo stupido cervello che può fare solo pensieri sciocchi... pensieri come "questo selfie è abbastanza carino per essere postato?" o "cosa c'è per pranzo?". se iniziassi a fare pensieri importanti devierei dal piano che dio ha avuto per me. e, uuuh, no, grazie!»
«quindi... quale pensi che sia il piano che dio ha per te?»
«boh... probabilmente di essere figa e sempliciotta per sempre»
«ci sta»

prendete quattro coinquiline (non amiche. coinquiline) e una cagnolina. quattro coinquiline che riassumono le ossessioni e le idiosincrasie di un'intera generazione, le esasperano e le ingigantiscono in modo che occupino praticamente ogni centimetro quadrato di spazio delle loro esistenze (inclusa quella della cagnolina). mischiate tutto con una abbondante dose di irriverenza, qualche sex toy, e un mucchio di social, app, cellulari e webcam costantemente attivi. aggiungete un po' di traumi infantili, spiriti da esorcizzare, un paio di tonnellate di umorismo, disegni ipercarini e un po' gommosi, colori supersaturi, accertatevi di aver rimosso ogni possibile bigottismo e moralismo e... ta-dah! ecco a voi girl juice!

ana è una disegnatrice di fumetti con una strana fissazione per i clown, sadie è sempre presa dal suo lavoro e sta insieme a tallulah, che sogna di diventare un'influencer famosa. e poi c'è bunny: tremendamente carina, tremendamente hot e tremendamente sciocca, ossessionata dal sesso e innamorata persa della sua cagnolina britney (per inciso: è britney che paga l'affitto).
bunny è il centro gravitazionale attorno a cui ruota freneticamente questa piccola galassia di assurdità quotidiane, un concentrato di stranezze, segreti e completini sexy.
bunny è un po' il motore primo di quasi tutti gli episodi che compongono la prima parte di girl juice, brevi sketch di sei vignette - una tavola ciascuno - che ci trascinano nella vita sconclusionata, folle e incredibilmente divertente delle quattro ragazze e che fanno da preludio alla seconda parte della storia, dedicata a tallulah, al suo canale utube e a una... presenza quantomeno bizzarra, se resta ancora qualcosa capace di stupirci a questo punto.


benji nate crea un mondo che affronta le mille crisi della gen-z con un'ironia dissacrante e scorretta, senza toni da denuncia e senza scivolare nella rappresentazione intimistica e psicologicamente attenta delle sue protagoniste, anzi, ne fa quasi delle maschere, dei grossi grumi di stereotipi che riassumono al meglio le nostre esistenze isteriche e precarie: l'artista portoricana prende tutto quello che potrebbe rendere una storia drammatica e lo rovescia, fino a farci ridere di gusto davanti alla rappresentazione esasperata e full-color della quotidianità di una generazione lontana anni luce da quelle che l'hanno preceduta.


se siete stanchə di quelle narrazioni che ritraggono lə nuovə giovani adultə con toni intimistico-drammatico-psicologico, se volete provare a leggervi attraverso una lente diversa, irriverente, politicamente scorretta (e che probabilmente farebbe correre qualche vostra zia a recuperare il primo rosario disponibile), avete trovato il fumetto che fa per voi.

sabato 6 aprile 2024

il famiglio della strega

nell'immaginario collettivo la strega è donna, spesso anziana o caratterizzata da evidenti deformità fisiche, generalmente accompagnata da un animaletto - un gatto, un rospo, un cane - suo servitore, messaggero e complice, con cui instaura un rapporto duraturo e profondo.
copertina de il famiglio della strega - l'immagine è tutta nera, con gli occhi gialli di un gatto

in effetti, se proviamo a richiamare alla mente l'immagine di una strega, la immaginiamo sempre in compagnia di una qualche creaturina, poco importa come decliniamo questa fantasia, se ci figuriamo la strega come una vecchina da fiaba, che vive nel bosco e crea strani intrugli di erbe o come una donna crudele che trama nell'ombra ai danni di qualcunə. quale che sia il valore - positivo o negativo - che diamo alla parola strega, molto probabilmente la declineremo al femminile e le metteremo accanto un qualche animaletto, più o meno simile a quelli di cui abbiamo esperienza quotidianamente.
ma da dove nasce la coppia inscindibile strega-famiglio?

ne il famiglio della strega, francesca matteoni ci accompagna in un lungo excursus storico sulle credenze popolari e la scienza medica dal tardo medioevo all'epoca moderna, attraversando atti processuali, storie e dicerie e focalizzandosi sul ruolo del sangue: il sangue come emblema e fonte di vita quando circola all'interno del corpo, il sangue come simbolo di morte quando viene sparso, il sangue come fonte di salvezza se riferito al sacrificio di cristo e come sede dell'anima secondo le concezioni della medicina di varie epoche.
il sangue, quindi, come legame cercato dal diavolo per impossessarsi dell'anima umana. il sangue femminile come parodia del latte con cui la strega - quasi sempre ma non esclusivamente donna - nutre le creature malvagie che la aiutano a compiere i suoi malefici.
il famiglio della strega è così non soltanto un saggio sulla figura di queste creature più o meno teriomorfe e più o meno dannose ma è anche un interessante trattato sulle concezioni scientifiche che ci hanno condotto - attraverso ipotesi e concezioni errate dell'anatomia e del funzionamento del corpo umano - alla biomedicina moderna, un modo per ricordarci che la scienza non è mai nulla di assoluto, anzi, che è sempre prodotto della cultura in cui si sviluppa.

le due figure - quella di strega e quella di famiglio - nascono come risposte a determinati e specifici problemi e questioni sociali, si nutrono di paura e di miseria come di storie e fantasie: dalle teorie umorali di stampo ippocrateo e galenico - che riguardano il funzionamento del corpo in relazione all'equilibrio tra i quattro umori fondamentali: sangue, flegma, bile gialla e bile nera - alle concezioni demonologiche e religiose, senza lasciare indietro una sorta di questione di classe: le donne accusate di stregoneria erano quasi sempre povere, vecchie e sole, così come povere erano le presunte vittime che cercavano, in qualche modo, di trovare risposta alle loro miserie.
la povertà e l'inconoscibilità di un fato quasi sempre cieco e ostile verso gli ultimi favorivano narrazioni, fantasie e forse vere e proprio visioni, dove creature altre si assumevano la colpa degli eventi negativi, ma potevano anche essere invocate per migliorare la propria sorte. non poteva essere così anche per il famiglio? presenza nociva per il vicinato, otteneva dalla strega un nome e veniva accudito, primariamente come animale domestico: un conforto e, a suo modo, un aiuto. è su queste premesse - condizioni di esistenza precarie e difficili, ricerca di soccorso ultraterreno - che nelle immaginazioni degli accusati, come dei loro accusatori, si fa strada la figura satanica.
il famiglio si evolve, nel corso del tempo, prendendo forma nel calderone dei racconti di fate, spiriti e folletti, facendosi via via sempre più malefico, sempre più intimamente connesso al corpo e al sangue della strega da un lato e alla dimensione infernale dall'altro, fino a trasformarsi in mostro dalle sembianze chimeriche e demoniache. solo negli ultimi secoli in cui la credenza nella stregoneria si è mantenuta in vita il famiglio torna a essere simile a un animale domestico e il legame di sangue sparisce.

le concezioni della stregoneria nel tempo sollevano anche un'altra, interessante riflessione: la strega è riconoscibile non per la sua conoscenza di materie segrete ma per i segni visibili del suo corpo. difetti e alterazioni della struttura della pelle, ad esempio, ma anche cicatrici, segni di ustioni o di attività usuranti, tutto - e qui torniamo alla questione di classe di cui prima - ciò che fame, miseria, malattie, violenza e duro lavoro potevano imprimere sui corpi (così come nelle menti) di chi, di certo, non si fregiava di titoli nobiliari. il corpo non conforme della strega è indagato, analizzato, pungolato e ferito per mostrare al mondo la sua a-normalità, prova irrefutabile della comunione con il diabolico. quanto abilismo c'è stato nella caccia alle streghe?
le confessioni delle streghe ci raccontano di profonde solitudini, causate dalla povertà, dall'esclusione, da dolori e difficoltà personali, da sensi di colpa e disagio, dalla rabbia perfino, e sì, anche da fantasia e visioni che in altre situazioni avrebbero fatto di alcune fra loro grandi narratrici. la strega vive sola. e in questa solitudine tesse amicizie eccezionali con spiriti, presenze ibride fra l'animale e il mostruoso, compagni invisi al suo vicinato. nella solitudine cerca, come ogni essere vivente, un conforto, apre spazi che conducano altrove, via dalla disperazione.
ultima - per questo spazio, ma di certo questo saggio ne suggerisce molte altre - tra le riflessioni che vorrei proporvi: il famiglio, che veniva nutrito con il sangue, succhiato direttamente dal corpo della strega come unə bambinə succhierebbe il latte dal seno della madre, diventa simbolo parodistico di una maternità che perde la sua sacralità e si fa quasi blasfema. la donna-strega è la donna che non è, o non può più essere, madre, che nutre una creatura animalesca, impura e malefica invece di una umana, innocente e potenzialmente utile e buona per la società. c'è, in questo rovesciamento dell'immagine della madre, tutto lo stigma sulla maternità non realizzata.
la strega e il suo famiglio incarnano il contrario delle aspettative sociali sulle donne e si tramutano, oggi, nell'immagine della gattara, la vecchia sola, spesso mai sposata (o rimasta vedova) e senza figliə, che si circonda di animali e li tratta come bambinə, creatura inadatta e inadattabile al vivere comunitario.
la gattara è, negli occhi di chi la guarda con disprezzo, la donna che tenta di rimediare al suo errore di non aver creato una famiglia sua, come se nessun altro tipo di relazione con nessun altro tipo di creatura fossero legittimi di per sé.

al netto delle mie personali riflessioni, il famiglio della strega è un testo interessantissimo, ricco di informazioni e scritto con la penna di chi, come francesca matteoni sa fare egregiamente, sa essere ricercatrice e insieme narratrice e poeta.

giovedì 4 aprile 2024

charlotte sometimes

cosa accadrebbe se le persone non ci riconoscessero? sapremmo davvero chi siamo? se l'indomani avessero cominciato a chiamarla vanessa, o janet o elisabeth, avrebbe saputo di essere charlotte, si sarebbe sentita se stessa? o siamo una persona in particolare solo perché la gente ci riconosce come tale?
copertina di charlotte sometimes - si vede una ragazzina seduta su un letto, alle sue spalle c'è una finestra illuminata dalla luna, sul soffitto si trova un altro letto, capovolto e speculare al suo

il primo giorno in una nuova scuola è sempre un evento un po' destabilizzante, segna il momento in cui si taglia nettamente con il passato e si inizia a camminare verso un futuro di cui non sappiamo ancora nulla.
se poi la nuova scuola è un collegio, la casa che si abiterà negli anni a venire, lontana dalla propria famiglia, dalle proprie abitudini, dai paesaggi familiari, dai suoni e dagli oggetti di ogni giorno, allora è perfettamente comprensibile il senso di straniamento e malinconia che charlotte makepeace e le sue nuove compagne di stanza provano quella sera nei loro nuovi letti, avvolte da lenzuola estranee, con un libro sul comodino e qualche soprammobile a ricordare loro quello che si sono lasciate alle spalle.

ma lo straniamento della sera prima sembra quasi uno scherzo in confronto a quello che charlotte trova al suo risveglio: la camera è diversa, fuori dalla finestra il paesaggio è cambiato, il rumore dell'aeroporto vicino la scuola è scomparso, e al posto delle ragazze a cui aveva dato la buonanotte poche ore prima c'è solo una bambina più piccola di lei, di nome emily, che dice di essere sua sorella.
e che sostiene che lei sia claire moby.
inspiegabilmente, charlotte ha preso il posto di una ragazza che sembrerebbe somigliarle così tanto che nessunə riesce ad accorgersi della differenza. una ragazza che frequentava la sua stessa scuola e dormiva nel suo stesso letto più di quarant'anni prima, nel 1918.

il giorno dopo, charlotte è di nuovo nella sua epoca e il suo andare avanti e indietro nel tempo continua così per settimane: un giorno è charlotte, vive negli anni '60, ascolta gli aerei rombare sopra la sua scuola, il giorno successivo è claire, passa le sue giornate con emily in un paese in cui tutto - il cibo scipito, le stoffe ruvide dei vestiti, il pianto di qualche ragazza dopo aver ricevuto una lettera da casa, le esercitazioni militari a poca distanza dalla scuola - le ricorda che l'inghilterra è impegnata in una guerra che per lei, fino a quel momento, era stato solo uno dei tanti argomenti delle lezioni di storia.

certo, è difficile gestire due vite contemporaneamente, sia per charlotte che per claire. le due ragazze comunicano attraverso dei diari e anche grazie a emily, che in qualche modo scopre il loro segreto, ma nonostante tutto per loro è difficile essere costanti tanto nelle lezioni che nei rapporti con le altre compagne.
ma come è possibile, si chiede costantemente charlotte, che nessuna, né le insegnanti né le sue compagne, si renda conto che lei non è sempre lei? com'è possibile che notino le sue mancanze con i compiti, che la accusino di essere fredda e scostante, ma non si rendano conto che charlotte non è sempre charlotte e claire non è sempre claire? è davvero solo l'aspetto fisico a renderci quello che siamo? solo il nome a cui rispondiamo?

spaventata di perdere sé stessa in quell'assurdo rimbalzare tra due epoche e due vite, proprio quando intravede una soluzione che possa porre fine ai suoi viaggi, charlotte si ritrova invece bloccata nell'epoca di claire, insieme a una emily sempre più chiusa e lontana, e in un passato in cui l'orrore della guerra si insinua malefico nella storia personale di chiunque, distruggendo sogni e speranze. come fare, allora, a riprendersi la sua vita? come recuperare sé stessa, come tornare a essere charlotte?

charlotte sometimes è un romanzo per ragazzə pubblicato per la prima volta alla fine degli anni '60 e diventato famoso più di un decennio dopo grazie all'omonima canzone dei the cure. nonostante siano passati quarantacinque anni dalla sua prima apparizione, la storia di charlotte continua a essere affascinante ed emozionante, le sue domande possono essere quelle di una ragazzina di oggi, così come attualissimo è il suo messaggio pacifista e antibellico.

l'edizione italiana di agenzia alcatraz propone non soltanto il finale alternativo uscito nel 1985 ma anche un brano tratto da uno dei blog di penelope farmer, l'autrice del romanzo, in cui racconta la sorpresa di scoprire che la sua charlotte è diventata la musa di uno dei gruppi rock più famosi e amati del mondo e l'incontro con quello che lei definisce un ragazzo garbato del sussex, un robert smith nei panni del fan che le chiede un autografo su una copia letta, riletta, sottolineata e appuntata del suo charlotte sometimes.