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venerdì 1 marzo 2024

l'enciclopedia delle fate di emily wilde

in questo scritto intendo fornire una descrizione fedele delle mie attività quotidiane sul campo atte a documentare una sottospecie enigmatica del popolo fatato detta "i nascosti". questo diario adempie a due scopi: aiutarmi a ricordare tutto per quando giungerà il momento di compilare il resoconto formale sulla ricerca sul campo e fornire un punto di partenza per gli studiosi che verranno dopo di me, qualora io dovessi essere catturata dal popolo fatato.

l'enciclopedia delle fate di emily wilde è stato uno dei romanzi che ho letto con più piacere negli ultimi mesi, una lettura leggera e confortevole che mi ha appassionata tantissimo e che ho praticamente divorato, soprattutto per merito della protagonista e del suo modo di raccontare le vicende.

siamo a inizio novecento a hrafnsvik, uno sperduto paesino sull'isola di ljosland, al largo della norvegia. emily wilde, in compagnia del suo gigantesco cane nero di nome shadow, un cucciolone dall'aspetto un po' spaventoso ma buono come il pane, ha affrontato cinque giorni di viaggio dalla ben più comoda londra per terminare la sua ricerca e concludere il lavoro più importante della sua vita: compilare un'enciclopedia del popolo fatato.
emily è, infatti, una stimatissima driadologa dell'università di cambridge ma, per quanto raccolga successi e porti avanti i suoi progetti, la vita in accademia non è molto facile per le donne, nemmeno nei libri fantasy.
dotata di scarsissimo senso pratico, emily è più preoccupata che il professor bambleby - collega che lei, per usare un eufemismo, mal sopporta - si intrometta ancora una volta nel suo lavoro (o che, peggio ancora, se ne appropri, mettendola in ombra) - che di sopravvivere lontana dalle comodità a cui è abituata.
certo, non è la prima volta che si trova sul campo a fare ricerca, ma la spoglia e gelida casetta che le è stata assegnata e, soprattutto, la legna per alimentare il camino, si svelano presto essere più problematici di quanto non avesse considerato.
emily è una ricercatrice brillante, dotata di intuito, con una preparazione impeccabile e una capacità di memorizzare le informazioni e recuperarle quando serve a dir poco invidiabile. eppure, quando deve occuparsi delle piccole - e grandi - incombenze della vita quotidiana o provare a capire i sentimenti delle altre persone, allora emily rivela tutta la sua imbranataggine.

tutto quello che succede dall'arrivo a hrafnsvik in poi viene annotato con precisione e dovizia di particolari da emily nel suo diario di campo, dalle riflessioni più strettamente personali - come, ad esempio, il disagio che prova quando si trova a relazionarsi con lə abitanti locali o le osservazioni non troppo lusinghiere su bambleby - a quelle legate alla sua ricerca: l'osservazione del territorio, le tracce della presenza del popolo fatato, l'equilibrio tra i nascosti e la gente del villaggio, i rapporti che riesce a instaurare con una delle piccole creature, un esserino che ribattezza poe, per via della pelle di corvo che indossa al loro primo incontro.
ma la vera svolta del suo viaggio di ricerca è merito proprio di bambleby: si potrebbe pensare a un vecchio professore barbuto e arrogante e invece bambleby - che arriva a hrafnsvik come un tornado non soltanto per gli isolani ma soprattutto per emily - stravolge, in meglio, ogni cosa: fa amicizia facilmente con lə abitanti del villaggio - in particolar modo con le abitanti del villaggio, specie se giovani e carine, trasforma la casetta un po' miseranda di emily in un rifugio accogliente, dispensa consigli alla sua collega e inizia ad accompagnarla durante le sue esplorazioni dando sfoggio del suo metodo di lavoro... diciamo poco scientifico.
e se da un lato emily non lo sopporta, dall'altro... beh, che ci sia una forte componente romantica in questo romanzo non è un segreto, e bambleby è giovane, bello e dotato di un fascino irresistibile a cui, poco alla volta, cede anche la nostra driadologa.

quindi, da un lato c'è una storia d'amore che nasce, dall'altro la ricerca di emily si trasforma presto in un'avventura in cui il nostro mondo e il regno fatato si alternano sullo sfondo e le vicende delle creature dell'una e dell'altra parte si legano indissolubilmente, trascinando emily - che oltre a essere una grandissima studiosa è anche materialmente incapace di voltare le spalle a qualcunə in difficoltà - e, di conseguenza bambleby, in avventure che vanno ben oltre la ricerca accademica (ma che, di certo, danno una spinta non indifferente al suo lavoro), tra fanciulle scomparse, bambini scambiati e re crudeli...

mi è piaciuto molto il punto di vista che heather fawcett è riuscita a creare lasciando raccontare tutto a emily tramite il suo diario di campo perché, nonostante voglia mantenere un tono accademico ed essere precisa nei suoi appunti, emily non può fare a meno di parlare delle cose che, anche inconsciamente le stanno a cuore. mentre si preoccupa di come la vedono lə abitanti di hrafnsvik o mentre scopre il segreto di bambleby, l'immagine della studiosa tutta d'un pezzo si sgretola per rivelarci una emily che nemmeno lei stessa conosce, una donna che è un po' una frana a capire i suoi sentimenti ma non per questo li mette a tacere.

l'enciclopedia delle fate di emily wilde è un fantasy/romance (è un romantasy? non sono brava con le etichette!) molto carino e godibilissimo in cui l'equilibrio tra la realtà come la conosciamo e la magia funziona bene e in cui è facilissimo affezionarsi allə personaggə, anche a quellə secondariə.
spero che esca presto il secondo romanzo - emily wilde's map of the otherlands - a cui, se non ho capito male, dovrebbe poi seguire un terzo e conclusivo capitolo.

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