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mercoledì 7 febbraio 2024

palestina 2048 - racconti a un secolo dalla nakba

l'influenza della nakba non è soltanto di carattere geopolitico, ma anche culturale. quando i palestinesi si dedicano a un'opera letteraria, scrivono, attraverso il presente, più o meno consapevolmente, del loro passato. la loro scrittura è, da un lato, ricerca dell'eredità perduta, dall'altro, tentativo di salvare dall'oblio la memoria di quella perdita. la nakba, naturalmente, è al centro di tutto ciò.
dall'introduzione di basma ghalayini


leggere il fantastico altro, quello non necessariamente anglofono o di origine più genericamente occidentale, è sempre un viaggio incredibile che porta a intravedere le idee di futuro - e quindi di presente - di culture diverse dalla nostra. quali sono i temi più sentiti, le paure più profonde, le speranze più grandi.
mi incuriosiva particolarmente provare a indovinare il futuro con gli occhi dellə scrittorə palestinesə, soprattutto in questo periodo terrificante - anche se questa raccolta è stata pubblicata qualche anno fa. mi incuriosiva perché non può esistere interpretazione del presente - e immaginazione del futuro - sconnessa al proprio passato, e il passato recente del popolo palestinese è, come racconta bene valerio evangelisti nella postfazione a questa antologia, un passato fatto di violenza, negazione e sottrazione:
dal 1948 una delle peggiori infamie che la storia ricordi si consuma sulle coste orientali del mediterraneo. un popolo perseguitato, in nome di un diritto ripescato in antiche mitologie, si è appropriato con la forza e col denaro di un territorio occupato da secoli da un'etnia diversa. intenzionato non a fondersi con gli autoctoni, ma a scacciarli, piegarli e nel frattempo schiavizzarli.
palestina 2048 è un libro importantissimo che, se pure non raggiunge sempre con ogni racconto altissimi livelli letterari, ha un valore politico immenso. perché sì, usare l'immaginazione per proiettarsi nel futuro può essere - e molto spesso è - un atto politico. l'immaginazione può farsi strumento di denuncia, di rivendicazione, di riappropriazione e autodeterminazione.
e questi racconti, ognuno a suo modo, riescono perfettamente a dimostrarci, ancora una volta, che immaginare è molto più che fantasticare vaghezze dilettevoli o spaventose fini a loro stesse, immaginare è creare nuove prospettive per mettere a fuoco la realtà e comunicarla in modi inediti.

come si legge già nell'introduzione, la fantascienza palestinese - o almeno, quella di questa antologia - ha una caratteristica ben specifica e molto comprensibile: il futuro è indissolubilmente collegato al trauma del passato, della nakba, la catastrofe, e alla speranza del ritorno. già dalla chiave raffigurata in copertina, simbolo della promessa di poter far ritorno alle case espropriate generazioni fa, l'occupazione coloniale violenta e illegittima di israele nei territori palestinesi è il leitmotiv di questa raccolta.
poco importa quando futuristica sia la palestina immaginata dallə dodici autorə di questi racconti, poco importa se i toni si fanno a volte più surreali e a tratti quasi da commedia, l'immaginazione torna irrimediabilmente al passato e, nello stesso tempo, non riesce a liberarsi dalle violenze del presente.
l'occupazione israeliana ha scavato nei cuori - e nei corpi e nelle menti e nelle memorie e nella capacità di immaginazione - dellə palestinesi solchi così profondi che nulla esiste senza essere risucchiato all'interno della sistematica sopraffazione che esercita momento dopo momento da quasi settantasei anni, sopraffazione di cui è praticamente impossibile liberarsi anche nella fantasia.
quello della nakba è un trauma che lə palestinesə ereditano e rivivono ogni giorno, a ogni generazione, oggi più che mai, in un deflagrare di orrore e abominevole violenza che lascerà risuonare la sua eco per decenni ancora.

i racconti che ho amato di più sono quattro e, secondo me, racchiudono perfettamente questa poetica fatta di memoria e di un dolore che non può essere ignorato. nel primo, che apre la raccolta, il canto degli uccelli di saleem haddad, una ragazzina scopre che la palestina libera, prospera e felice in cui vive non esiste. come se si trovasse al centro di un campo magnetico che genera interferenze con il tessuto del reale, le sue percezioni captano una realtà diversa, drammaticamente opposta a quella che credeva di conoscere. i sogni e il canto assurdamente monotono degli uccelli sapranno rivelarle il modo - terrificante - per tirarsi fuori da questa sorta di matrix.
altra storia da brividi è la chiave, di anwar hamed. una famiglia israeliana inizia a sentire il rumore di chiavi che cercano di aprire la porta di casa, anche se i filmati della sicurezza provano che nessuno si è avvicinato alla loro abitazione. la metafora è chiarissima e terribilmente d'effetto.
in ultimo avvertimento di talal abu shawish, l'eco del conflitto israelo-palestinese (per quanto ritengo che termini come conflitto o guerra siano profondamente inadeguati quando da un lato c'è uno degli eserciti meglio armati e più tecnologicamente avanzati del pianeta e dall'altro una popolazione costretta a vivere di aiuti umanitari nella sua stessa terra per colpa di un'occupazione che dura da circa tre quarti di secolo, ma è giusto per capirci) arriva a mettere in pericolo l'equilibrio dell'intera galassia. creature aliene - o divine? - arrivano a fermare persino il moto terrestre per parlare con le popolazioni in lotta e chiedere una convivenza pacifica eppure nulla sembra poter fermare la costruzione di nuovi muri (da parte di israele). il quarto racconto che mi ha colpita particolarmente è la maledizione del ragazzo palline di fango di mazen maarouf, una storia così surreale da far girare la testa, una sorta di memoir sospeso tra l'onirico e il lisergico dell'ultimo palestinese rimasto sulla terra, la cui sopravvivenza è l'unica garanzia per evitare la distruzione dell'intero pianeta.

il tema dell'incompatibilità tra israele e palestina torna e ritorna declinato sotto diverse forme, dall'esistenza di realtà virtuali a futuri in cui la memoria è proibita o in cui l'unica convivenza possibile è quella su due piani paralleli della stessa realtà (come accade in n, altro racconto interessantissimo, di majd kayyal). sullo sfondo, resta la violenza brutale di israele, uno stato senza volto, senza volti - non-immagine che riporta alla mente le scene di soldati quasi irriconoscibili, tutti uguali nelle divise seppellite da chili di gadget militari che vediamo praticamente ogni giorno da ottobre, ormai - che si esprime attraverso droni assassini o che è capace di controllare, letteralmente, persino l'ossigeno dei palestinesi (come accade in vendetta, di tasnim abutabikh). uno stato inumano tanto nelle intenzioni quanto nelle raffigurazioni che continua, a un secolo dalla nakba, a opprimere, imprigionare, distruggere, negare, sottrarre, uccidere.

palestina 2048 è un libro che vi consiglio con tutto il cuore perché leggere, come immaginare e come scrivere, può essere un gesto politico.
non che la questione palestinese sia una novità degli ultimi mesi ma è certo che negli ultimi mesi la situazione in palestina sia terrificante. non è una catastrofe, è un genocidio che ha mandanti, esecutori e complici ben precisi e riconoscibili, un genocidio che forse non possiamo fermare ma contro cui possiamo schierarci, ogni giorno.
possiamo farci eco delle parole di un popolo che viene massacrato sotto gli occhi indifferenti dellə potenti dell'occidente, possiamo farlo continuando a parlare di palestina, condividendo le notizie che ci raggiungono a raffica dai nostri telefoni (come ci giustificheremo quando ci chiederanno come avete potuto permettere che accadesse? se non possiamo più dire che non sapevamo?) e, anche, leggendo i libri dellə autorə palestinesi, parlandone e facendoli conoscere.
se pure non possiamo fisicamente salvare le persone, possiamo provare a salvare le storie che ci raccontano.

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