gli spazi hanno una serie di caratteristiche che consideriamo in quel modo perché soddisfano i bisogni di accessibilità delle persone legittimate a partecipare, a essere presenti.
siamo abituatə a pensare agli spazi come vuoti da riempire, vuoti che di per sé non contengono nulla che li caratterizzi finché non li attraversiamo. pensiamo gli spazi, insomma, come una sorta di palcoscenico in cui mettiamo in atto le nostre esistenze e, solo nel momento in cui li abitiamo, diamo loro un significato che può anche essere politico. le strade sicure le fanno le donne che le attraversano, abbiamo scritto e gridato insieme tante volte, ad esempio. ma cos'è che fa di una strada, di uno spazio, un luogo accessibile? e cosa vuol dire accessibile?
probabilmente, davanti a una domanda del genere, moltə - soprattutto le persone non-disabili - troverebbero facilmente una risposta. ancora più probabilmente, quella risposta sarebbe sbagliata.
a ilaria crippi c'è voluto un libro intero per trovare una soluzione al quesito, e non perché si sia dilungata a scrivere inutilmente ma perché le percezioni e le idee che interessano il modo in cui gli spazi sono pensati, costruiti e abitati sono tante e differenti e, quasi sempre, accomunate da un problema: gli spazi - e tutta la vita che in quegli spazi si può vivere - non prevedono al loro interno la presenza di persone disabili.
lo spazio non è neutro parte da una prospettiva singolare - quella dell'autrice e delle sue esperienze - non per universalizzare dei bisogni specifici ma per spostare il punto di vista da quello che le persone non-disabili sono abituate a pensare come standard, cioè come adatto a tuttə, come neutro.
sono gli spazi escludenti - ovvero la stragrande maggioranza dei luoghi - a disabilitare le persone con un corpo-mente non conforme, è il confronto con quegli spazi in cui non riusciamo ad accedere o accediamo con difficoltà e disagio a renderci disabili. come avevo scritto altrove, la nostra disabilità è una relazione sbagliata tra i noi e la società in cui viviamo.
ilaria crippi spiega cosa vuol dire accessibile, qual è stata la storia del diritto all'accessibilità - diritto conquistato nel corso del tempo, una lotta alla volta - quali sono gli obblighi imposti dalla legge e come, però, questi vengono recepiti, (non sempre) messi in atto e (non sempre) tutelati.
inoltre, un'ampia parte del libro spiega come il concetto di non-accessibilità non si limita esclusivamente all'abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali ma anche a quello che ilaria crippi, rifacendosi a carol thomas, chiama abilismo psicoemotivo, che illustra in questo modo:
se è abbastanza immediato comprendere l'effetto materiale di una barriera (escluderti dalla fruizione di un contesto), i suoi effetti psicoemotivi restano troppo spesso invisibili. eppure un luogo o un servizio non accessibili, oltre a causare un'esclusione materiale, trasmetto potenti significati: dicono qualcosa riguardo a chi appartiene e a chi non appartiene quel contesto; ci ricordano che siamo «fuori posto», diverse, non previste. ricevere questo costante promemoria dall'ambiente intorno a noi produce effetti emotivi oltre che pratici e può incidere sul nostro benessere psicologico.
ed è proprio il benessere psicologico delle persone disabili quello che viene tenuto meno in considerazione: molto spesso, gli adattamenti per rendere un luogo accessibile non sono funzionali per tutte le persone disabili, non sono abbastanza sicuri, non permettono di essere utilizzati in autonomia. così, sollevare questioni su rampe troppo ripide o instabili o rifiutare di essere sorrettə o sollevatə da sconosciutə - di cui, quindi, non conosciamo le competenze nel maneggiare ausili fondamentali o addirittura i nostri corpi - viene interpretato spesso, dalle persone non-disabili, come un capriccio, un non accontentarsi. come se, in funzione della nostra disabilità, dovessimo ringraziare per quello che abbiamo senza far notare le miriadi di carenze di cui la nostra società è ancora colpevole.
il problema dell'accessibilità è fondamentale perché senza la possibilità di accedere negli spazi non esiste possibilità di accedere alle pratiche comunitarie, sociali, politiche e relazionali. negare il diritto di abitare gli spazi - siano pubblici o privati - alle persone disabili, significa negare il diritto a una vita piena e soddisfacente.
libri come lo spazio non è neutro - che si inserisce nel nuovo filone di testi di divulgazione sulla disabilità e l'abilismo - sono preziosi e necessari. quando sottolineiamo che abilismo è una parola relativamente nuova nella nostra lingua (che, ad esempio, l'editor di blogger continua a non riconoscere e a segnare come errore) intendiamo dire che il concetto stesso di discriminazione contro le persone disabili è un concetto nuovo, un'idea però fondamentale per comprendere e riconoscere l'abilismo come oppressione sistemica - e non come problema individuale - per imparare a decostruirlo, per imparare a costruire un mondo davvero plurale e inclusivo.
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