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sabato 30 dicembre 2023

un anno da cani - racconto disegnato di mesi un po' così

parlare di meritocrazia in un sistema liberale è da paraculi privilegiati.
(carlo il cane)


parlare di un anno da cani per chiudere il 2023 mi sembrava perfetto perché:
1 - è un libro che parla dell'anno che sta per concludersi (ma restano ancora più di ventiquattr'ore in cui, visto come vanno ultimamente le cose, potrebbe scatenarsi l'apocalisse. quindi non festeggiamo troppo in anticipo);
2 - è un libro scritto da un cane (carlo) e, si sa, i cani sono meglio delle persone;
3 - è un libro che speravo tanto uscisse da quando ho scoperto la pagina instagram di carlo (il cane);
4 - l'umano che presta la sua matita a carlo (il cane) è una delle tante belle persone che ho conosciuto quest'anno nei vari giretti fatti per parlare dell'altro libro (quello che è mezzo mio), che sono state le cose migliori di quest'anno (che, a differenza delle persone di cui prima, è stato un po' una merda - vedi punto uno).
5 - non c'è un punto cinque ma potete andare a (ri)leggervi l'intervista che ho fatto a carlo per il blog de gli audaci (qui), potete anche seguire carlo su instagram (qui) perché continua a parlare di cose e gli audaci (qui) perché vi spammiamo un sacco di bei fumetti (anche io, quando non li spammo qui).

un anno da cani è la raccolta delle vignette pubblicate su instagram durante quest'anno, un anno che ha visto il governo peggiore della seconda repubblica, un anno pieno di guerre - quelle vere, letteralmente, con le bombe e i soldati, e quelle un po' più retoriche, tipo ai diritti, allə migranti, alle donne, un po' a tuttə, insomma. guerre meno letterali che però fanno mortə lo stesso.

carlo non è un esperto di politica - altrimenti sarebbe in qualche stupido programma televisivo a ora di cena - non è un divulgatore e, soprattutto, non è un influencer. è un cane che si arrabbia quando legge le notizie e questo lo rende migliore di moltə altrə canə (anche se tuttə lə canə sono creature meravigliose). e io, che ho letto le sue vignette più o meno per tutto l'anno che sta per finire, sono pure una che si arrabbia, di continuo e per qualsiasi cosa, perché la rabbia è il primo passo per cambiare quello che non va e quindi a carlo gli ho subito voluto bene.

insomma, carlo parla di quello che succede in giro, dice la sua in modo semplice, onesto e arrabbiato. critica le storture di questo cavolo di paese dove finisci all'ergastolo per una strage che non hai commesso ma non fai un giorno di galera se sei un politico pieno di soldi e in odore di mafia, anzi, in quel caso quando finalmente tiri le cuoia poco ci manca che ti fanno beato.
smonta le retoriche del se vuoi puoi, della meritocrazia, della cultura lavorista e dell'impegno a tutti i costi e abbaia forte che bisogna tassare i ricchi e ridistribuire la ricchezza, parla di chi difende l'ambiente e viene sbattutə in galera, delle narrazioni tossiche che romanticizzano il privilegio o la mancanza di diritti, di come si faccia di tutto per spostare l'attenzione sul dito anche quando si comincia a mettere a fuoco la luna e ci ricorda che avoja a fare proclami, stiamo - tuttə! - in una pentola che si riscalda sempre di più e stiamo per fare la fine della rana.
letteralmente.

parla di un sacco di cose carlo perché sa che arrabbiarsi e parlare e farsi leggere e ascoltare non sono cose che non servono a nulla, perché sa che

(foto di una delle mie pagine preferite del libro )

e allora, che quello che sta arrivando sia un inizio pieno di cambiamenti.
magari però, nella direzione giusta.

mercoledì 27 dicembre 2023

hunger games - la trilogia

voglio fare qualcosa, proprio qui, proprio adesso, per farli vergognare, per renderli responsabili, per mostrare a quelli di capitol city che qualunque cosa facciano o ci costringano a fare, c’è una parte di ciascun tributo che non riusciranno a possedere.

può sembrarvi impossibile ma è la verità: l'unica cosa che non sono riuscita a evitare di spoilerarmi di hunger games in più di quattordici anni è stata katniss che si offre volontaria come tributo. non sapevo niente di niente di tutto il resto, ho scoperto questa trilogia come se fosse stata pubblicata ieri e l'ho divorata come avrei fatto da adolescente se mi fossero capitati dei libri così tra le mani (e probabilmente non ci sono finiti semplicemente perché sono stata adolescente - almeno anagraficamente - un bel po' prima che uscisse hunger games).

quella che segue non è una recensione, è solo un confuso cumulo di appunti su una storia che mi è piaciuta tanto. e, se magari esiste ancora chi non la conosce già, un invito a recuperarla.

in questa trilogia c'è un po' tutto quello che scatena il mio lato fangirl, anche se devo ammettere che la componente romance - soprattutto il quasi-triangolo che lasciava pochissimo spazio ai dubbi - mi ha un po' annoiata. ma, a parte questo, dicevo, ci sono un sacco di elementi che mi piacciono tantissimo in una serie di romanzi, come l'ambientazione distopica, la ribellione che nasce tra il popolo, una protagonista che cresce e prende pian piano consapevolezza del suo ruolo, l'odio verso il potere e l'amore verso lə altrə, che poi sono le due facce della stessa medaglia.
la storia è ambientata a panem, un'america del futuro sopravvissuta a guerre e disastri vari, organizzata in distretti - dodici, adesso - controllati tirannicamente dalla capitale, senza alcuna possibilità di comunicare tra loro. settantaquattro anni prima dell'inizio della storia, capitol city è riuscita a domare la ribellione dei distretti, distruggendo il tredicesimo, e costringendo lə abitanti degli altri a una vita di miseria, lavori durissimi, sostentamento a malapena sufficiente e isolamento.

la violenza dei pacificatori - la polizia di panem - è il pane quotidiano di chi vive nei distretti ma una volta ogni anno, per la ricorrenza della sedazione della rivolta, l'orrore diventa spettacolo. gli hunger games, trasmessi in diretta tv per il diletto dellə abitantə di capitol city - ovviamente esclusə dalla mietitura - e l'angoscia di tuttə lə altrə, richiedono ventiquattro tributi, due - un ragazzo e una ragazza - per ogni distretto, unə solə vincitorə, e nessuna regola se non sopravvivere e uccidere lə avversarə.
gli hunger games sono l'espressione massima del controllo di capitol city su tutto il resto di panem: nella capitale il lusso e l'abbondanza sono degenerati al punto che ogni aspetto dell'esistenza dellə suə abitanti richiede ostentazioni, cerimonie e ed eccentricità, in un continuo gioco in cui nulla è meno che immediato o ha più rilevanza di un attimo di annoiato stupore. nei distretti, invece, l'idea di gioco si traduce con il rischio di perdere letteralmente la vita, di veder morire lə propriə figlə, fratelli, sorelle. la paura, l'instabilità che nasce dalla possibilità di sentire il proprio nome o quello di qualcunə amatə alla mietitura, è la tortura continua che la capitale infligge ai distretti.
non esistono mezze misure a panem, tutto appartiene a capitol city, tutto tranne la miseria e il dolore.
e la rabbia.

katniss è una miniera di rabbia su due gambe, sa che ogni bruttura, ogni dolore, ogni attimo di disperazione nella sua vita non sono frutto del caso ma della tirannia della capitale. non può sottrarsi alle regole che governano il suo mondo, non può semplicemente fuggire e abbandonare la sua amatissima sorella al suo destino, ma può piegare quelle stesse regole al suo volere, stravolgendo i giochi, il loro significato, e usando la possibilità unica di essere vista da tuttə, di riuscire ad arrivare in qualsiasi distretto tramite la diretta tv e di mostrare un'alternativa.

katniss fa il loro gioco ma a modo suo, trasformandosi inconsapevolmente nel simbolo stesso della speranza e della ribellione, che infiammerà l'intera panem fino a sfociare in conflitto aperto.
inutile raccontare altro della storia perché sicuramente la conoscete già, quello che mi è piaciuto di più, in questa serie, è stato il percorso della protagonista, il suo modo di prendere coscienza del significato più profondo delle sue azioni, per sé stessa e per lə altrə, un percorso che inizia con l'intenzione di salvare prim e si conclude con il desiderio di salvare tuttə. e, senza bisogno di manifesti o grandi discorsi, le sue azioni nell'arena riescono ad accendere le fiamme della rivolta in tutta panem, perché una rivoluzione può anche avere un simbolo ma ha bisogno di tuttə per scatenarsi.
katniss, che dentro l'arena doveva essere una delle tante pedine di capitol city, ha stravolto i giochi, ha riscritto le regole a modo suo, ha trovato il suo vero nemico e la via da percorrere per distruggerlo.

martedì 26 dicembre 2023

blue eye samurai

I did not train you to be a demon or a human. I showed you how to be an artist. to be an artist is to do one thing only.

negli ultimi giorni ho visto quella che è sicuramente la serie più bella, per me, di questo 2023 e che, in generale, finisce dritta dritta tra le mie serie preferite di sempre, e cioè blue eye samurai.
l'ho scoperta assolutamente per caso e l'ho iniziata senza nessuna aspettativa, pensando anzi che probabilmente non l'avrei mai finita, e invece l'ho divorata in pochi giorni, staccandomi dal pc solo se a) mi facevano troppo male gli occhi e b) quello che avevo appena visto era troppo (ma in senso positivo!) e avevo bisogno di digerirlo e riprendermi.

il fulcro della storia non è il massimo dell'originalità: tutto gira intorno a mizu, unə samurai in cerca di vendetta. la bravura dellə due creatorə della serie - michael green (sceneggiatore di logan e blade runner 2049) e amber noizumi, coppia sul lavoro e nella vita - sta nel prendere alcuni topoi del genere (per citare due esempi famosissimi: kill bill e lady snowblood) e trasformarli da stereotipi in colonne portanti per una narrazione nuova, appassionante e densa di nuovi significati.


 l'ambientazione 
la serie è ambientata in giappone nel periodo edo - che inizia nel 1603 con l'ascesa al potere del primo shogun (titolo che inizialmente designava i generali e i capi dell'esercito ma che, col tempo, si trasformò in qualcosa di simile allə attuali capi di governo. gli shogun erano uomini che avevano effettivamente il potere e che governavano in una sorta di diarchia con l'imperatore) del clan tokugawa e termina nel 1853, anno in cui inizia formalmente la restaurazione meji, il potere degli shogun viene ridimensionato e cresce quello dell'imperatore - per la precisione dopo il 1633, anno in cui il paese chiude completamente le sue frontiere all'occidente. se da un lato questo rafforzò le tradizioni locali, evitando le contaminazioni estere, fu anche motivo di una stagnazione sociale per cui le differenze di classe si irrigidirono sempre di più, mentre tutto il paese fu tagliato fuori dallo sviluppo economico e culturale di cui l'occidente era modello.
in blue eye samurai questa chiusura è esplicitata soprattutto in due elementi, fondamentali per lo sviluppo della trama: i contatti con gli occidentali erano visti in modo estremamente negativo e, di conseguenza, lə bambinə natə da unioni tra donne asiatiche e uomini europei erano considerati impurə e mostruosə e, secondo aspetto, le tecnologie belliche erano notevolmente arretrate rispetto a quelle coeve europee, cosa che creava un divario e metteva il giappone in condizione di svantaggio nel caso di un eventuale attacco militare da parte dell'occidente.
in questo mondo ripiegato su sé stesso e ostile a ogni differenza, nasce e cresce mizu.


 mizu 
mizu è unə bambinə con gli occhi azzurri, cosa che l'ha sempre condannata alla violenza, al pericolo, alle piccole e grandi crudeltà di chiunque abbia avuto a che fare con ləi. nata da uno stupro, mizu viene cresciuta dalla madre che, per paura, l'ha sempre tenuta nascosta e le ha imposto di fingersi un maschio per provare a nascondere almeno in parte la sua identità. nonostante tutte le precauzioni, la madre di mizu viene uccisa e lə bambinə giura di vendicarla e di uccidere tutti e quattro gli uomini bianchi presenti in giappone nel periodo del suo concepimento.
incontriamo mizu per la prima volta quando è già adultə e in cerca della sua seconda vittima e, nel corso della serie, impariamo qualcosa in più della storia della sua vita.
togliamoci subito il sassolino dalla scarpa: non v'ho spoilerato nulla perché sulla sua identità di femmina ci pensa già netflix a rovinarvi la sorpresa già dalla descrizione del primo episodio (la guerriera solitaria mizu è alle prese con un compagno di viaggio inatteso, mentre la principessa akemi cerca di decidere il proprio destino). ma il punto è che la questione del genere di mizu è molto più complicata, profonda e importante di una roba che a prima vista sembra un po' lady oscar. mizu è effettivamente cresciuta come un maschio perché chi la cerca, chiunque sia, ha come obiettivo quello di trovare una bambina con gli occhi azzurri. la madre le rasa i capelli e le ordina di sembrare un maschio, di comportarsi come un maschio, in modo da non lasciare spazio ai dubbi. e se siamo d'accordo che il genere è una costruzione sociale e culturale, allora mizu è un maschio per quasi tutta la sua vita.
la figura che lə crescerà, dopo la morte di sua madre, è eiji, un vecchio maestro spadaio cieco, che lə accoglie quasi costretto dalla disperata testardaggine dellə bambinə, che si rifugia nella sua capanna. in poco tempo, però, il vecchio maestro inizia ad affezionarsi a mizu e ad apprezzarne la determinazione. per lui, che non può vedere, la diversità di mizu non ha alcuna importanza.
quello che eiji lə dà è molto più di un rifugio, anche più dell'arte stessa di forgiare le spade: eiji le insegna a capire chi e cosa è e quale sarà il vero scopo della sua vita.
è qui, nella capanna del vecchio spadaio, osservando i guerrieri che chiedono al maestro eiji di realizzare le spade per loro, che mizu impara a combattere. quello degli allenamenti estenuanti, continui, intensissimi, mossi solo dal desiderio di vendetta è un topos un po' abusato ma profondamente caratteristico in questo genere di narrazioni. anche la creazione della sua spada è una metafora molto ben riuscita sulla sua capacità di apprendimento e sulla sua tenacia.
la forza di mizu non è frutto del solo talento ma delle lunghissime ore di dedizione e sacrificio e, nonostante tutto, impareremo che non è invincibile. ma la sua è, effettivamente, una forza fuori dall'ordinario, qualcosa che la rende - insieme alla sua determinazione, oltre che al suo aspetto - un vero e proprio mostro.


 l'onryo 
l'episodio 5 di questa stagione (a proposito, mi sono dimenticata di dire che la serie è stata rinnovata per una seconda stagione che uscirà - spero di non aver capito male - nel 2024) è di una bellezza e tristezza devastanti, uno di quelli che mi hanno lasciata a fissare il vuoto per un buon quarto d'ora prima di riuscire a fare altro. nell'episodio si alternano tre linee narrative: una rappresentazione del teatro kabuki, flashback della storia di mizu e il lungo scontro tra le stanze e i corridoi di un bordello in cui mizu affronta il piccolo esercito di un prepotente signorotto locale.
un onryo è un fantasma proprio della tradizione giapponese, che anima molti drammi teatrali. la maggior parte degli onryo sono - erano - donne: maltrattate, offese, violate, picchiate e spesso uccise dal loro marito o dal loro amante, indifese in vita, tornano dopo la morte in cerca di vendetta, dotate adesso di forza e potere. gli onryo però sono posseduti da una furia cieca, non sanno indirizzare la loro rabbia solo su chi li ha fatti soffrire in vita, anzi, colpiscono indiscriminatamente chiunque incontrino sulla loro strada di rivendicazione.
l'alternarsi delle tre narrazioni - teatro-passato-combattimento - riesce a raccontare non solo la storia di mizu ma anche il senso profondo del suo essere (come guerrierə e come persona genderless) più di quanto non sarebbe stato in grado di fare un intero romanzo, in un parallelismo tra i tre piani narrativi continuo che crea un crescendo emotivo davvero sconvolgente (un paio di lacrimucce mi sono scappate, sì).


 akemi 
la storia di blue eye samurai si focalizza principalmente su mizu e su akemi, la cui storia corre parallela a quella dellə nostrə protagonista fino a legarvisi strettamente e indissolubilmente nella seconda parte.
akemi viene chiamata principessa, è figlia di un nobile samurai, cresciuta tra gli agi e i lussi. la sua bellezza elegante e tradizionale è un validissimo aiuto per fingersi la rispettosa, obbediente, pura e casta figlia di buona famiglia che, in realtà, akemi non vuole essere. innamorata di un samurai di nome taigen - il cui passato, così come il presente, è collegato alla storia di mizu, di cui è un personaggio importante - akemi rifiuta il matrimonio organizzato dal padre con ogni mezzo, arrivando persino a scappare e mettersi a lavorare in un bordello quando perde ogni notizia dell'uomo che ama.
se mizu lotta per la sua vendetta, akemi lo fa - a modo suo - per essere libera e padrona di sé stessa. il suo personaggio è sicuramente meno spettacolare di quello di mizu - va da sé che in una storia del genere le scene di azione e di combattimento siano la parte fondamentale dello show - e ci mette un po' a farsi amare dal pubblico, conquistandolo poi definitivamente con il suo carattere brillante e risoluto.
akemi è la risposta a un sistema strutturalmente oppressivo nei confronti delle donne, un sistema che permette loro solo di passare da un padrone all'altro: dal controllo paterno a quello del marito o di qualche tenutaria di bordello. la ribellione di akemi, per quanto possa sembrare fuori dalle righe in un contesto che non prevede alcuna iniziativa da parte delle donne, è sostenuta da due enormi privilegi, ovvero dal suo rango e dalla sua ricchezza. in blue eye samurai ci si evita volentieri inutili sbrodolamenti del tipo se vuoi puoi e si dice chiaro e tondo che la libertà passa dal denaro.
ed è proprio per la sua pragmaticità che akemi mi è piaciuta così tanto, lato che viene addolcito dal buon seki, il suo vecchio tutore. anche quella di seki è una figura che scardina molti stereotipi: nonostante sia un anziano ex-combattente, la cosa più importante della sua vita è stata crescere akemi. seki è il genitore perfetto, quello che ama, educa e sostiene lə figliə anche senza che vi sia un legame di sangue.
la narrazione di questi due personaggə è importantissima proprio perché decostruisce alcuni stereotipi di questo genere di storie, dando la possibilità di raccontare modi differenti di rispondere a un sistema sociale che già conosciamo da decine di storie con ambientazioni simili.


 ringo 
il primo dei comprimari incontrati da mizu all'inizio della serie, ringo è un giovane cuoco entusiasta della vita - e della sua soba - che vede nel giovane guerriero senza nome arrivato per caso alla sua locanda la chiave per cambiare la sua vita. prevedibilmente, all'inizio mizu non è affatto interessatə ad avere un apprendista ma ringo si rivela presto un amico oltre che un valido aiuto: nonostante non abbia le mani, è in grado di rendersi utile in un sacco di situazioni. è un po' la spalla comica della serie ma resta un personaggio molto saggio e mai, neppure una volta ridicolo.
ringo è, per parafrasare calvino, uno che prende la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore. la bontà e integrità d'animo di ringo sono una piccola, rassicurante candela accesa in una storia fatta di crudeltà, violenza e spietatezza. ringo stesso è la risposta non-violenta alle brutture della vita, agli anni di insulti e umiliazioni subite. e ringo è anche un personaggio disabile raccontato senza abilismo, senza alcuna storia strappalacrime sulla sua menomazione (risolta letteralmente in due parole), senza grandi insegnamenti morali da consegnare agli altri in virtù delle sofferenze a cui un tragico destino lo ha condannato.
la sua presenza è fondamentale non soltanto ad alleggerire i toni ma, anzi, serve a mostrare che esiste un mondo differente da quello dei rigidi codici d'onore a cui personaggə come mizu e taigen fanno costantemente riferimento, un mondo in cui i propri sentimenti e desideri sono più importanti di qualsiasi altra cosa.


 fowler 
due righe tocca spenderle anche per l'antagonista, l'uomo a cui mizu dà la caccia per tutta la stagione, abijah fowler, forse il più piatto di tuttə lə personaggə della serie.
fowler è cattivo, razzista, misogino, crudele, sadico, spietato, traditore, opportunista, bugiardo, perverso, blasfemo, è un concentrato di ogni possibile schifo riusciate a richiamare alla mente e non ha assolutamente niente di positivo, zero totale. di origini irlandesi, a un certo punto della storia accenna alla sua infanzia indicibilmente violenta nell'irlanda messa a ferro e fuoco dei tudor. ma tutto il male subito, per quanto aberrante sia stato, non riesce a giustificare quello che è capace di infliggere.
fowler è l'incarnazione stessa del colonialismo, il suo solo interesse è depredare la nazione che - anche se l'ha fatto per mero opportunismo - l'ha accolto. forte della supremazia tecnologica delle sue armi, fowler si impone incutendo terrore in quelli che usa come alleati finché ne ha bisogno e vede nel giappone un'immensa risorsa da cui attingere per avere sempre più potere.
a differenza di buona parte dei villains, il suo personaggio è costruito, come dicevo, senza alcuna ambiguità e, di conseguenza, il messaggio che passa, almeno in questa prima stagione, è che l'incontro con l'occidente sia stato foriero solo di disgrazia e di sofferenza (cosa che, visto che parliamo di un'europa fortemente coloniale e predatoria, non è poi troppo lontana dalla realtà dei fatti).


 conclusioni 
se la trama di fondo è, come dicevo all'inizio, abbastanza semplice e ricalca un topos che conosciamo bene, la grandezza di questa serie sta tutta nella riuscitissima caratterizzazione dei personaggi, nel chara design, nella qualità pazzesca delle animazioni - un mix ben riuscito di 2D e 3D che da un lato rendono le scene molto pittoriche, dall'altro permettono momenti altamente spettacolari, soprattutto durante i combattimenti - nella scrittura delle scene, in cui si riesce a enfatizzare i momenti più drammatici, quelli più adrenalinici ma anche quelli più leggeri e nella regia che non sbaglia mai un colpo e sa raccontare mondi interi in poche inquadrature.
insomma, casomai non fosse abbastanza chiaro, per me è un capolavoro che ha solo l'unica pecca di un finale indebolito dalla necessità di creare le necessarie aspettative per convincere anche lə spettatorə meno appassionatə a tornare per la seconda stagione (in realtà l'avremmo fatto comunque, ma è pur sempre netflix e certe cose sono inevitabili).
fatemi sapere se l'avete già visto o se vi ho messo abbastanza curiosità da andare a cercarlo!

venerdì 22 dicembre 2023

legends & lattes

dopo ventidue anni di avventure, viv era arrivata al limite massimo di sangue e fango e cazzate. la vita di un orco è forza e violenza, con un epilogo spesso improvviso e sempre affilato ma, le venisse un accidente, non avrebbe lasciato che la sua andasse a finire così.
era giunto il momento di aspirare a qualcosa di nuovo.

che sia cozy fantasy o slice of life, mi piacciono sempre un sacco quelle storie in cui non succede niente. perché, in realtà, anche quando sembra che non succeda niente, di cose ne succedono eccome. e una storia che sa appassionarti anche senza colpi di scena impensabili e trame intricatissime, secondo me è una delle migliori.
una buona storia è quella che sa farti entrare nel cuore dellə personaggə, sa farti sentire quello che loro sentono, ti sa far gioire, soffrire, emozionare insieme a loro. legends & lattes ci riesce benissimo, e se promette di essere una storia sull'importanza delle piccole cose, forse è il caso di cambiare prospettiva e iniziare a chiederci quanto poco siano piccole quelle cose se sono quelle che stravolgono la nostra vita e ne dettano il ritmo.

ed è proprio di uno stravolgimento che si racconta qui, quello nella vita di viv, giovane orchessa che ha deciso di appendere la spada al muro e cambiare radicalmente vita: da avventuriera errante a placida proprietaria di un caffè, anzi, per essere precisi, proprietaria del primo e unico caffè della città di thune.
viv ha assaggiato solo per caso la bevanda aromatica, scura e calda che le ha immediatamente rapito il cuore, al punto di farle prendere una decisione così importante.

nonostante sia in possesso di un talismano potentissimo, la gemma antromorfa, viv ha due grossi ostacoli da superare: se da un lato lei è stanca di combattere, sembra che i combattimenti non si siano stancati di lei. il suo passato torna, con invadenza e prepotenza, a bussare alla sua porta, infischiandosene bellamente dei suoi (buoni) propositi. il secondo problema, non meno importante del primo, è che lə abitanti di thune non sanno neppure cosa sia un caffè: come faranno a scoprire di volerne uno?

che sia merito della gemma o meno, attorno a viv iniziano a radunarsi nuovə amicə: catastrofe, detto cat, un folletto carpentiere fondamentale per rimettere in sesto la vecchia selleria che viv ha scelto come sede del suo caffè; tandri, una succube con uno spiccato senso per gli affari e un notevole talento artistico; spillo, un rattopino pasticcere capace di sfornare dolci deliziosi; amity, una gigantesca gatta mannara che ha scelto il caffè di viv come sua semi-residenza e pendry, un menestrello capace di far innamorare di sé - senza rendersene conto - decine di ragazze, un po' per la sua musica, un po' per la sua ingenua timidezza.

il caffé di viv, il legends & lattes, diventa presto il centro della vita sociale di thune, oltre che della storia, un centro attorno a cui gravitano non soltanto i clienti di viv ma anche personaggə meno desiderabili, interessatə alla sua fortuna, al suo successo... e al motivo di tutto ciò!
ma la trama è focalizzata anche - e soprattutto - sul cambiamento interiore di viv: la vecchia orchessa che stringeva alleanze solo per portare a termine le sue missioni ma continuava a tenersi sempre sul chi va là in compagnia di chiunque, adesso, pian piano, inizia a capire il senso delle parole amicizia, legame, affetto e amore (non vi dico nulla ma credo che in questo libro ci sia stata la mia ship più azzeccata di sempre!).

legends & lattes è un romanzo che sembra non parli di niente e invece parla dei nostri desideri e dell'impegno che ci mettiamo per riuscire a realizzarli, parla di fiducia e amicizia, parla d'amore e di tutto quello che rende una vita davvero ricca, molto più di quanto non siano in grado di fare i grandi tesori o i successi in battaglia.

potrei leggere un libro così a settimana per il resto della mia vita, quindi spero proprio che travis baldree abbia intenzione di raccontarci di viv ancora per un bel po'!

martedì 19 dicembre 2023

il viaggio di shuna

non si sa con certezza quando avvennero queste vicende: forse in un passato lontano ormai incerto, o forse in un futuro remoto. c'era una volta, sul fondo di un'antica valle scavata da un ghiacciaio, un minuscolo regno dimenticato dal tempo.

l'idea alla base de il viaggio di shuna è stata ispirata da una leggenda tibetana, il principe che divenne cane, che miyazaki aveva immaginato come un film. la realizzazione di un lungometraggio animato così "semplice e privo di fronzoli", come dice lui stesso nella postfazione del libro, non ebbe però troppo successo e l'idea venne riconvertita in un racconto ibrido, a metà tra il fumetto e il romanzo illustrato, ovvero quello che abbiamo avuto modo, quarant'anni dopo la sua prima pubblicazione, di leggere oggi.

è facile riconoscere nei tratti di shuna e della sua cavalcatura quelli che poi saranno i protagonisti de la principessa mononoke, il principe ashitaka e yakkuru, una somiglianza che però non si riduce solo all'aspetto esteriore: sono entrambi principi, entrambi coraggiosi e nobili d'animo, impegnati a salvare il loro popolo, pronti al sacrificio ed entrambi, durante il loro viaggio, si innamorano di una ragazza per la quale sono disposti a lottare.

dentro il viaggio di shuna c'è tutto quello a cui miyazaki ci ha abituatə negli anni, a partire dal ruolo predominante della natura e dei paesaggi, che riescono sempre a essere molto più che semplici sfondi e ambientazioni, diventano protagonisti stessi del racconto ed è, infatti, proprio intorno all'idea di una natura ostile e di un paesaggio poco ospitale che si sviluppa il racconto.


shuna è il principe di un popolo povero, schiavo della fame e di una terra sterile e fredda su cui il sole arriva a fatica, nascosto dai monti. un giorno, shuna trova un vecchio viandante ridotto allo stremo delle forze, lo soccorre e lo porta al villaggio per curarlo e, per ringraziarlo, lui gli mostra dei semi sconosciuti, frutto di piante che, stando alle sue parole, crescono rigogliose e numerose in campi lontani e sono capaci di nutrire popoli interi. così inizia il viaggio di shuna alla ricerca di quei semi dorati e nutrienti, un viaggio difficile in una natura magnifica e spietata. ma se la terra non concede alcuna comprensione agli esseri umani, sono questi a essere però davvero crudeli: shuna incontra uomini che vendono e comprano altre persone, vede città prospere che basano la loro grandezza sulla schiavitù e decide che - se non può stravolgerne le regole - può almeno salvare due sorelle, le uniche che accettano di correre il rischio di essere libere.
tra la maggiore, thea, e shuna, nasce un sentimento che va oltre la riconoscenza e sarà proprio l'amore di thea, nel momento più difficile del viaggio, a fare la differenza per shuna...

la storia è, proprio come dice miyazaki, senza fronzoli e molto lineare ma - insomma, è miyazaki! - riesce ad essere comunque avvincente e bella come sanno esserlo i film dello studio ghibli, un po' per il carisma dellə personaggə, un po' per le atmosfere a metà tra i paesaggi incantati da fiaba e la maestosa spietatezza della natura. c'è tutta la grandiosità del mito in questa storia, ed è proprio nella sua semplicità che si trova il suo punto di forza.

giovedì 14 dicembre 2023

commenti randomici a letture randomiche (80)

dopo più di due anni dall'ultimo post di commenti randomici a letture randomiche, recupero la non-rubrica del blog per lasciarvi qualche parere veloce su alcune delle ultime letture. questa volta ci sono due volumi unici - uno che ho adorato e uno che non mi è piaciuto affatto - e il primo volume di una serie che non vedo l'ora di continuare a leggere.

goodbye eri


cominciamo da quello più difficile.
so che quello che sto per scrivere va in direzione contraria alla maggioranza dei commenti che si trovano in giro. ho letto tantissimi pareri positivi e pieni di entusiasmo su tatsuki fujimoto e sulle sue opere (che, oltretutto, sono state spinte tantissimo dall'editore italiano e hanno ricevuto diversi premi in giappone) e, sinceramente, non riesco ancora a capirne il perché.
avevo letto anche look back prima, e non mi era piaciuto per niente. ho provato a dare un'altra occasione a fujimoto, mi sembrava doveroso vista la sua fama, ma stavolta è andata anche peggio. goodbye eri mi ha dato lo stesso fastidio di un film recitato male o di un racconto scritto solo per svolgere un compitino. insomma, mi aspettavo una roba straziante ed emotivamente potente e invece mi sono ritrovata a leggere quello che potrei definire solo come un esperimento sull'uso della regia che non mi ha convita del tutto. ma quello che mi ha davvero delusa è la distanza siderale che ho sentito tra me e lə personaggə e le loro storie. una madre affida a suo figlio un cellulare e il compito di riprenderla per più tempo possibile, perché ha scoperto di essere malata e di stare per morire. yuta gira ore e ore di video ma alla fine non riesce ad accontentare la madre fino alla fine e non trova il coraggio di assistere - e filmare - il momento della sua morte, come lei aveva chiesto.
yuta monta i video e ne fa un film che proietta a scuola, all'inizio delle superiori: è il disastro, viene insultato e deriso così tanto da fargli scegliere il suicidio. a salvarlo però, proprio in extremis, è eri, una ragazza appassionata di film, l'unica colpita dal suo lavoro presentato a scuola. per mesi e mesi, eri fa vedere dei film a yuta, con lo scopo di fargli capire come funziona il linguaggio cinematografico così che il suo prossimo film sia un successo. e il film successivo sarà proprio su eri che, come sua madre, sta per morire.
detta così, è una roba da piangere dalla prima all'ultima pagina ma, nonostante tutto, non mi ha trasmesso una sola, singola emozione. ho trovato i personaggi piatti oltre ogni tollerabilità e anche la scelta di regia di usare sempre lo stesso formato orizzontale per le vignette - per rendere l'inquadratura fatta con il cellulare - dopo un po' mi ha stancata.
non colpevolizzo neanche troppo la scelta di star comics di presentarlo come l'autore rivelazione dell'anno, non credo che se avessi avuto aspettative meno alte sarei riuscita ad apprezzare qualcosa di questo volume.

fish society


allo stesso modo, non mi spiego perché unə autorə come panpanya sia passatə così tanto in sordina nonostante le sue opere - queste sì! - siano, secondo me, degli esperimenti di narrativa surreale validissimi, letteratura d'evasione stricto sensu. fish society è, al momento, l'ultimo volume uscito (di panpanya ne ho parlato già qui e qui), un'altra bella raccolta di venti storie in cui la protagonista, la bambina senza nome, continua a vivere avventure sospese tra la realtà e il sogno immersa in paesaggi di provincia caleidoscopici e mutevoli, accompagnata da creature inverosimili e sempre innamorata del cibo.
la penna di panpanya funziona come un microscopio capace di svelare le minuscole meraviglie della realtà, il suo è uno sguardo attentissimo ai dettagli e liberi da pregiudizi e luoghi comuni, sempre capace di cogliere lo stupore in ogni angolo.


stando a baka-updates, fino a ora star comics ha pubblicato tutte le raccolte di racconti di panpanya a eccezione di ashizuri suizokukan (tradotto come ashizuri aquarium o feet scraping aquarium), pubblicato in giappone nel 2013, quindi un anno prima di an invitation from a crab, e mokei no machi, uscito in patria nel 2022 (qui sopra le cover originali). spero tantissimo di riuscire a leggere al più presto anche questi due titoli!

hirayasumi ~ vol. 1


so che questa non è la prima opera di keigo shinzo che arriva in italia ma tokyo alien bros e holiday junction hanno un costo improponibile (continuo a cercarli tra l'usato, se li trovate/vendete fatemi un fischio!) e randagi non mi sembrava troppo nelle mie corde. hirayasumi, invece, mi sembrava perfetto come primo approccio e, in effetti, è stata una lettura piacevolissima che non vedo l'ora di continuare!

protagonista della storia è hiroto, un freeter ventinovenne che prende la vita così come viene, giorno dopo giorno, con allegria e leggerezza. proprio per il suo carattere solare e spensierato, tempo prima aveva stretto amicizia con una vecchietta dall'atteggiamento burbero ma dal cuore d'oro. senza una famiglia sua, la vecchia signora aveva praticamente adottato hiroto e alla fine aveva deciso di lasciare a lui la sua piccola, sgangherata casetta.
dopo poco tempo di vita nella sua nuova casa - che ha accettato con affetto, riconoscenza ma anche tanta malinconia - da hiroto arriva sua cugina minore natsumi, diciottenne giunta a tokyo per frequentare l'accademia di belle arti. natsumi ha poco dell'allegria e dell'atteggiamento leggero di hiroto e iniziare una nuova vita in mezzo a gente sconosciuta le causa tantissime ansie, ha paura di rimanere senza amicə ma ancor di più di essere giudicata per il suo sogno segreto di diventare una mangaka. eppure, nonostante le differenze, lə due cuginə sembrano formare una bella squadra con hiroto che aiuta natsumi a prendere le cose più alla leggera e natsumi che prova a fargli tenere la testa ben piantata sulle spalle.
l'atmosfera da slice of life e lo scenario della casetta un po' retrò mi riportano alle vibes da maison ikkoku: storie di vita quotidiana, personaggə un po' sopra le righe e un approccio alla vita più lento di quello che ci si aspetterebbe da una metropoli come tokyo. praticamente, il tipo ideale di manga-coccola che adoro!

domenica 10 dicembre 2023

la strada

quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. come l'inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo.

scrivere di un libro così è difficilissimo perché ho sempre paura di dire troppo o troppo poco, o di finire per scrivere un sacco di banalità. come questa. però un libro così merita qualche riflessione.

il mondo de la strada è un mondo vuoto, freddo, grigio, spaventoso. è un mondo che sta morendo, immerso in una lenta, dolorosa agonia, sconvolto da un'apocalisse in corso d'opera in cui la pace della fine sembra sempre troppo lontana.
in un mondo così, dove tutto, persino i colori, è stato inghiottito dalla disperazione, un padre e un figlio camminano. seguono la strada guidati dalla speranza di raggiungere l'oceano - eletto a simbolo di salvezza - di sopravvivere, nonostante tutto, e dalla paura di non vedere un altro giorno.
intorno a loro, tutto è distrutto, abbandonato. tutto è fatica: camminare spostando le loro poche cose in un vecchio carrello della spesa, trovare il cibo, ripararsi dal freddo, pulirsi, riscaldarsi davanti a un fuoco senza essere visti.
sembrano essere rimasti soli al mondo ma ci sono altre persone che, come loro, seguono la strada. persone che, come il resto della realtà, sono diventate vuote, fredde, grigie e spaventose, persone che hanno perso la loro umanità, che si sono trasformate in creature pericolose e crudeli. la fame, la paura, la solitudine, le malattie e la rassegnazione hanno trasformato lə sopravvissutə - o almeno moltə di loro - ognunə nel nemicə di tuttə lə altrə.
chi sopravvive lotta solo per sé stessə, per strappare un giorno in più all'inevitabile.

il padre e il bambino, però, sono diversi. portano il fuoco.
nel mito di prometeo, il fuoco è quello che permette all'umanità non solo di difendersi dai pericoli ma di prosperare, crescere e diventare una specie unica. il fuoco rende gli esseri umani tali, li differenzia dall'istintività delle bestie, li solleva dal peso della sopravvivenza e permette lo sviluppo di una cultura complessa, di una civiltà dotata di leggi, anche morali.
portare il fuoco, qui, vuol dire custodire la propria umanità.
ma cosa può rimanere di quello che intendiamo con la parola umanità in un mondo che non somiglia più a nulla di quello che conoscevamo? che vuol dire essere umani quanto tutto quello che è la nostra società, la nostra cultura, le nostre leggi non esistono più, in cui la memoria del passato non sarà più utile al futuro? forse vuol dire continuare, in quel mondo grigio, morente e crudele, a provare a difendere quello che ci rende più che creature dominate dagli istinti.

il padre e il bambino non hanno nomi o, almeno, non li usano. se il nome è la cinta muraria che difende e definisce la propria individualità in una società complessa, qui i nomi non servono. ogni frase del bambino è rivolta al padre e viceversa, non c'è alcun rischio di essere fraintesi. l'identità si risolve nel contrasto noi vs. loro, nella differenza netta e incolmabile tra chi è ancora un essere umano e chi non lo è più.
eppure, anche tra loro c'è una linea di confine sottile ma ben definita: il padre sa che quel mondo grigio e crudele è l'ultimo che vedrà e sa che deve adattarsi all'orrore per permettere al bambino - ancora capace di speranza - di avere la possibilità di costruire un futuro nuovo, se mai questo futuro ci sarà.

nelle parole del padre ci sono i ricordi bellissimi e dolorosi di un passato perduto, di un mondo che suo figlio non conoscerà mai, una realtà fatta di calore, luce e colori. in quelle del bambino si alternano sogni, incubi, speranze e paure. lo sguardo del padre vigila sugli spazi circostanti, pronto a intercettare ogni pericolo, quello del bambino è rivolto all'interno, concentrato nell'arduo compito di trovare un senso a tutto.

se si dovesse scegliere una sola parola per definire questo romanzo, sarebbe straziante. la strada è un racconto scritto con una prosa secca che non si concede mai nulla più del necessario, nel bene e nel male, ma che non omette nulla. al contempo, non c'è alcun indugio né autocompiacimento nelle descrizioni né nelle scene più cruente: ogni orrore, ogni crudeltà sono frutto della paura e del bisogno tanto quanto della perdita di empatia necessaria a sopravvivere quando l'unica cosa che conta è rimanere aggrappati alla vita, momento per momento.

martedì 5 dicembre 2023

storie della tua vita ~ respiro

l'esistenza del libero arbitrio sta a significare che non possiamo conoscere il futuro. e sappiamo che il libero arbitrio esiste, perché ne abbiamo un'esperienza diretta. la volontà è una componente intrinseca della coscienza.
e se invece non lo fosse stata? se venendo a conoscenza del futuro una persona cambiasse? e se si risvegliasse in lei un senso di necessità, la sensazione che sia inevitabile agire esattamente come previsto?
(da storia della tua vita)

a ottobre 2022, mentre stravolgevo la mia vita nel modo più stupido possibile (ma, come mi ha insegnato a capire la mia psicologa, ingannarsi e farsi ingannare è più facile di quanto sembri e bisogna imparare a non farsene una colpa), finivo di leggere storie della tua vita e scrivevo (qui) così:
"non avevo mai letto nulla di ted chiang ed è stata una scoperta incredibile: i racconti spaziano tra generi, stili e tematiche diverse, in alcuni mi è sembrato di ritrovare un'eco della narrativa di borges. quello che rende questo libro così tanto bello e speciale è la capacità, in ogni racconto, di scavare in fondo, di andare oltre la narrazione (che è comunque di altissimo livello, sempre) e di riuscire ad arrivare a toccare corde che non smettono più di vibrare. speculative fiction nella sua accezione più letterale, tra le pagine di questa raccolta si ragiona di del legame tra pensiero e linguaggio (ciao worf), di fede, di mitologia, di scienze, di matematica, di intelligenza e di cultura: c'è tutto quello che ci rende umani e chiang sa ragionarci sopra con stile, grazia e intelligenza."

troppo poco per quello che è davvero questo libro, quindi adesso (qualche settimana fa, in realtà) che ho finito respiro, mi sembra necessario provare a restituire meglio alcune considerazione sulle storie di queste due raccolte.

storie della tua vita


gli otto racconti di questo volume sono usciti tra i primi anni '90 e i primi 2000, e fa strano pensare che sono passati più di trent'anni da allora.
non soltanto perché non riusciremo mai ad arrenderci alla nostra età anagrafica e continueremo a pensare di avere vent'anni per sempre - o almeno finché i corpi che abitiamo non ci ricorderanno che no, non è così - ma perché le storie di ted chiang sembrano senza tempo e potrebbero davvero essere state scritte pochi giorni fa.

- torre di babilonia
hillalum, un minatore dell'elam, viene chiamato a lavorare alla costruzione della torre della città di babilonia. il suo è il racconto di un'ascesa interminabile, nello spazio fisico come in quello spirituale. salendo, trasportando sempre più in alto i materiali per la costruzione, hillalum ci accompagna in un percorso quasi mistico in cui la scalata verso il cielo corrisponde a un avvicinamento alla conoscenza del creato. durante la lettura si ha la sensazione straniante di allontanarsi sempre più non soltanto dalla terra ma dal tempo che scorre su di essa per entrare nella dimensione del mito. dal mito, chiang mutua l'atemporalità ma non il linguaggio che resta sempre ancorato alle riflessioni e alle sensazioni del suo protagonista.
un primo impatto meraviglioso con la sua poetica.

- capisci
con questo racconto cambiamo nettamente atmosfera e possiamo parlare pienamente di fantascienza. il protagonista è un uomo che viene salvato da un incidente mortale e che viene sottoposto alla sperimentazione di un farmaco che permette di sanare i tessuti cerebrali. effetto collaterale di questo farmaco, però, è un aumento esponenziale e velocissimo dell'intelligenza, della memoria e delle capacità cognitive in generale. il nostro protagonista, in poco tempo, si ritrova insomma con un supercervello dalle capacità sovrumane.
ma è davvero un bene per gli esseri umani diventare così straordinariamente intelligenti, padronə della loro mente come del loro corpo? a quali scopi sarebbero consacrate capacità simili? e che valore assumerebbe la morale stessa se tuttə avessero doti di questo tipo? cosa significherebbe essere umanə con un cervello così sviluppato? le risposte di chiang non sembrano essere troppo positive.

- divisione per zero
siamo abituatə a pensare alla matematica come a una scienza esatta e sicura. ciò che è matematico è una certezza, qualcosa che non può essere in modo diverso da com'è, ovvero un sistema in cui ogni parte è coerente con le altre. renee ha amato la matematica per tutta la sua vita, anzi, la sua vita e il suo amore per la matematica sono andati avanti insieme, come due rette parallele che si incontrano all'infinito ma si tengono per mano durante il percorso. ma se, a un certo punto della sua vita e della sua carriera, le sue incredibili capacità deduttive la portassero a distruggere quello che ha sempre amato?
attraverso la storia di renee e carl - e della matematica - chiang punta i riflettori sulle certezze che mantengono in piedi il castello di carta delle nostre esistenze.

- storia della tua vita
ho amato moltissimo arrival, il film di denis villeneuve tratto da questo racconto ma la versione originale di chiang è ancora più affascinante, profonda e spiazzante di quanto non sia riuscito a essere il film. parlare di questo racconto non è facile perché il film che ne è stato tratto è così famoso che più o meno tuttə conoscono a grandi linee la storia. e in effetti il senso è lo stesso anche se, per ovvie ragioni, villeneuve ha dovuto semplificare di molto la trama. nel racconto, louise e gary discutono non soltanto di linguistica ma anche di fisica (e, ammetto, chiang è molto bravo a spiegare principi decisamente complessi per chi è completamente a digiuno della materia, da rendere tutto non solo comprensibile ma anche appassionante), così come il linguaggio degli eptapodi è molto più complesso di quanto non venga spiegato nel film, e ciò spiega meglio anche la concezione di tempo che deriva dall'imparare non semplicemente la loro lingua ma il loro modo di pensare.
storia della tua vita è un racconto di una bellezza incredibile in cui scienza, fantascienza e filosofia si intrecciano indissolubilmente alla storia di louise, raccontata da un punto di vista che si comprende pienamente solo alla fine. una storia che non prende in considerazione semplicemente il rapporto tra linguaggio, pensiero, percezione e coscienza ma che si interroga anche come il nostro modo di percepire/pensare il mondo si relazioni al concetto di libero arbitrio.

- settantadue lettere
forse la storia che soffre di più delle necessità editoriali perché, arrivando subito dopo un capolavoro come storia della tua vita, finisce per essere quasi dimenticata. o almeno, è quello che è successo a me. si cambia di nuovo registro e dalla scienza futuribile e dagli incontri con lə alienə si passa a un passato in cui scienza, alchimia e fede si fondono, per - spiega chiang - giocare con due elementi interessanti: non soltanto la creazione dei golem ma la creazione di golem capaci di padroneggiare il linguaggio e quindi di riprodursi o, comunque, di creare a loro volta altri golem; e la teoria della preformazione, ovvero l'idea che ogni individuo sia già formato nelle cellule germinali dei suoi genitori, idea superata, certamente, ma altrettanto certamente affascinante. nonostante tutto, il racconto non regge il confronto con gli altri, né per stile né per tematiche.

- l'evoluzione della scienza umana
una storia brevissima, appena quattro pagine, ambientata in un futuro in cui le frontiere della ricerca scientifica hanno di fatto oltrepassato la comprensione umana. qual è il ruolo dellə scienziatə in un mondo così? cosa resta della capacità umana di porsi problemi e trovare le soluzioni per risolverli, cosa rimane della conoscenza e della cultura stessa? il rimando al secondo racconto della raccolta, capisci, è esplicito e tutto il racconto si può interpretare come un breve prequel della storia precedente.

- l'inferno è l'assenza di dio
qui chiang vira dalla fantascienza al fantastico puro, immaginando un mondo in cui le epifanie angeliche sono una realtà non troppo rara nella quotidianità ma si presentano sotto forme di catastrofi naturali che portano, necessariamente, alla morte di numerosə fedeli a ogni apparizione. in questo mondo, quindi, l'esistenza di dio e di una dimensione sovrannaturale, di paradiso e inferno eccetera è assolutamente assodata e certa. difficile essere ateə dunque ma dare per certa l'esistenza di dio non vuol dire amarlo e, dunque, non è sufficiente a scampare le fiamme dell'inferno. neil fisk è un uomo che perde sua moglie proprio in un'epifania angelica e, distrutto dal dolore, deve compiere un viaggio interiore, e non solo, per imparare a provare vero e sincero amore per dio nonostante tutto, così da non rimanere tra lə dannatə in eterno dopo la sua morte.
chiang racconta di essersi ispirato alla bibbia e, in particolare, alla vicenda di giobbe e, in effetti, quello che capita a neil fisk sembra essere anche peggiore di ciò che ha patito il patriarca del mito. in entrambi i casi, tocca ammettere - anche a costo di peccare di blasfemia - che l'immagine di dio non ne esce molto pulita.

- amare ciò che si vede: un documentario
questo è uno dei miei racconti preferiti di questa raccolta che, sotto la cornice futuristica-fantascientifica, pone l'accento sul rapporto insano che abbiamo con l'estetica dei corpi e il conseguente rifiuto e marginalizzazione sociale dei corpi considerati non conformi.
la storia è strutturata come una serie di dichiarazioni di diversə personaggə che raccontano le loro esperienze, i loro dubbi e le loro riflessioni sulla calliagnosia. l'agnosia è un disturbo percettivo che impedisce a chi ne è colpito di riconoscere oggetti e, soprattutto, i volti delle altre persone. la calliagnosia - nel racconto di chiang - viene descritta come una agnosia non appercettiva ma associativa, ovvero, permette sì di distinguere chiaramente i volti e i corpi uno dall'altro, ma non consente di giudicarli da un punto di vista estetico, cioè azzera le risposte emotive ai tratti somatici dell'altrə, con lo scopo di focalizzare ogni tipo di relazione esclusivamente sull'interiorità delle persone e non sul loro aspetto. ovviamente non si tratta di un disturbo neurologico spontaneo ma di un adattamento artificiale a cui lə personaggə non possono sottrarsi prima del raggiungimento della maggiore età.
come ogni volta che una buona pratica viene adottata non sulla base di una consapevolezza volontariamente acquisita e maturata nel tempo ma imposta e artificiosamente messa in atto, i risultati sono sempre meno positivi di quanto non ci si aspetterebbe...

respiro


altri sette racconti che riprendono tematiche, atmosfere e riflessioni già presenti nella prima raccolta, anche questa assolutamente consigliata.

- il mercante e il portale dell'alchimista
il mio preferito di questa raccolta, un racconto tutto incentrato sui viaggi nel tempo la cui ambientazione - baghdad, alla corte del califfo - e lo stile mi ha fatto pensare un po' a borges, un po' a calvino e alle sue città invisibili. un mercante racconta al califfo un'avventura capitatagli qualche tempo prima, l'incontro con un alchimista che era riuscito a costruire dei portali che permettevano di viaggiare nel tempo. le storie si incastrano come scatole cinesi: quella del mercante che parla al califfo e che riporta, a sua volta, le storie che gli sono state raccontate dall'alchimista, storie che parlano di viaggi nel tempo di altre persone che, per un motivo o per un altro, volevano tornare indietro per cambiare qualcosa nella loro vita. il passato però, nonostante la possibilità di ritornarvici, è sempre immutabile, perché da qualsiasi presente si provenga, quel presente sarà il futuro di quel passato in cui si è intervenutə per modificarlo. ma, se pure nulla può essere diverso da quello che è stato, viaggiare nel tempo può farci scoprire qualcosa che non sapevamo, su noi stessə e su chi vive la sua vita legandola alla nostra.

- respiro
altro racconto mindblowing che ho adorato, un viaggio incredibile all'interno del corpo stesso del protagonista, una creatura artificiale che scopre i misteri della struttura del suo cervello. difficile dire di più senza fare spoiler, leggetelo!

- cosa ci si aspetta da noi
racconto velocissimo tutto incentrato su un tema che, a quanto pare, è molto caro a ted chiang, ossia quello del libero arbitrio. anche qui, tutto si gioca sul paradosso, anche qui tutto è una delizia per la mente.

- il ciclo di vita degli oggetti software
questo è forse il solo racconto che mi ha davvero annoiata tra tutti quelli delle due raccolte, lunghissimo e molto meno brillante degli altri, si concentra tutto sull'esistenza di digienti - creature digitali senzienti - e del rapporto tra loro e gli esseri umani che li sviluppano. trovo molto poco da dire se non che, tra tutti, è l'unico che mi ha un po' delusa.

- il brevetto della tata automatica di dacey
altra storia un po' sotto la media ma almeno molto breve e davvero cattiva. ambientata tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento, immagina uno scienziato capace di usare il suo stesso figlio come cavia per i suoi esperimenti sulla crescita e l'educazione dellə bambinə.

- la verità del fatto, la verità della sensazione
qui si ritorna al ted chiang che mi piace, una storia bellissima che parla dei legami tra un padre e una figlia, della memoria e della sua fallacia, del suo non essere neanche lontanamente perfetta che è un po' quello che ci caratterizza come esseri umani: le persone sono fatte di storie. i nostri ricordi non sono un ammasso indistinto di tutti i secondi che abbiamo vissuto, sono la narrazione che abbiamo elaborato selezionando determinati momenti ed assemblandoli.

- il grande silenzio
questo racconto è molto diverso da tutti gli altri delle due raccolte ma è forse tra i più belli. la voce narrante è una sorta di portavoce dei pappagalli cenerini, una specie ormai in estinzione per colpa degli esseri umani, quegli stessi esseri umani che cercano forme di vita intelligenti nell'universo ma ignorano quelle presenti sul loro stesso pianeta, al punto di distruggerle. davvero molto, molto bello e toccante, la prova che la letteratura fantastica sa guardare al nostro presente e raccontarne la realtà e le sue contraddizioni.

- omphalos
se avessimo le prove, scientifiche e tangibili, che il mondo è stato creato in un certo, preciso momento, già compiuto e completo, quale sarebbe il nostro rapporto con dio? e cosa sarebbe la scienza? dove si situerebbe il confine tra fede e razionalità?

- l'angoscia è la vertigine della libertà
l'ultimo racconto di questa raccolta è quasi un thriller, ambientato in un mondo in cui dei congegni - dei prismi - permettono di entrare in contatto con i nostri sé di universi alternativi, per poter scoprire cosa saremmo se, a ogni bivio nella nostra vita, avessimo scelto l'altra strada. la capacità di conoscere le alternative però, genera ansie, insicurezze, senso di insoddisfazione e c'è chi, ovviamente, cerca di trarne profitto...

alcune note: entrambi i libri sono disponibili in edizione economica, e in entrambi, alla fine, è presente una sezione di note ai racconti molto interessante, scritte dallo stesso chiang.
sono straconsigliatissimi, anche a chi di solito non legge fantascienza/fantastico perché chiang scrive proprio bene, a prescindere da cosa scrive. oltretutto, se siete tra quellə ancora convintə che il fantastico sia solo evasione fine a sé stessa, avrete modo di ricredervi e, magari, scoprire un genere che non ha nulla da invidiare alla cosiddetta "letteratura alta".

se li avete letti (o se li leggerete) fatemi sapere cosa ne pensate!

domenica 3 dicembre 2023

flow

tutta la materia oscilla, costantemente, in modo leggero. tutto è instabile. a volte l'equilibrio si rompe e la materia cambia forma. questo è un mondo instabile e misterioso.
nessuno sa cosa succederà in futuro.


hirota è un operatore per lo smaltimento dei flow, fenomeni causati dall'instabilità della materia e dall'incontro tra le sostanze oscillanti e i desideri della gente che causano trasformazioni imprevedibili della realtà. ad aiutarlo c'è chima-chan, una donna di trentacinque anni che - proprio a causa di un flow - si ritrova ad avere l'aspetto di una dodicenne. ma il vero capo della squadra è presidente, un grosso, pigro gattone bianco che sfrutta l'abilità innata dei felini per riconoscere i flow e aiutare i due bipedi a trovare la soluzione giusta per riportare tutto alla normalità.

flow, la miniserie di yuki urushibara, che era già arrivata anni fa sugli scaffali italiani con mushishi e underwater, opere dai toni meno scanzonati, è strutturata a episodi più o meno autoconclusivi anche se le storie di chima e hirota - anche queste collegate ai flow - fanno da filo conduttore per tutti e tre i volumi, e mantengono alta l'attenzione dellə lettorə fino alla fine.

i flow possono essere di natura e intensità differente: la sensazione di smarrimento di uno studente incapace di prendere una scelta importante può dar vita a nuove strade così come lo stress di una ragazza che cerca di mostrarsi sempre perfettamente in ordine può smussare gli angoli delle cose, dai più piccoli oggetti fino agli spigoli delle strade, trasformando la realtà in un caos morbido e confortevole (ma non per tuttə!), o il desiderio di posare gli occhi su uno scenario montano può spostare letteralmente un intero appartamento.

questi fenomeni non sembrano mai essere troppo pericolosi e così la leggerezza di hirota nell'affrontarli non diventa mai una vera fonte di guai. l'eccessiva serenità con cui il ragazzo affronta i casi, però, spesso mette a dura prova chima, abituata com'era a dedicarsi anima e corpo al lavoro prima di cambiare il suo aspetto e dover abbandonare la sua carriera.

flow è una miniserie carina i cui punti forti sono la delicata e spensierata poetica che caratterizza tutte le storie (sarebbe bello se tutti i desideri fossero così innocenti da causare appena qualche piccolo scompiglio nella serena quotidianità della cittadina raccontata da urushibara) e i disegni semplici ed espressivi, ricchi di dettagli soprattutto nelle ambientazioni, capaci di trascinare lə lettorə in un giappone di provincia in cui il tempo sembra sospeso e i problemi poco più che scherzetti da trickster dispettosə.

personalmente mi è piaciuta un sacco, è esattamente il mio genere di fumetto - ovvero qualcosa a metà tra lo slice of life e il fantastico, in più c'è un gattone - però è difficile, anzi, impossibile descriverla come un must o un capolavoro e certo il formato (e di conseguenza il prezzo!) dei volumi non aiuta lə lettorə ad avvicinarsi a un titolo simile. l'unica pecca è, secondo me, proprio il trattamento ricevuto da dynit: creare un'edizione troppo lussuosa e cara (circa o più del doppio della media dei volumetti attualmente in commercio, decisamente troppo per qualcosa che dovrebbe essere "pop") per un manga carino ma non imperdibile significa perdere una buona fetta di possibili lettorə che avrebbero magari potuto avvicinarsi a un titolo come questo, già abbastanza di nicchia, se il prezzo fosse stato più popolare.

continuo a sostenere che una politica editoriale simile allontani la massa dellə lettorə da opere che non siano i soliti battle shounen o gli stravisti shoujo scolastici, alimentando il pregiudizio verso le serie commerciali e lə suə estimatorə. molto spesso il gusto personale e la voglia di uscire dalla propria confort zone, di scoprire generi e titoli diversi dal solito, finiscono per piegarsi a questo tipo di logiche di mercato che, anziché allargare il proprio pubblico di riferimento, puntano su un target necessariamente troppo ristretto anche se, magari, fidelizzato.
probabilmente la mia sarà una speranza a vuoto ma mi auguro che prima o poi dynit ripensi la sua politica di prezzi/formato rendendo accessibili i suoi titoli - spesso molto interessanti - a tuttə lə appassionatə.