l'introduzione e la diffusione di un nuovo strumento di comunicazione sono sempre state accompagnate da un importante dibattito: è avvenuto per l'introduzione della scrittura nelle culture orali, per l'invenzione della stampa a caratteri mobili nel quattrocento, poi con l'avvento dei nuovi mezzi di comunicazione di massa nel novecento e oggi con la diffusione dei cosiddetti new media.
siamo creature incredibilmente incoerenti, al punto tale da definirci come la specie che più di ogni altra è votata al progresso, che - anzi - si definisce proprio per le sue capacità di progredire e svilupparsi in ogni ambito del sapere, ma che contemporaneamente non fa che vedere in ogni manifestazione di questo andare avanti un pericolo tale da portare alla dissoluzione stessa della nostra umanità.
come spiegano bene biscaldi e matera, solo nell'ambito della comunicazione questa cosa è successa praticamente ogni volta che una nuova tecnologia ha fatto il suo ingresso sul palcoscenico della storia: così la scrittura è stata accusata di distruggere le capacità mnemoniche della gente e di disumanizzare la conoscenza; la stampa venne vista, soprattutto dalla chiesa, come una minaccia nei confronti delle persone poco acculturate che venivano per la prima volta a contatto con il sapere e che quindi dovevano essere protette (ovvero, a cui doveva essere negato l'accesso alla lettura); i media ormai tradizionali come tv e radio sono stati accusati di far perdere la necessaria riflessività e coerenza dei testi scritti, proponendo una comunicazione incoerente che mina la capacità di concentrazione del ricevente e, per di più, sono stati visti come distrattori e distruttori dell'unità familiare, capaci di scoraggiare la coesione dei gruppi a vantaggio di un interesse unidirezionale verso le macchine e, infine, come unica (o quantomeno principale) causa di globalizzazione culturale e assottigliamento sui valori occidentali da parte di tutto il mondo. critiche che si sono ingigantite a dismisura poi con l'avvento di internet prima e dei social media poi.
sarebbe da sottolineare anche come ogni dibattito di questo tipo, soprattutto nel nostro moderno e illuminato paese, si ponga puntualmente come una guerra generazionale in cui, da un lato, i vecchi saggi (il maschile è voluto) avvertono lə giovanə dei rischi che corrono e dall'altro - per fortuna - lə giovanə in questione se ne fregano allegramente della miopia di chi pretende di rimanere ancorato a un presente che si rifiutano di riconoscere come ormai trapassato (considerazioni mie che non troverete nel libro, lo dico in difesa delllə autorə e della loro professionalità).
antropologia dei social media parte proprio dalle critiche mosse agli strumenti forse più usati e diffusi al mondo negli ultimi anni per decostruire alcune idee pregiudizievoli nei loro confronti e mostrarne aspetti che spesso, probabilmente, non teniamo troppo in considerazione, ovvero i social network.
come qualsiasi altro media, il loro utilizzo non sostituisce mai completamente le vecchie tecnologie ma si intreccia a queste - pensiamo, ad esempio, all'abitudine di commentare online programmi televisivi molto seguiti o di utilizzare i social per parlare di altri strumenti di comunicazione ben più antichi, i libri (cosa che facciamo parecchio da queste parti). allo stesso modo, il linguaggio proprio dei social si affianca a quello proprio di altri mezzi comunicativi e di altri registri, arricchendo - e non impoverendo - le nostre possibilità espressive e, se da un lato si perde una certa soggezione alla norma, dall'altro va riconosciuto che la scrittura diventa pratica giornaliera per molte più persone di quanto non lo fosse prima, con tutti i pro e i contro che questo comporta.
un aspetto fondamentale, a mio avviso, della riflessione sui social media è racchiuso nella frase
è importante spostare la nostra attenzione da !cosa i media fanno alle persone" a "cosa le persone fanno con i media"
spostando il focus dalla deresponsabilizzazione con cui additiamo i social per ogni problema alla ricerca delle vere cause dell'impoverimento culturale, lessicale e comunicativo che di solito imputiamo all'uso della rete (forse, e dico forse, potremmo dare un'occhiata ai programmi scolastici?). inoltre, i social media non costituiscono una realtà nettamente separata da quella del mondo fisico ma sono una parte fondamentale della nostra esperienza che si interseca continuamente con ogni altra nostra azione. di conseguenza, anche le accuse di globalizzazione del pensiero devono cambiare obiettivo: se consideriamo i social come parte della nostra vita quotidiana, inevitabilmente dobbiamo tenere in conto quanto le nostre abitudini, i nostri stili di vita, le nostre ideologie, eccetera influiscono sul modo in cui viviamo negli spazi sociali digitali, rendendoci conto, come dicono lə autorə, che l'uso dei social, i contenuti che creiamo e di cui usufruiamo, cambia al cambiare del contesto in cui vengono utilizzati, perché diversi sono i modi in cui li utilizziamo, i bisogni che ci portano a usarli e gli obiettivi a cui miriamo, siano questi la necessità di essere costantemente connesso con lə altrə, quella di informarsi o di mantenere contatti con conoscenti e familiari lontanə, eccetera.
anche le critiche sulla spinta che i social darebbero ad esasperare il nostro individualismo e ad impoverire la nostra capacità di pensiero critico possono essere facilmente smontate se osserviamo con attenzione l'uso che si fa dei social: se è vero che da un lato questi aspetti esistono, è anche vero che i social network permettono di fare rete, ampliare o rinforzare i legami che le distanze fisiche renderebbero impossibili da creare o da mantenere nel tempo, tenendo in considerazione che
i social media sono sociali. questo significa che tutto ciò che le persone fanno online sempre e comunque si intreccia, deriva, rimanda a quello che fanno offline e viceversa
e che consentono di entrare a contatto con informazioni che altrimenti non sarebbero così ampiamente disponibili a tuttə. tutto questo contribuisce a creare la nostra identità, un'identità che si basa sulle esperienze e le conoscenze tutte, a prescindere dall'ambiente in cui si verificano: il nostro stesso essere politico è intrecciato con la comunicazione digitale, basti pensare all'attivismo digitale o al ruolo che i social hanno avuto, ad esempio, come ricordano lə autorə, durante il periodo della primavera araba, o anche oggi, dove i social sono l'unico spazio in cui è possibile riuscire a informarsi da fonti dirette sul genocidio in corso in palestina.
l'idea di fondo è, quindi, infinitamente semplice ma non altrettanto scontata: come ogni tecnologia, i social media vanno indagati da un punto di vista scientifico e scevro da facili pregiudizi, tenendone in considerazione la complessità anche da un punto di vista antropologico e sociale.
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