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domenica 30 luglio 2023

sirene

"c'era chi credeva che le sirene fossero una mutazione genetica, un'evoluzione dei dugonghi o lamantini quasi estinti, per fronteggiare un mondo da cui l'essere umano era destinato a sparire. altre creature, suboceaniche, avrebbero dominato la terra.
altri sostenevano che era normale scoprire specie sconosciute, visto che l'uomo era ormai in grado di abitare il fondo dei mari e degli oceani, anche se ci volevano molti soldi per farlo. specie nuove, o forse antichissime, come le meravigliose sirene crudeli"

non so bene cosa mi aspettassi da questo libro, un racconto leggero, un fantasy post-apocalittico, questo sì, ma comunque pensavo si trattasse più che altro di un romanzo da svago. e invece.
di solito non mi piace fare spoiler ma questo libro (che è uscito per la prima volta nel 2007, quindi ok, qualche spoiler ci può stare) necessita di un'analisi che per forza di cosa deve toccare alcuni punti della trama.

a voler incasellare sirene di laura pugno, potrei definirlo un romanzo transfemminista antispecista. in quel transfemminista ci sta dentro anche la questione ambientale e la critica a un sistema economico basato su sfruttamento/accumulazione e ci potrebbe stare anche l'antispecismo, ma credo che proprio questo aspetto vada sottolineato in modo chiaro.

il mondo di sirene abita un futuro non si sa quanto lontano (ma si teme non eccessivamente), un futuro doloroso in cui l'umanità cerca di sopravvivere su una terra quasi del tutto inabitabile: l'atmosfera è mutata e non riesce più a proteggere gli esseri umani dai raggi solari e adesso, quella stella che era stata il motivo del successo della nostra esistenza, si è fatta portatrice di morte. il cancro nero è una malattia orribile e crudele che colpisce chiunque si esponga ai raggi solari anche per poco tempo. la pelle si annerisce come in una sorta di autocombustione, gli organi collassano e in poco tempo tutto il derma si stacca per lasciar posto a una pelle nuova, candida e delicata che preannuncia cecità e morte.
chi è sopravvissutə vive a underwater, un'immensa città subacquea dove il potere è tutto nelle mani della yakuza, che gestisce le poche risorse rimaste in un pianeta che prova in ogni modo a scuotersi l'umanità di dosso.
ma prima di colonizzare l'ambiente sottomarino, l'umanità ha scoperto l'esistenza delle sirene. non sono passati molti anni da allora e samuel, il protagonista della storia (uno dei protagonisti che ho più odiato in assoluto in tutta la mia storia di lettrice) era solo un bambino quando queste creature si sono palesate per la prima volta, venendo a morire in massa sulle spiagge. le femmine della specie somigliano alle sirene della mitologia, hanno corpi metà da donna e metà da pesce, ma la loro umanità si esaurisce qui: i volti sono teriomorfi e non c'è alcuna possibilità di comunicazione con gli esseri umani. i maschi, invece, somigliano a quelli che una volta furono i dugonghi, non hanno nulla in comune con la razza umana.
fin da subito, le sirene sono state oggetto della cupidigia degli uomini (maschile non sovraesteso), che ne hanno fatto inizialmente trofei di lusso, imbalsamando i cadaveri, per poi iniziare a catturare esemplari vivi, trasformandoli in cibo o oggetti di piacere.
"carne di mare", le sirene si pongono a metà strada tra donne e animali proprio attraverso lo sguardo maschile: come femmine, vengono stuprate, chiuse nei bordelli per ricchi gangster, legate con forza perché - come è abitudine della specie - dopo l'accoppiamento non divorino il maschio; come animali, sono ammassate in allevamenti crudeli, costrette a riprodursi, a ingrassare e poi destinate al macello.
samuel - orfano di entrambi i genitori e cresciuto dalla yakuza - è sempre rimasto in basso nella piramide sociale e la sua vita gira intorno all'allevamento delle sirene: controlla le vasche in cui vengono ammucchiate, soprattutto nei giorni della monta, quando i maschi di sirena vengono introdotti nelle vasche, si accoppiano e vengono dilaniati dalle femmine subito dopo. la loro carne non è commestibile e il loro valore è praticamente nullo, e gli allevatori osservano la carneficina dopo l'accoppiamento spesso con compiacimento. è qui che inizia la storia: durante uno di questi incontri tra maschi e femmine di sirena, samuel si immerge nella vasca per stuprare una sirena, lanciandole tra le fauci al momento opportuno un maschio narcotizzato che plachi il furore omicida della femmina al posto suo.
è una scena - è la prima scena - che sconvolge. l'atto della monta è in tutto e per tutto uno stupro, un accoppiamento dettato unicamente dal potere che samuel - maschio e umano - ha sulla femmina di sirena.

il leit motiv della sopraffazione maschile sul femminile (e degli esseri umani sulle sirene) segue tutta la narrazione, e si esplicita non soltanto nell'allevamento delle sirene - e più avanti nella storia di mia, l'ibrido nata dalla violenza a inizio della storia - ma anche nella vicenda dei due personaggi femminili umani della storia: sadako e ivy.
la prima è la donna di samuel. mi è impossibile usare un'altra espressione perché il rapporto tra lə due non è di amore né spontaneo. sadako, figlia illegittima di uno yakuza, fin da bambina è stata venduta a uomini di potere. marchiata a fuoco sulla schiena, come una bestia da allevamento, per ricordare a chi appartenesse, passata tra le mani di uomini orribili e violenti, diventata uno scarto per il troppo utilizzo, viene donata a samuel, con cui inizia a vivere quella che viene difficile definire una storia d'amore. samuel è, in modo malato e perverso, innamorato di lei ma quali siano i sentimenti di sadako non ci è dato sapere, per lei è probabilmente solo rassegnazione e sopravvivenza. è annullata come persona ed esiste come solo come proprietà. l'unica cosa che rende sadako più che un oggetto è il suo amore per le sirene, la sua convinzione che siano creature da venerare e non da uccidere e il dolore che prova per il lavoro di samuel (che è letteralmente un macellaio), che dal canto suo - ed è anche per questo che sarebbe assurdo parlare di amore - continua imperterrito ad uccidere. sadako morirà di cancro nero e samuel rimarrà ferito dalla sua scomparsa, pur non cambiando di una virgola il suo modo di vivere.
ivy è la seconda vittima di samuel e degli uomini: ex partner del leader del movimento per la liberazione delle sirene, viene avvicinata da samuel a cui è stato ordinato di sedurla e carpire i segreti dell'organizzazione. anche lei è orripilata dal modo in cui le sirene vengono trattate e anche lei le considera creature venerabili. il momento in cui samuel la costringe a mangiarne la carne e a inscenare un rapporto sessuale con una di loro all'interno di un bordello gestito dalla yakuza, sotto gli sguardi divertiti di altri uomini, è un'altra scena difficile da digerire.
e poi c'è mia: samuel stupra sua madre per poi mandarla senza remore al macello ed è pronto a uccidere la piccola se dovesse rivelarsi una prova della sua disubbidienza alla yakuza. quando decide di liberarla, non lo fa certo per amore paterno, ma solo come atto di ribellione che si traduce nell'arroganza di volersi fare salvatore di una creatura più forte e più resistente di lui. che samuel non la consideri sua figlia è chiaro perché violenta anche lei, palesandosi - insieme agli altri uomini - come il vero "animale" della storia, nel senso di creatura incapace di seguire delle norme morali ma trascinata unicamente dai bisogni e dai desideri del momento, accecata da un istinto perverso e crudele che però non mira alla prosecuzione della specie ma al mantenimento del potere.

in questo mondo distopico e angosciante, le femmine - umane e sirene - sono letteralmente pezzi di carne. vengono vendute, usate, mangiate, costrette a soddisfare il desiderio di potere di uomini che, davanti all'apocalisse in corso, non riescono a pensare ad altro che a sé stessi.
le sirene non servono - nella struttura narrativa - solo a esplicitare il sistema patriarcale e misogino di underwater ma sono un simbolo di denuncia verso lo sfruttamento animale: non esistono quasi più sirene selvatiche, tutte quelle ancora in vita (lo sterminio dura circa vent'anni, meno di una generazione umana) nascono e muoiono all'interno dei macelli o dei bordelli, costrette a velocizzare i loro ritmi metabolici per crescere più in fretta e soddisfare più in fretta gli appetiti sessuali e non dei loro carnefici. separate dalle loro figlie dopo appena due giorni, private della libertà, instupidite da trattamenti ormonali che servono a renderle docili e remissive - l'autrice fa spesso riferimento alla loro somiglianza con le vacche, creature che da secoli sfruttiamo, rinchiudiamo, torturiamo e uccidiamo per quello che ormai non è più un bisogno ma solo un capriccio.
e poi ancora, o forse è qualcosa che leggo solo io, c'è la denuncia all'incapacità - persino nei periodi più difficili, mortiferi - di cooperare. competizione, sopraffazione, prepotenza, sfruttamento, accumulo di risorse per pochi mentre la massa muore: il mondo per come lo conosciamo riproduce sé stesso fino all'esasperazione, senza provare a sopravvivere grazie al mutuo aiuto.

in sirene c'è così tanto che si arriva a fine lettura con rabbia e con un macigno sul petto e sulla coscienza. l'apocalisse non è un incidente, è colpa degli umani che hanno distrutto l'ecosistema del pianeta, sterminato popolazioni animali e non, e cambiato l'atmosfera. la fine delle società statali per come le conosciamo, porta a una sopraffazione dei forti/maschi/umani sullə deboli/femmine/animali che perpetua uno schema sociale tristemente attuale e lo esaspera, liberandolo da ogni costrizione morale o giuridica. underwater, la città costruita sotto il mare, ricalca il modello coloniale in cui ci si appropria dei territori dellə altrə distruggendoli e ricostruendoli a proprio vantaggio.

solo alla fine ci è concesso un attimo di respiro, o forse più un sospiro: mia riesce a fuggire, a liberarsi dagli esseri umani, a far nascere in mare aperto sua figlia. è una scena di speranza ma anche di vendetta: nella fuga, trascina con sé il cadavere di samuel - tradito dal suo amico, punito dalla yakuza, privato di tutto e ucciso dal cancro nero - che rimane con lei sul fondo del mare come un oggetto, come un pezzo di carne da divorare prima di iniziare una nuova vita. una vita selvaggia, pericolosa forse, ma libera.

martedì 25 luglio 2023

cibo e identità ~ l'identità nell'epoca della sua riproducibilità gastronomica

«questa è quella che [...] definisco "la palude del vago", dove l'estrema ricchezza e l'affilata precisione offerta dal lessico si impantana nella melma di significati altri che nascono da propagande politiche, da interessi economici, da pigrizia, da associazioni mentali errate ma entrate nell'immaginario comune. così accade che ormai "tipico" e "tradizionale" sono intercambiabili, come anche "autentico" e "genuino", "artigianale" e "naturale" e il cibo viene privato delle sue stesse sovrastrutture sensoriali, creando l'inganno del cibo "identitario" come luogo della memoria ricostruita, da difendere contro ogni minaccia di alterità»

il sottotitolo della collana bookblock è strumenti di autodifesa culturale e forse per questo libricino qui non si poteva scegliere una definizione più adatta.
che il cibo abbia smesso di essere una questione di sopravvivenza e sia diventato un fatto culturale, lo sappiamo da secoli e - ancor di più - lo facciamo da millenni. quello di mangiare insieme è un gesto che definisce i rapporti interpersonali più di ogni altra cosa (cosa mangiamo, come, dove, quando, tutto questo ci dice cosa siamo rispetto a chi ci troviamo sedutə accanto a tavola); l'atto di offrire del cibo agli ospiti è un gesto non solo di cortesia ma quasi rituale in tutte le culture (sì, anche nella nostra); rifiutare il cibo che ci viene offerto è considerata una grande scortesia; quello che mangiamo definisce chi siamo, che storia personale abbiamo, a che classe apparteniamo e in qualche modo anche qual è il nostro orientamento politico (la mortadella è comunista. il salame è socialista. il prosciutto è democristiano. la coppa liberale. le salsicce repubblicane. il prosciutto cotto è fascista). ma soprattutto, il cibo esprime la nostra identità, cioè riconduce a quella che è la nostra appartenenza, il nostro legame con il paese che abitiamo, e ancor di più con il nostro passato.

o almeno, questo è quello che ci piace pensare, e a furia di innamorarci di questa visione del cibo come se fosse una sorta di carta d'identità - o forse una medaglia, perché figuriamoci, la cucina italiana è la migliore del mondo finché siamo fuori dai confini nazionali, poi è tutta una guerra campanilistica tra nord e sud, est e ovest e provate a dire arancino a palermo e vi guarderanno come se vi fosse messi a bestemmiare nudə in cattedrale - ci siamo inventati di sana pianta un linguaggio che ruota attorno al cibo per provare a dargli dei significati che, a dirla tutta, non ha. e anche alle parole stesse che usiamo, come spiega serena guidobaldi, abbiamo attribuito dei significati che ci piacciono, senza curarci se siano corretti o no. e quindi vai di tradizione e genuinità e naturalità e autenticità, poco importa se poi gli ingredienti non sono genuini e non fanno parte della nostra memoria, poco importa se chiamiamo autentico il piatto che consumiamo in un ristorante di catena, che resta sempre uguale in ogni sede mentre intorno tutto il resto cambia.
e poco importa anche se i cibi tradizionali, quelli delle feste ad esempio, perdono la loro tradizionalità perché sono in realtà reperibili tutto l'anno, quello che ci importa di più è che siano instagrammabili abbastanza e che si prestino a poter(ci) raccontare ancora una volta chi siamo. perché abbiamo sempre più bisogno di delimitare i confini della nostra identità per tenere fuori tutto quello che non è "noi" per non renderci conto che quei confini non esistono e non sono mai esistiti se non nella nostra volontà di renderli reali.

post pubblicato in origine su instagram.

domenica 23 luglio 2023

la nostra parte di notte

"non gli piaceva, non gli era mai piaciuto tacere, e nemmeno gli sguardi sfuggenti e i silenzi imbarazzati, il modo in cui gli adulti, soprattutto gli adulti, si guardavano tra loro e ingoiavano le parole, il modo in cui suo padre gli diceva: questo è tutto quelli che ti dirò e non saprai nient'altro che questo. sentiva che, se lo avessero lasciato chiedere e parlare, non avrebbe mai smesso, la curiosità lo avrebbe invaso come formiche su un vasetto di marmellata dimenticato aperto in cucina"

juan e gaspar, un padre e un figlio in viaggio attraverso l'argentina, da buenos aires verso nord, verso il confine con il brasile. intorno a loro si stende un paese martoriato dalla dittatura militare e dalla tragedia dei desaparecidos. il viaggio è costellato di posti di blocco, il tempo ha il sapore della paura di essere fermati o peggio. ma ancora più pressante e opprimente è la presenza dell'Ordine, una società segreta in cui ricchezza, potere e violenza si intrecciano indissolubilmente insieme all'ossessionante ricerca del modo di poter ottenere la vita eterna, trasferendo la propria coscienza all'interno di corpi-ospite.
juan è il medium più potente che l'ordine ha mai avuto, ha sposato rosario, la figlia della coppia più influente - e crudele - dell'organizzazione e tutta la sua vita è stata influenzata dai suoi piani. eppure, il suo potere è nulla perché niente potrà mai liberarlo dal legame che ha con loro, né che l'Ordine ha con suo figlio gaspar.

quella dell'Ordine è una storia lunga di secoli, una storia che inizia con la scoperta, in africa, dell'Oscurità, del dio crudele che divora i suoi fedeli, dell'Altro Luogo che è l'immenso cimitero di corpi mutilati e offerti in sacrificio.
juan è un uomo che ha sperimentato ogni possibile forma di sofferenza, martoriato nel corpo e nell'anima, strappato dalla sua famiglia, venerato ma prigioniero, potente ma mai libero. juan ama gaspar di un amore insano, folle, feroce, lo ama con l'urgenza di un padre che vuole salvare suo figlio ma sa di non poter contare nemmeno sul proprio corpo, così fragile e prossimo alla fine. juan ama gaspar di un amore malato, di un amore che non sa essere amore perché nulla, nella sua esistenza, è rimasta immune dalla crudele e perversa onnipresenza dell'Ordine.
per salvare gaspar, juan in realtà lo distrugge giorno dopo giorno, per tenerlo lontano dall'Ordine e dall'Oscurità gli insegna come aprire e chiudere quelle porte che risponderanno solo al suo tocco, a entrare nell'Altro Luogo.

nel romanzo di mariana enriquez, l'orrore storico delle stragi fasciste della dittatura di videla, la pena di morte, le sparizioni misteriose, il rapimento dellə bambinə si intreccia alle mostruosità dell'Ordine, alle violenze e ai massacri inutili compiuti in nome del dio oscuro.
la narrazione si sposta avanti e indietro nel tempo, coprendo un arco di circa trent'anni, dall'inizio degli anni '60 agli anni '90. enriquez ci racconta la storia dell'Ordine e quella di juan, di gaspar e di rosario, l'esaltazione che dà il potere e l'orrore che lascia quando se ne comprende appieno la natura e gli effetti che ha. non ci sono personaggə assolutamente buonə, ma quellə cattivə sono puramente malvagə, senza alcuna possibilità di redenzioni, l'incarnazione dell'orrore stesso. alcune scene sono a dir poco raccapriccianti, merito soprattutto di una lingua che fa della prosa qualcosa che sfiora la poesia, un linguaggio scelto con cura, parola per parola, frasi preziose e cesellate.

la nostra parte di notte è un romanzo che merita di essere scoperto pagina per pagina, senza anticipazioni sugli eventi narrati, perché enriquez è bravissima a non dare mai nulla per scontato e riesce, nonostante le settecento e più pagine, a tenere lə lettorə col fiato sospeso fino alla fine, rispondendo, un po' alla volta, alle tantissime domande che nascono durante la lettura.
per me questo libro finisce dritto dritto tra i preferiti del 2023 (anche se mi ha costretto a usare le maiuscole per scrivere questo post).

post pubblicato in origine su instagram.

domenica 2 luglio 2023

l'uomo che vedeva le mosche (e altre opere impresentabili)

"l'uomo che vedeva le mosche" è un romanzo horror psichedelico scritto da oscar victor de la pena e pubblicato nel 2019 da space's anthem, una modesta casa editrice di fort lauderdale (florida, usa).
le centocinquanta copie del romanzo che uscirono nelle librerie di fort lauderdale e miami nel dicembre del 2019 furono acquistate in blocco da un anonimo compratore. così "l'uomo che vedeva le mosche" scomparve subito dalla scena letteraria senza lasciare traccia di sé. non ci fu una sola recensione del romanzo.

il senso di l'uomo che vedeva le mosche, raccolta di racconti di roger munny, seconda proposta di ammodino, sta tutta nel sottotitolo: dieci racconti che si rifanno a dieci opere impresentabili, appunto, il cui unico aspetto comune è il loro essere (come ci spiega saggiamente la quarta di copertina) degli pseudobiblion, ovvero dei libri immaginari trattati però come se fossero reali, e quindi citati o, come in questo caso, recensiti.

munny ci accompagna alla scoperta di questi non-libri, tutti rigorosamente introvabili (e spesso, per quanto impresentabili siano, spiace davvero non poterli leggere perché sono così orribili da fare tutto il giro e diventare assolutamente geniali) che rappresentano il meglio (peggio?) delle capacità immaginative umane: un uomo che non trova abbastanza interessanti le religioni a sua disposizione e ne inventa una nuova; un viaggio tra le dimensioni a metà tra racconto on the road e esperienza d'uso di sostanze psichedeliche (non troppo raccomandabili, visti i risultati); un'invasione aliena che vuole scatenare una rivoluzione anarchica tra un gruppo di personaggi quantomeno bizzarri, tra cui un canguro nero innamorato di un cuscino; il resoconto di un esploratore in una misteriosa isola piena di funghi (e di gente con i nomi troppo simili per non fare impazzire chi legge); un fantasy che racconta di una sanguinaria comunità di vampiri albini; l'autobiografia di un musicista che si crede il più grande artista del panorama musicale inglese; l'opera di un monaco buddista che per qualche non troppo chiara ragione diventa il fondamentale punto di riferimento culturale e spirituale di un gruppo di neonazisti e per concludere - unica opera cinematografica della raccolta - la sceneggiatura di un film che nasconde messaggi subliminali capaci di scatenare una rivolta anticapitalista a livello globale.

le opere raccontate da munny sono davvero impresentabili ma il suo modo di raccontarle tira fuori tutto il potenziale comico che nasce dall'assurdità della loro pretesa di validità letteraria, arrivando in alcuni momenti a costringervi a posare giù il libro e ridervela di gusto.
dopo giardini cannibali possiamo dire che ammodino (e la direttrice editoriale, valentina presti danisi, il cui zampino è più che evidente nella scelta delle pubblicazioni) ha preso la strada giusta e che gli amanti dell'assurdo, del surreale, della sperimentazione letteraria che non si attorciglia sterilmente su sè stessa hanno trovato un loro nuovo punto di riferimento.

post pubblicato in origine su instagram.