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mercoledì 29 marzo 2023

il canto di penelope

"da quando sono morta - da quando ho raggiunto questa condizione di senzaossa, senzalabbra, senzapetto - ho imparato cose che avrei preferito non sapere, come succede se si origlia dietro le finestre o si aprono le lettere degli altri. credete che vi piacerebbe leggere nelle menti? ripensateci."

è morta penelope, da millenni ormai, e può finalmente raccontare la sua storia senza più temere gli dèi. può raccontare la sua storia e quella delle sue dodici ancelle predilette - amiche, quasi figlie - la loro vita miserabile, la loro morte ingiusta.

la rabbia di penelope si è ormai spenta in qualche modo, ma in fondo lei non ha mai pensato che avrebbe potuto esprimerla. forse non ha mai pensato che fosse lecito neppure provarla.
penelope ha sempre interpretato il suo ruolo, rassegnata all'idea di non poter mai essere nulla di più di quello che le era toccato di essere: una figlia non amata, una principessa non desiderata, una moglie abbandonata e tradita.
penelope piange e piange e piange, consolandosi solo di non aver causato le tante tragedie scaturite dalla bellezza della cugina elena.
penelope piange e sceglie di credere alle bugie su odisseo: dèi crudeli, maghe, sirene. sceglie di ignorare le storie in cui lui è poco più di un frequentatore di bordelli o un irresponsabile comandate che lascia morire i suoi uomini. penelope sceglie la versione della storia che meno la addolora, l'unica che le permette di sopportare l'arroganza e la prepotenza maschile che fin dal primo momento l'ha condannata a una vita triste. il padre che voleva affogarla, il marito che per dieci anni ha preferito una vita di avventure a lei, il figlio che la accusa di sperperare le sue ricchezze e i pretendenti che la deridono, che si approfittano e stuprano le sue ancelle.

ecco, le sue ancelle. dodici - numero mistico - poco più che bambine, cresciute con amore da penelope, destinate fin da prima della loro nascita a una vita di servitù e di passiva accettazione del volere del padrone. a quel padrone, che punisce con la morte per il loro essere state vittime indifese, margaret atwood, insieme con penelope, organizza un processo dando finalmente alle dodici assassinate la possibilità di parlare.
il canto delle ancelle scandisce il racconto di penelope, è un canto che prepara, anticipa e replica all'infinito l'orribile scena della loro uccisione, un canto che chiede giustizia per quella crudeltà ingiustificabile che mai venne espiata da odisseo.
adesso, morte anche loro, non concedono pace all'anima dell'eroe, perseguitandolo vita dopo vita, reincarnazione dopo reincarnazione.

penelope, invece, resta sé stessa: non dimenticherà quello che è stato e non ha voglia di conoscere altro. ha visto abbastanza da non desiderare una nuova esistenza.
il canto di penelope è un romanzo rabbioso che però non alza mai la voce, non concede mai ai suoi personaggi di liberarsi troppo dalle parole che li hanno raccontati millenni fa e questo è, probabilmente, il suo punto di forza. non serve snaturare penelope e odisseo, basta semplicemente far raccontare la stessa, identica storia a una donna: lei sarà capace di dar voce a tutti i silenzi che neppure il più grande dei poeti ha saputo cantare.

post pubblicato in origine su instagram.

lunedì 27 marzo 2023

i tardigradi: intervista a eris edizioni

“tutta la letteratura è fantastica” (jorge luis borges)
il logo della collana disegnato da bart salvemini

lo scorso autunno esordiva la nuova collana di eris edizioni i tardigradi – biblioteca del fantastico, una collana di racconti lunghi in piccolo formato (realmente tascabile) che spaziano dal fantasy al weird alla sci-fi e a tutte le possibili declinazioni dell’immaginifico.
dopo i primi tre titoli – “creature dell’assenza” di gloria bernareggi e sephira riva, “un allegro nichilismo cosmico” di alessandro sesto e “corpo” di silvio valpreda – di cui abbiamo parlato qui, è stato annunciato in questi giorni il quarto tardigrado “qualcuno dovrà pensare ai rettili” di walter comoglio. approfittiamo dell’occasione per farci una chiacchierata con le ragazze e i ragazzi di eris per scoprire qualcosa di più di questa nuova collana. buona lettura!

ciao ragazzə e bentornatə su claccalegge! partiamo da una considerazione: i racconti, almeno in italia, non sono esattamente la forma narrativa più amata. o, pare, non lo erano fino a qualche tempo fa: negli ultimi anni, oltre ai tardigradi, sono spuntate sui nostri scaffali diverse collane di racconti lunghi o novellette, come dicono i bookblogger fighi. cosa è cambiato negli ultimi tempi per far rivalutare così tanto la narrazione breve?
► Crediamo che la forma racconto sia una forma amata, non bisogna confondere i gusti di chi legge con le scelte del mercato. In parte è stata lentamente dismessa dall’industria editoriale per puntare su volumi sempre più lunghi e più complessi (e spesso con un certo prezzo) perché è questo che cerca “la clientela” di riferimento di un pezzo di editoria. Ma nella realtà, da un punto di vista storico, molti autori classici hanno scelto questa forma, come Kafka, Bulgakov, Melville, e allo stesso tempo, seppure un po’ odiate, le raccolte di racconti non hanno mai lasciato le librerie.
In diverse realtà abbiamo avuto la stessa intuizione nello stesso momento: ridare a questa forma narrativa una sua dignità propria, offrendo a chi legge la possibilità di esplorare tramite la forma breve singoli immaginari (ma gli immaginari comprendono mondi). Contemporaneamente la forma breve può andare incontro a diverse esigenze di disponibilità di tempo, di tasche, di possibilità/capacità di concentrazione. Abbiamo vite complesse, con tempistiche complesse e budget non proprio illimitati. Questo almeno per noi è un elemento che non può essere dimenticato.
Ogni realtà, con le sue specifiche, ha voluto dare importanza a questa forma, spesso legandola al macrogenere del fantastico, con diverse declinazioni, e ogni realtà editoriale seguendo la sua identità, in modo lineare ci verrebbe da dire, e siamo davvero felici che Eris non sia sola in questo viaggio, ci sentiamo davvero in ottima compagnia e seguiamo con curiosità le altre collane.
Per noi questa collana è anche figlia di un macro ragionamento, che affonda le sue radici in collane storiche e controculturali come i Millelire di Stampa Alternativa. Come primo passo ci ha fatto immaginare e poi creare la collana BookBlock, che è di saggistica breve, ora con i Tardigradi ci affacciamo alla narrativa breve, proseguendo il percorso nel weird e nel fantastico intrapreso con la nostra collana di narrativa Atropo (romanzi e raccolte di racconti), che è illustrata. E ti possiamo spoilerare che presto ci saranno news anche legate al fumetto e alla forma breve. Ci sembra importante che ogni persona possa esplorare, sia come autor* che come lettor*, tutte le diverse forme narrative.
altra considerazione: sembra che ultimamente il fantastico, in ogni sua declinazione, stia vivendo una nuova età dell’oro. la narrativa occidentale eurocentrica si trascina da almeno un paio di secoli il peso del verismo/naturalismo, adesso invece sembra che tutti stiano riscoprendo il fascino delle realtà immaginate, delle atmosfere oniriche, dei mondi alternativi, di tutto ciò che la fantasia riesce a creare: un modo di intendere la narrazione molto meno “nostro”. si potrebbe vedere come una sorta di decolonizzazione (finalmente) della narrativa?
► Ci piacerebbe rispondere di sì, ma non abbiamo tutto questo ottimismo. Crediamo che sia più un discorso di ibridazione, almeno per quanto riguarda l'Italia. Sicuramente c’è anche un’apertura in questo senso, ma da un certo punto di vista il mondo letterario italiano, anche se ci sono autori storici del Novecento di importanza fondamentale che hanno sempre affondato con piacere le mani nel mondo del fantastico, ha sempre un po’ snobbato il fantastico. Se guardiamo i principali premi letterari e i titoli in classifica, sì, sembra che il realismo non se ne sia mai andato. Tra drammi familiari borghesi, saghe di famiglia, romanzi storici o di impegno e di denuncia, magari autobiografici, il fantastico non ha mai avuto abbastanza spazio sugli scaffali principali. Ora sembra che finalmente abbia trovato il suo spazio. Non sappiamo se per un cambio di gusto del pubblico o la contaminazione con altre forme narrative e di intrattenimento come serie tv e videogiochi. Sicuramente c’è stata una storicizzazione del fantastico proveniente da altri paesi e fortunatamente non solo dal mondo anglofono e forse di fianco a certi nomi storici finalmente ci si apre anche al nuovo. Soprattutto si sta capendo che dentro il fantastico (e il fantastico può essere tutto: non solo weird, fantascienza, fantasy, horror) invece c’è tanta realtà, tante riflessioni e spesso anche impegno e critica sociale. È un macro genere che è stato tacciato di disimpegno in quanto “letteratura di evasione” oppure di basso e popolare, una bella visione classista. Ma sappiamo invece benissimo quante tematiche contiene oggi: ambiente ed ecologia, transfemminismo, lotte per i diritti civili, chiaramente percorsi decoloniali, identitari per molti soggetti in situazioni di marginalità, antispecismo, anticlassismo. Tutto questo è sicuramente un ulteriore passo per decolonizzare finalmente la narrativa, ma anche per aprirsi all'impossibile, all’imprevedibile. E aprire la propria mente: anche perché qualsiasi cosa, prima di poterla fare, bisogna riuscire a immaginarla.
a proposito di decolonizzazione: ci saranno autrici e autori stranieri (magari non occidentali) nella collana tardigradi?
► Per ora no, l'idea è proprio di creare una galleria di immaginari che affondano le loro radici nel qui e ora, e quindi vogliamo dare spazio a persone che creano e immaginano storie a partire da questo specifico contesto sociale, territoriale. Inoltre, in un mercato editoriale chiaramente un po’ esterofilo soprattutto nel fantastico, una collana di questo tipo è un’ottima possibilità per far conoscere tante voci diverse. Speriamo che la forma breve aiuti a esplorare il fantastico italiano, non solo quello proposto da noi ma da tutte le realtà editoriali che se ne stanno occupando.
la copertina del quarto tardigrado!

i primi tre titoli – “creature dell’assenza”, “un allegro nichilismo cosmico” e “corpo” – sono, per tematiche, stili e atmosfere, molto diverse tra loro: come sono stati scelti questi racconti? e cosa ci aspetta tra le prossime uscite?
► È sempre difficile spiegare cosa cerchiamo, ma hai descritto perfettamente il lavoro che vogliamo fare. Il fantastico si può declinare in infiniti modi e ci piacerebbe offrire una carrellata di tutto quello che può essere. Per questo abbiamo scelto di aggiungere al nome della collana, I Tardigradi, la dicitura: Nuova Biblioteca del Fantastico.
In un testo cerchiamo una visione autoriale forte, una fusione totale tra l’elemento fantastico e la narrazione, ma anche un senso di ricerca e di scoperta, di stupore, l’inconsueto. Si deve sentire la rielaborazione personale e intima di chi l’ha scritto, il suo sguardo. A volte ci sono racconti che hanno un meccanismo narrativo e uno stile perfetti, ma che dopo che li leggi, ti rendi conto che potrebbero essere stati scritti da mille persone diverse, anche se parlo di racconti che di per sé funzionano. Noi cerchiamo l’opposto, un’elaborazione che ci faccia sentire la presenza, unica, di chi l’ha scritto.
Possiamo fare qualche spoiler sulle nostre scelte: abbiamo da poco annunciato come primo autore del 2023 Walter Comoglio. Il secondo titolo sarà di Caro Gervasi (super spoiler!): nel suo racconto l’elemento fantastico è semplice e contenuto e contemporaneamente imprescindibile, ogni volta che lo leggiamo troviamo nuove implicazioni e chiavi di lettura, un’elaborazione particolarissima, una situazione potenzialmente claustrofobica ma anche senza confini, apertissima, che parla di individualità e di collettività allo stesso tempo, l’esempio perfetto di quello che stiamo cercando.
L’ultimissima anticipazione riguarda il terzo Tardigrado dell’anno, che dovremmo presentare in anteprima durante il Salone del libro di Torino. È scritto da una persona che collabora con un’altra delle case editrici che in questo momento si stanno occupando davvero bene di fantastico. Per noi questa cosa è emblematica di come un certo tipo di editoria indipendente vive di collaborazioni e di sinergie, non di rivalità. È una cosa davvero bella e importante che in qualche modo testimonia una volontà comune di portare avanti le cose fianco a fianco, ogni realtà nel suo modo peculiare, ma creando davvero una mappa di esplorazione comune che si arricchisce del lavoro di ogni soggettività.
è interessante anche la grafica di questa collana: la copertina bianca che lascia intravedere l’illustrazione di copertina (che in realtà è un’illustrazione di quarta di copertina) e anche tra le illustratrici e gli illustratori – elena mistrello, stefano zattera e tommygun – c’è molta eterogeneità. come vengono scelti le artiste e gli artisti con cui lavorate e perché avete scelto di mettere l’illustrazione solo sul retro del libro?
► Complicato. Abbiamo lavorato tantissimo alla scelta della grafica e alla fine, anche se poi chi lo prende in mano non ci fa caso, per noi c’è tutto un discorso concettuale.
Il fronte della copertina è bianco, con le solite scritte: nome dell* autor* e titolo. Ma le scritte sono “bucate”, per cui dentro si vede l’illustrazione che invece è appunto presente grande nel retro della copertina, dove è accompagnata da una sinossi brevissima. L’occhio vede la scritta e allo stesso tempo cerca di leggere sia la scritta che l’illustrazione che c’è dentro, e quindi andare oltre, guardare al di là, che poi è quello che fa il fantastico.
Inoltre le illustrazioni di solito sono sul fronte della copertina, non nel retro, ed è un altro modo per cambiare il punto di vista, stravolgere l’ordinario e aprirsi all’inconsueto. Scegliendo questa veste grafica abbiamo anche superato il discorso gerarchico tra immagine e parola che spesso, non sempre, vuole che nelle copertine l’illustrazione sia di servizio al testo e non viceversa. Chi prende in mano il libro e lo gira per leggere la “solita” quarta, si ritrova davanti un’immagine, che non ci dovrebbe essere, o almeno non in quel modo. E allo stesso tempo un’immagine può comunicare tantissime informazioni, colpire in modo diverso la nostra immaginazione. E forse ci può far entrare molto più facilmente nel mood del racconto. Poi chiaro, abbiamo voluto mantenere una sinossi, ma davvero al minimo, perché molto di quello che normalmente c’è in una sinossi, non scritto, c’è già proprio nell’illustrazione. 
E scegliere chi farà l’illustrazione è un gioco magico incredibile che anche noi non ci spieghiamo: intuizione, conoscenza delle poetiche, dei segni, il giusto miscuglio tra riflessione, caso e voglia di giocare a incrociare universi creativi diversi.
il formato rimanda inevitabilmente alla collana bookblock, vostro grande successo che somiglia tantissimo nel formato ai tardigradi benché i contenuti – i bookblock, per chi avesse passato gli ultimi anni sulla luna, sono una collana di saggi pop su un’infinità di argomenti – siano così diversi. i risultati ottenuti con questa collana di mini-saggi hanno influito sulla decisione di dar vita ai tardigradi?
► In realtà sì e no. Il breve ce lo abbiamo sempre avuto dentro, prima ancora che come casa editrice proprio come persone che leggono.
Entrambe le collane nascono dalle stesse riflessioni. Ma contemporaneamente aver fatto i BookBlock e da poco i BookBlock+  (ovvero sempre saggi brevi ma un po’ più lunghi dei BB classici) ci ha aiutato a immaginare come potesse essere questa collana. Alla fine c’è sempre voglia di variare, per chi scrive, per chi legge e anche per chi ci lavora. È bello lavorare all’editing di un romanzo per due anni, come è successo con il romanzo Palude di Uduvicio Atanagi che è di 500 pagine, ma allo stesso tempo è bello e stimolante lavorare sul breve, trovargli un corpo cartaceo, dargli spazio, farlo girare. Con il breve anche noi esploriamo un sacco di voci e narrazioni diverse. Ci sono cose che hanno bisogno di 60 pagine e altre di 500, per noi è importante che ci siano tutte e due (e tutte le possibilità in mezzo).
grazie mille per la vostra compagnia! mille imboccallupo come sempre per tutti i vostri progetti, qui si aspettano con trepidazione le prossime uscite tardigrade!
► Ciao e a presto!

mercoledì 22 marzo 2023

elettra s01e01 - l'olivastro: intervista a olga campofreda, eloisa morra e marta zura-puntaroni

“padre, padrone, padrino. padre spirituale, santo padre. patria, antichi padri, paternità. patriarca, patriarcato. quante parole da una singola radice, eppure una sola dinamica: quella di subordinazione a qualcosa di più grande, più sacro, più autorevole”


se in letteratura il rapporto madre-figlia è stato indagato più e più volte, soprattutto nell’ottica di uno scontro tra le due, quello tra le figlie e i padri è stato più spesso sottaciuto o rappresentato in modo stereotipato: i padri delle favole sono buoni ma spesso vittime di inganno (neanche a dirlo, da parte di donne), sono amorevoli ma in qualche modo inconsapevoli della vita delle figlie, assenti dal racconto delle loro esistenze. oppure sono padri-padroni: oppressivi, invadenti, autoritari. padri di cui si è succubi, insomma, in un modo o nell’altro, padri le cui scelte ricadono inevitabilmente sulle figlie.

il mito di elettra, a cui si rifà il titolo di questa collana – anzi, serie – è esplicativo di quel rapporto di subordinazione così radicata da trasformarsi in amore cieco. elettra non vede i crimini del padre: l’uccisione della sorella, il tradimento della madre con cassandra, l’arroganza di chi, dopo dieci anni di lontananza, torna a casa e vuole ripristinare il suo dominio, come prima l’aveva imposto sul campo di battaglia. non vede nulla e, anzi, giustifica ogni sua azione e colpevolizza la madre che pure aveva fatto in modo di proteggerla da egisto, spingendo il fratello oreste a ucciderla. elettra è la figlia accecata dalla devozione, che non si fa scrupoli a far continuare a versare il sangue della sua famiglia.

la prima elettra di questa serie è caterina, protagonista del racconto l'olivastro di marta zura-puntaroni, il primo episodio di questa serie. figlia del sud, trapiantata controvoglia al nord in cerca – ancora – di sé stessa. caterina è una pianta sradicata dalla sua terra che anela al ritorno, è un albero forzato a crescere in una direzione che non avrebbe mai preso se libero.
e come tutto quello che è costretto ad abitare luoghi sbagliati, caterina vive male. la sua vita è fatta di scelte compiute nel nome del buon senso e del “cosa direbbero gli altri”, così asseconda la decisione della madre di spedirla a milano a studiare giurisprudenza per quieto vivere e così finisce per stare insieme a matteo, il brillante, perfetto studente che si laurea in tempo con il massimo dei voti, che sa sempre cosa dire e come comportarsi. caterina è tutto il contrario della perfezione e soffoca in una città in cui non riesce ad ambientarsi, senza trovare le persone con cui costruire rapporti sinceri che possano migliorare un po’ le sue giornate.
è per questo che caterina torna a casa: torna alla sua terra, ai suoi ulivi e soprattutto torna da suo padre, l’unica persona che l’abbia capita e accettata per quella che è:

“cateri’, tu non sei come quelli lì, non sei un ulivo, ma a te che te ne frega di stare in fila e farti tagliare i rami, no? non ti preoccupare se gli altri fanno più frutti, le continuò, tu almeno sei tutta intera, tutta tu, te ne stai per la macchia a farti i fatti tuoi, e sei bella e selvatica, non ti sei fatta tagliare i rami per mettere quelli addomesticati, no?”

caterina e suo padre parlano una lingua tutta loro, una lingua fatta di alberi e frutti e terra, una lingua che li unisce nella stessa passione, una lingua capace di descrivere il mondo e di modellarlo come piace a loro. è un rapporto bellissimo il loro, fatto di comprensione, complicità e silenzio. e la loro storia - un modo bellissimo di iniziare un progetto così interessante e promettente - porta a un finale sorprendente che sconvolge lә lettorә e che ha bisogno di tempo, di qualche rilettura prima di mostrare il suo vero significato.

di elettra, caterina, padri e figlie parliamo con olga campofreda e eloisa morra, curatrici della collana e marta zura-puntaroni autrice de l’olivastro. buona lettura!

ciao a tutte, grazie mille di essere qui e benvenute su claccalegge! parliamo di elettra, il vostro progetto nato con effequ: spiegateci di cosa si tratta e come è nata l'idea di questa "serie"
Eloisa: L'idea di Elettra nasce dal dialogo su padri e patriarcato iniziato quasi tre anni fa con Olga, a cui mi legano tante passioni (femminismo, scrittura, ricerche sulle voci d’autrice). Ci aveva colpito in particolare il fatto che si trovassero un sacco di studi e testi sulla figura della madre e sull'evoluzione del materno, molto meno invece sui padri, e in particolare su come scrittrici contemporanee stessero iniziando a portare avanti riflessioni nuove, che inquadravano i padri e le figlie da angolature inusuali. Ci era poi capitato di imbatterci in romanzi in cui nuove figure di padri — decisi ma anche fragili, assenti, scomparsi o fantasma — apparivano di sguincio, come in attesa di essere sviluppate ulteriormente. Quale migliore occasione di un progetto editoriale?

Olga: una cosa molto importante per il discorso del progetto io e Eloisa ce la siamo detta dopo aver letto il bellissimo saggio di Katherine Angel, Bella di papà. Angel scrive in un mondo post #metoo in cui già da molto presto le giovani donne iniziano a prendere consapevolezza della propria condizione e del proprio ruolo di genere. Questo ha comportato un allontanamento dalla famiglia e soprattutto da quei padri verso cui il mito invece le avrebbe fatte tendere. Nel libro di Angel i padri innamorati sono come amanti abbandonati. Questo era un ripensamento interessante. Qualcosa di collaterale che si andava ad aggiungere ai discorsi più diffusi sulla lotta al patriarcato. Quali altre alternative al mito avremmo potuto trovare, in un mondo in cui la femminilità è sempre più consapevole? Questa è la domanda che in diverse forme abbiamo fatto a tutte le nostre Elettre.

Eloisa: Si, Angel è stata una lettura decisiva, come pure naturalmente tutto il dibattito seguito al #Metoo. Parlare di padri significa, in un certo senso, anche ridiscutere il rapporto con l’autorità in senso latto, e in particolare la figura del maestro, spesso e volentieri problematica.
perché avete scelto di intitolare la collana proprio a elettra, una figura che incarna lo stereotipo dell'attaccamento al padre?
Eloisa: Perché ci piaceva l'idea di poter giocare con le cristallizzazioni mitiche, rovesciandole. Elettra è un modo per ridare voce non solo alle figlie, ma anche per liberare i padri da stereotipi tossici (mascolinità come sinonimo di forza, mancanza di espressione dei propri sentimenti). In un certo senso ci piaceva anche l'idea di ri-includere nel discorso pubblico le figure dei padri (maschi cis di mezza età), liberandoli dalle loro armature-prigioni.
perché avete pensato di affidare queste riflessioni a una serie di racconti e non, ad esempio, a un saggio?
Eloisa: Perché pur essendo delle ricercatrici ci sembrava fondamentale uscire dalla prospettiva degli studi accademici per raggiungere un pubblico ampio. Poi ci piaceva l'idea di Elettra come avventura collettiva, con racconti scritti da autrici di varie generazioni, dalle voci forti per originalità letteraria. E quale formato migliore del racconto, declinato nel libro di piccolo formato, da far girare di tasca in tasca? L'idea ci ha (scusate il gioco di parole) elettrizzate!
elettra ha un'altra particolarità, non è una collana ma una serie e sul sito dell'editore, infatti, l'olivastro è presentato come "stagione 1, episodio 1". cosa si intende per serie in questo caso?
Olga: A me piace pensare a un’antologia diffusa, in cui gli episodi affrontano la tematica del paterno attraverso diverse voci e diverse angolazioni. Il lavoro fatto a monte, sulla selezione delle scrittrici, è stato molto bello e valido. Abbiamo innanzitutto mappato il territorio delle voci femminili nella letteratura italiana contemporanea e poi ci siamo soffermate su chi tra queste nei loro lavori aveva lasciato trapelare di aver qualcosa di nuovo da dire sull’argomento. Con Marta, per esempio, è stato veramente folgorante.

Eloisa: Ci ha entusiasmato l'idea di un progetto a termine, con episodi di altissima qualità, un'antologia disossata quasi. Elemento di novità che abbiamo sottolineato scegliendo di tenere la stessa immagine di copertina, creata dalla talentuosa Carla Indipendente, per tutti gli episodi della serie (in stile Netflix). A variare sarà soltanto il colore. L'invito è a collezionarli tutti!
come avete scelto marta per il primo episodio di questa serie?
Olga: A me erano piaciuti da morire i suoi libri per Minimum fax e nel secondo, in cui si parla tanto della linea femminile della famiglia, ci sono in verità alcune scene dedicate al padre e alla famiglia del padre che sembravano sospese nel tempo. Avevano qualcosa di atavico che poteva essere interrogato ulteriormente. Il contrasto era quello tra le donne emancipate che si muovevano sulla scena e un padre accennato, marginale, ma con un legame fortissimo alla terra e alle tradizioni. Motivo che torna in parte nell’Olivastro, forse con maggiore empatia.

Eloisa: Concordo, Olga aveva recensito il secondo romanzo di Marta e anche per me è stata una folgorazione. C'era un nucleo immaginativo che andava ulteriormente sviluppato ma era già lì. Credo l'Olivastro delinei un piccolo mondo in pochissime pagine, e che difficilmente i lettori lo dimenticheranno.
la copertina presenta una donna che si scioglie i capelli e dalla sua treccia disfatta cade un omino piccolo piccolo. io c'ho letto un miliardo e mezzo di simboli e mi sono fatta un'idea che non so quanto sia sensata, ma spiegateci voi quest'immagine cosa rappresenta e perché l'avete scelta per elettra.
Eloisa: Si, è un'immagine bellissima, stratificata. Ci siamo imbattute nel lavoro di Carla Indipendente un po' per caso, su Instagram: è stato subito un sì tanto da parte mia che di Olga e degli editori! Credo Carla abbia tradotto in modo impeccabile il nucleo del progetto, l'idea cioè di scrollarsi di dosso una volta per tutte gli stereotipi sul paterno. Le nostre Elettra non sono arrese né pregiudizialmente contro il maschile, ma rivendicano la possibilità di ridisegnare da capo i rapporti tra padri e figlie. Vera Gheno recentemente ricordava il ricorrere nel discorso pubblico della parola "mammo", come una diminutio: quando invece ci si trova semplicemente davanti a padri attivi, presenti bella vita emotiva e intellettuale delle figlie.
marta, per te come è stato ricevere l'invito a inaugurare questo progetto?
Marta: Allora, io non mi ero confrontata molto spesso con il genere racconto, quindi ho detto di sì con l’intima speranza che la cosa come dire, naufragasse o che trovassero scrittrici più interessanti di me e si scordassero di avermelo chiesto. Non è successo e anzi hanno trovato l’ottimo sostegno di effequ che per motivi sia personali che di politica editoriale è una delle mie case editrici del cuore, quindi a quel punto non potevo più tirarmi indietro. Fortunatamente Caterina e Paci’ si erano iniziati a formare nella mia testa autonomamente, senza che io ci pensassi troppo, quindi quando si è concretizzato il progetto c’era già una storia da raccontare.
come dice eloisa, ne l'olivastro c'è un mondo intero, quello della campagna, degli uliveti, di una saggezza e una conoscenza precisa. c'è un che di biografico in questa ambientazione?
Marta: Ovviamente sì. Sono sempre stata attaccata alle Marche (la mia regione di origine) ma più passa il tempo e più la campagna/provincia stanno diventando per me importanti a livello di narrazione. Come lettrice non tollero più i romanzi ambientati a Roma/Torino/Milano, i personaggi con le velleità intellettuali che ricalcano le velleità intellettuali di chi li scrive, il pensare che l’Italia sia tutta concentrata nelle tre città più grandi quando di base il 90% dei suoi abitanti vive in provincia. Quindi non ho potuto fare altrimenti che scrivere qualcosa di ambientato in campagna, con persone che non hanno altro desiderio che restarci.

Eloisa: Pienamente d'accordo con Marta sul valore narrativo della provincia (che, come ricordava in una recente presentazione, è molto più stratificata di quanto si immagini) e sulla necessità di staccarsi dal racconto dell'individualismo borghese per aprirsi a racconti più corali.

Olga: Con Elettra vogliamo avvenga questo: offrire una riflessione su alcuni paradigmi che stanno cambiando e ci interessano da vicino, dal punto di vista antropologico ed esistenziale.
la figura paterna non è per forza una figura negativa, ad esempio, paci' non lo è anche se forse lo si potrebbe dire assente quando avrebbe potuto aiutare la figlia a mantenere salde le sue decisioni (senza fare troppi spoiler)
Eloisa: Concordo in pieno sul fatto che non tutti i padri sono modelli negativi, e ci mancherebbe. Se posso permettermi un po' di autobiografia, nel mio caso lavorare a questo progetto è stato anche un modo di ritrovare mio padre, con cui parlavo spesso di scrittura e di questioni legate alla parità di genere e ai rapporti tra i sessi.
marta, nel tuo racconto ho letto anche la voglia di ribaltare alcuni pregiudizi, ad esempio sulla "nobiltà" di alcuni mestieri rispetto ad altri o sul rapporto tra città e provincia…
Marta: Le persone che scrivono sono spesso persone che vorrebbero lavorare nell’ambiente intellettuale - accademia, editoria, giornalismo, ecc. - e che quindi hanno come unico orizzonte narrativo quello, narrare persone che fanno quei lavori o che se non li fanno non li fanno perché non ci sono riusciti. Il “contadino” è sempre colui che avrebbe voluto studiare, avrebbe voluto fare altro ma per motivi socioeconomici non ce l’ha fatta. Ero stanca di questa idea, dell’idea che l’unico lavoro desiderabile e degno fosse quello intellettuale. Così la questione della città: sembra che i libri siano tutti ambientati sempre nelle stesse due o tre città d’Italia, la provincia è solo il posto gretto e chiuso da cui i fortunati riescono a fuggire e in cui gli sfortunati si trovano a soffocare. Non è un tipo di narrazione che mi rappresenta, e penso che sia evidente dai “ruoli” invertiti che hanno campagna e metropoli nel libro.
come si diceva all'inizio, nella narrativa il "padre" è spesso una figura lontana dal vissuto reale: penso alle favole in cui questi padri buoni, ad esempio, si risposano con donne crudeli e non si accorgono delle vessazioni subite dalle figlie, un po' come paci' che non riesce a far scontenta la moglie anche se va contro i desideri, che conosce bene, di caterina.
Marta: Io con Paci’ ho voluto riprendere un po’ la figura paterna che accompagna i miei due libri precedenti - che è quella che è plasmata su mio padre - e chiedermi come sarebbe stata se non avesse avuto quella serie di obblighi e pressioni patriarcali che l’hanno portata a essere il classico padre incapace di dialogo e di mostrare emozioni. E da lì è stato naturale vedere come il patriarcato non è una questione di singola persona, di singolo padre, ma come anche una madre può essere ancella del patriarcato, pretendere un addomesticamento del femminile selvaggio.
il rapporto tra paci' e caterina infatti è tutto giocato su quella sintonia che porta a comprendersi anche senza il bisogno delle parole, come se il cordone ombelicale fosse stato tra loro due più che tra figlia e madre... e poi alla fine questa comprensione reciproca di desideri porta a una conclusione della storia che - non faccio spoiler! - ammetto mi ha parecchio stravolta!
Marta: È un racconto ctonio, con personaggi femminili quasi repellenti a tratti e un personaggio maschile invece benevolo. Mi piaceva ribaltare la forma matriarcale del romanzo precedente, mi piaceva mettere un padre buono, mi piaceva soprattutto avere un personaggio femminile antipatico, scontroso, cosa che è raramente concesso ai personaggi femminili che devono essere sempre “piacevoli” - o sexy o intelligenti o simpatici o tutte queste cose assieme, mentre i personaggi maschili più sono abbietti e più piacciono. Caterina, mi sono resa conto poi, anche da semidivinità ctonia come io ho finito per pensarla, repelle il male gaze, ed è proprio il suo scopo. Sulla conclusione posso solo dire che è la prima scena che mi è venuta in mente, come i personaggi si sono presentati. Da lì ho dovuto fare un percorso a ritroso per capire chi erano e cosa era successo.

Eloisa: Concordo, l'Olivastro pare parli in modo diverso a ognuno di noi, e come il male gaze interiorizzato sia parte di alcune donne, non solo di uomini di alcune generazioni.

Marta: La madre di Cate è l’esempio di patriarcato portato avanti dalle donne, quelle che impastoiano altre donne negli stessi obblighi che hanno subito e che le rassicurano.

Eloisa: Purtroppo si, e credo L'Olivastro parli a molte di noi perché questi tentativi di ‘addomesticarci’ da parte di altre donne li viviamo in modo quasi quotidiano…
elettra, dicevate, sarà una sorta di antologia a episodi: sapete già quanti saranno? e magari potete anticiparci qualcosa sulle prossime uscite?
Eloisa: Per adesso vogliamo restare nell'ordine della decina, con autrici di generazioni diverse. Alterneremo fiction a non fiction, e speriamo che questo sia utile a tradurre una pluralità di angolature. All'Olivastro seguirà un testo di Francesca Manfredi, Bestiario Parentale, un personal essay molto avvincente sull'etologia del materno vs paterno; anche in quel caso, un ribaltamento. Con Francesca Scotti invece torneremo alla fiction, attraverso un testo corale molto delicato sull'età di passaggio (di qui il complicato rapporto coi padri) che è la prima adolescenza. E poi Alessandra Sarchi, altra scrittrice dall'immaginario molto visivo, denso, che in passato aveva riflettuto sul materno. Ho già detto troppo! ;)
com'è nata la collaborazione con effequ?
Olga: Di effequ abbiamo sempre amato l’attenzione alle questioni di genere e al dibattito contemporaneo. In particolare, il modo che hanno - soprattutto nei saggi pop - di intercettare temi importanti di questa società in cambiamento senza banalizzarli ma immettendoli nel discorso di oggi.

Eloisa: L'incontro magico con effequ è nato attraverso Olga, ed è stata sintonia immediata. Apprezziamo tantissimo la loro selezione di titoli, l'attenzione alle questioni di genere e la loro idea di editoria resistente. Ne è prova l'investimento sulla serie, un progetto molto ambizioso su cui il dialogo è costante.
elettra riprende il piccolo formato che negli ultimi anni ha avuto molto successo e lo articola in un modo nuovo, cioè quello della collezione di libretti che insieme formano un corpus unico: questa è stata una scelta vostra o dell'editore?
Olga: Scelta collettiva direi.

Eloisa: Concordo, collettiva. Il formato libretto da collezione ci è parso molto più atto a intercettare i bisogni attuali (rapidità di lettura, agilità del formato, riconoscibilità) che non l'antologia old school.

Olga: Sì, ci sembrava dinamico e poi metaforicamente ci piaceva anche l’idea di sollevare pensieri che ti si infilassero in tasca, accompagnandoti per un’intera giornata.

Marta: Sono d’accordo, l’antologia è un formato pesante e che non rende, sia a livello economico che a livello letterario. Appiattisce i testi, interessa ormai poco. Mentre questa scelta dei libri brevi secondo me è molto bella.
ci saranno anche racconti di esordienti in questa prima stagione di elettra?
Olga: No. Non abbiamo pensato ad esordienti perché una delle caratteristiche di Elettra è la riconoscibilità della voce e del punto di vista di autrici che ci sono piaciute e che, appunto, si erano già mostrate tangenti al tema di riferimento. Toccava solo tirarglielo fuori!

Eloisa: In un certo senso ogni Elettra è frutto di un riconoscimento reciproco! E anche l'idea di spingere autrici di cui apprezziamo le voci a confrontarsi con un formato nuovo: racconti per cui scrive romanzi, non-fiction per chi lavora con la fiction (e viceversa). :)

Marta: Naturalmente per me è stato molto bello vedermi riconosciuto uno sguardo potenziale sul paterno da far evolvere in questo progetto, e ringrazio tantissimo Eloisa e Olga per aver pensato a me come prima autrice. Come ho detto all’inizio ero molto intimorita dal racconto, era una forma letteraria che non avevo mai sentito mia - ma la storia di Paci’ e Cate è arrivata molto prepotentemente e aveva proprio il ritmo adatto, e sono davvero soddisfatta del risultato.
se non avessi letto l’olivastro proprio pochi giorni fa, adesso sarei curiosissima di buttarmi a pesce nella storia di caterina! quindi vi ringrazio tantissimo del vostro tempo e di questa bellissima chiacchierata e vi auguro imboccallupo per questo progetto!
Olga: grazie dell’opportunità!

Marta: grazie a te!

Eloisa: grazie ancora!

domenica 19 marzo 2023

gli incompiuti

"non ricordo chi di noi due sia scomparso, quel giorno. so solo che questa storia comincia da una morte".

questa storia comincia con una morte, come fanno tante altre storie. un omicidio - o un suicidio? - in una casa bianca, avvolta da una tempesta di neve.
il bianco e il rosso e gli occhi delle volpi e poi un profumo di agrumi e un maglione rosa. un delitto su cui indagare che è una storia che ne contiene altre, e in ogni storia, in ogni racconto che si incastra nell'altro come una serie di scatole cinesi. ogni volta tornano gli stessi elementi però tutto è rimescolato, sfalsato, come se la realtà si riflettesse in specchi deformanti che la restituiscono simile ma mai uguale alla prima versione che abbiamo conosciuto.

la prima versione, dico, perché non è detto che ci sia una realtà più reale delle altre.
e non è detto che ogni racconto segua quello precedente sulla stessa linea temporale e così è difficile capire chi scrive di chi e quando lo fa, quale sia l'invenzione e quale il fatto, se mai il fatto sia mai stato tale davvero. se mai l'invenzione abbia meno importanza perché tale.
i personaggi si sovrappongono uno all'altro deviando e confondendo le trame in un gioco di rimandi che complica e aggroviglia il corso degli eventi.
gli incompiuti è un thriller atipico che mischia gli elementi classici del giallo e del noir a quelli della letteratura weird e dà vita a una storia - a più storie - da cui è impossibile distrarsi fino all'ultima pagina.

post pubblicato in origine su instagram.

mercoledì 8 marzo 2023

il parnaso ambulante

"un'avventura che si era iniziata come uno scherzo o un capriccio diventava ora per me l'essenza della vita"

un giorno d'autunno, la vita di elena mcgill cambia improvvisamente. e cambia come se fosse una bazzecola, una cosa da poco, una vacanza dalla solita monotonia.
elena vive in una fattoria col fratello andrea, da qualche anno il più noto scrittore contadino del new england: andrea viaggia, riflette, assapora il mondo e poi lo mette nei suoi libri. elena, invece, continua la sua vita da contadina: il pollaio, la cucina, il pane da sfornare, i dolci, i calzini da rammendare, le lettere con le proposte editoriali per andrea da buttare nel camino nella speranza che quel testardo la smetta di perdere tempo a fare lo scrittore e torni a darle una mano alla fattoria proprio come era un tempo.

per quindici anni va avanti così la vita di elena, fino al giorno in cui davanti alla fattoria non arriva un buffo ometto con la barba rossa e pochi capelli in testa, seduto a cassetta di uno strano carro, qualcosa di mai visto: parnaso ambulante di r. mifflin - buoni libri da vendere - shakespeare, charles lamb, r. l. s., hazlitt, e tutti gli altri. il signor mifflin - una volta professore - è un libraio itinerante e il suo parnaso è la più incredibile libreria ambulante, dotata di ogni comfort (cane compreso) e ovviamente di una vastissima e curatissima selezione di libri. ma il signor mifflin è deciso a vendere il suo parnaso per tornare nella sua casa d'infanzia a brooklin e mettersi finalmente a scrivere il libro che ha in testa da anni. e il signor mifflin ha letto le opere di andrea mcgill ed è sicuro che non esiste persona migliore al mondo a cui offrire la sua libreria ambulante.
orripilata alla sola idea di tutte le incombenze che cadrebbero sulle sue spalle se andrea partisse con quello strano carrozzone, elena decide che è meglio acquistare lei stessa il parnaso. e magari partire per qualche giorno, tirare un bello scherzo al fratello, così che magari si renda conto di quanto sia importante il suo lavoro alla fattoria!

e così, come fosse uno scherzo, la vita di elena mcgill, una corpulenta signora di campagna di trentanove anni, viene stravolta dall'apparizione di un ometto capace di far innamorare chiunque dei libri, di un grosso carro sgangherato e pieno di tomi di ogni tipo, di un cavallo e di un cane.
da quel momento elena vivrà - insieme al professore mifflin - avventure che non avrebbe mai osato immaginare, scoprirà un nuovo amore per la letteratura e la poesia, guarderà i meravigliosi paesaggi che le si sveleranno uno dopo l'altro lungo la strada con occhi nuovi e capirà che mai - e per nessuno - è troppo tardi per cambiare la propria esistenza e cercare la propria felicità.

non avrei mai pensato che un libro scritto da un uomo nella prima metà del secolo scorso poteva essere così azzeccato per un giorno come l'8 marzo, eppure: elena è (con tutti i limiti che, appunto, si possono intuire in un romanzo che ha più di un secolo) una donna adorabile, una rivoluzionaria senza slogan. nonostante l'età, nonostante non sia una snella e avvenente fanciulla, nonostante i tanti anni passati a impastare dolci e pane, nonostante sappia benissimo quale sia il suo ruolo, elena ci mette un momento appena a mandare tutto all'aria, prendere le redini della sua vita (e quelle del buon pegaso, il cavallo del parnaso) e stravolgere tutto, felice di poter essere felice in quell'avventura - che sarà da quel momento in poi per tutta la sua vita:
"era un paesaggio perfetto: i boschi tutti bronzo e oro; e le nuvole, d'un bianco di neve, parevano un celeste bucato appeso nell'aria; il sole era caldo, e nuotava glorioso in un arco di superbo azzurro; il mio cuore era veramente sollevato. per la prima volta, credo, capivo ciò che provava andrea nei suoi vagabondaggi. perché tutto questo mi era stato tenuto celato prima? perché il trascendente mistero del cuocere il pane mi aveva così a lungo accecata di fronte ai misteri del sole e del cielo e del vento tra gli alberi."
post pubblicato in origine su instagram.

lunedì 6 marzo 2023

la boutique del mistero

"quella cosa che tu vedi spuntare dalle acque e che ci segue, non è una cosa. quello è un colombre. è il pesce che i marinai sopra tutti temono, in ogni mare del mondo. è uno squalo tremendo e misterioso, più astuto dell'uomo. per motivi che forse nessuno saprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l'ha scelta la insegue per anni e anni, per una intera vita, finché è riuscito a divorarla. e lo strano è questo: che nessuno riesce a scorgerlo se non la vittima stessa e le persone del suo stesso sangue."

trentuno racconti brevissimi, trentuno instantanee in cui è difficile stabilire se è la realtà a svelarsi nella sua surreale essenza al linguaggio o se è questo a trasformarla in un sogno inquietante. ma ha davvero importanza? l'ineluttabilità, il destino, l'inganno, il senso del mistero e dei significati nascosti dietro le cose e le parole: c'è questo e molto di più in questa boutique in cui buzzati raccoglie storie che vuole rappresentino il meglio della sua produzione. per me, che scopro quest'autore proprio con questo libro, è impossibile capire in che rapporto stanno questi racconti con il resto delle sue opere, ma sono bastati i primi a convincermi a recuperare il deserto dei tartari.
la scrittura di buzzati è semplice ma capace di evocare, in poche righe, mondi e interi sistemi di pensiero capaci per qualche momento di prendere il posto di quelli che siamo abituati ad abitare: nell'assurdo che le sue parole costruiscono ogni elemento sta al suo posto, la coerenza perfetta delle regole che inventa ci permette di fare nostra qualsiasi realtà.
una scoperta tardiva la mia ma apprezzatissima: questo sarà solo il primo, voglio recuperare tutto il resto di quello che ha scritto, se è tutto a questo livello non può che valerne la pena!

post pubblicato in origine su instagram.