la bambina dondolava le gambe, toccando lievemente con gli alluci la superficie gelida del mare. gli isolani la chiamavano jadranka, come il mare adriatico. sapevano, in qualche misura, che il suo vero nome era un altro; ma non lo pronunciavano. jadranka era (anche) una bambina. sapeva far saltare i sassi piatti e lucidi sulla cresta dell'onda e guardarli disegnare ombre bizzarre sul fondale trasparente. cercava stelle comete nel cielo di agosto e chiocciole nella terra rossa. quando il giorno fosse nuovamente sorto, i suoi giochi sarebbero riprendi da dove dove erano stati interrotti, come se non se ne fosse mai allontanata.
è arrivata l'estate e la guerra ormai è finita da un anno.
è il 1996, siamo in croazia, a preko, un piccolo paesino che si bagna i piedi nel mare e cerca di curarsi le ferite dopo il conflitto.
la pace è arrivata da troppo poco tempo perché il dolore si sia assopito e la vecchia petra sa che ognuno ha i suoi morti da piangere. a lei, la guerra ha restituito suo marito joso e non le ha tolto nessun figlio.
eppure anche lei ha perso una persona cara, la vecchia suocera che negli anni era diventata come una seconda madre e che adesso ha lasciato nella sua vita un'enorme assenza.
petra pensa al dolore degli altri e tiene nascosto il suo, certa che nessuno la capirebbe. si sente isolata, sente un vuoto nella quotidianità eppure i giorni passano uno dopo l'altro, come se al resto del mondo non importasse nulla, fino al giorno in cui non arriva marina, la giovane nipote di petra e joso, anche lei viva dopo il conflitto, anche lei con una voragine che le squarcia cuore e memoria e il bisogno di colmarla.
è per loro che appare jadranka, una bambina misteriosa che bambina in realtà non è e non è neppure un fantasma: jadranka è la materializzazione del bisogno di riempire quei vuoti che sono rimasti nell'animo di chi ha perso qualcuno, una consolazione nata dal bisogno a cui non bisogna affidarsi troppo a lungo per non perdere il contatto con la realtà.
jadranka aiuta come sa petra e marina a guarire dal loro dolore, lo fa con l'aria innocente di chi è nato dalla sofferenza ma da quella sofferenza è immune, di chi non sembra neppure conoscerla, proprio come la bambina di cui ha le sembianze.
ma sta a loro due, zia e nipote, e al rapporto che piano piano sapranno costruire imparare ad accettare la perdita e trovare il modo di andare avanti, e di farlo insieme, finalmente non più sole.
creature dell'assenza è un racconto dolce e malinconico come un tramonto di fine estate, una storia che parla con delicatezza dell'affrontare il dolore, di saperlo condividere con gli altri e imparare ad accettarlo senza farsene sopraffare.
il mare, i paesaggi della croazia e la sua storia, le case sopravvissute alla guerra e abitate da gente semplice e di buon cuore si tingono di un realismo magico appena accennato, che si riflette in alcuni tratti teriomorfi dei personaggi, dettagli appena percepibili delle loro morfologie e impersonato ancor di più da jadranka e da altre creature come lei, nate dalle assenze che non riusciamo ad aspettare, generate dal bisogno di consolazione che ognuno ha davanti a eventi disastrosi come la guerra.
gloria bernareggi e sephira riva danno vita a una storia che sa mettere insieme realtà e immaginazione, leggera come una carezza ma mai superficiale, con uno stile attento che condensa in meno di ottanta pagine il dramma e la rinascita di due donne.
• un allegro nichilismo cosmico •
ero in casa che non facevo nulla quando mi telefonò daria per dire che era da andrea e chiedere se volevo raggiungerli per un kebab. dal tono sembrava seccata, le chiesi che avesse e lei rispose che andrea era un deficiente.
è tornato alessandro sesto e io non potevo essere più felice! un allegro nichilismo cosmico è un racconto divertentissimo, una storia in cui fantastico potrebbe esserci o forse no, chi lo sa? e soprattutto, a chi importa davvero?
nicolas è un trentenne nullafacente e cazzeggione che passa la sua esistenza a ciondolare tra un lavoretto precario e una serata con gli amici di sempre, daria e andrea.
è durante una di queste serate che andrea racconta di un incontro quantomeno bizzarro avvenuto il giorno prima. era a una mostra d'arte quando un uomo lo aveva avvicinato e dopo le prime chiacchiere gli aveva confessato di essere stato quasi rapito da alcune persone che si dichiaravano agenti segreti americani che operavano per il bene dell'umanità e che dovevano portarlo con loro a washington perché, a detta loro, lui era un ipnotizzatore e bisognava che loro controllassero le sue capacità per evitare che, tramite l'ipnosi, potesse controllare gli uomini più potenti del mondo e cambiare il destino dell'umanità a suo piacimento. lo sconosciuto, alla fine, sosteneva di essere davvero un ipnotizzatore e di essere riuscito a sfuggire proprio grazie alle sue doti ma andrea non era troppo sicuro di potergli credere. daria è fermamente convinta che l'amico sia un idiota mentre nicolas pensa solo che andrea sia stato vittima di un mitomane parecchio convincente.
eppure, nel giro di pochi giorni, nicolas si ritrova invischiato in un gioco aggrovigliatissimo tra l'ipnotizzatore inseguito e gli ipnotizzati (forse) inseguitori, in cui forse potrebbe salvare il mondo da un pericolosissimo individuo dotato di poteri straordinari o forse è solo vittima di una mandria di complottisti che hanno passato troppo tempo su internet a leggiucchiare robe strane sui siti sbagliati.
il racconto di sesto è esattamente quello-che-immaginavo-alessandro-sesto-poteva-scrivere-se-avesse-scritto-una-roba-fantastica, una storia divertente e così assurda da essere assolutamente plausibile. mi sono dovuta fermare almeno un paio di volte per ridere immaginando alcune scene paradossali! dei tre primi tardigradi, un allegro nichilismo cosmico è quello che mi sento di consigliare di più anche a chi non ama particolarmente il genere fantastico (e a chi rimpiange ancora gorilla sapiens).
• corpo •
si trattava esclusivamente di un piccolo ritardo. forse centesimi di secondo. un tempo quasi non misurabile, e poi c'era, è ovvio, la questione dell'odore. o meglio della sua mancanza.il resto era identico a ciò che era stato quando era un essere umano.
il terzo tardigrado rappresenta una delle declinazioni meno rosee del fantastico, l'incontro tra biologia e tecnologia che si fa inquietante quando i presupposti etici su cui tale incontro si basa sono così lontani dalla nostra esperienza da non essere mai stati abbastanza discussi, pensati, neppure immaginati. corpo è quasi un episodio di black mirror. disturbante fin dall'inizio, silvio valpreda ci accompagna, seguendo i pensieri della protagonista, in una spirale discendente di angoscia, ossessione e paranoia.
alessandra e il suo compagno hanno avuto un incidente in moto. un incidente letale.
miracolosamente però, alessandra ne è uscita praticamente illesa e, per salvare il suo compagno, ha deciso di autorizzare il trasferimento della sua coscienza in un corpo artificiale.
adesso lui è ancora lui, in tutto e per tutto o quasi. alessandra non gli ha mai detto la verità e lui non sembra neppure sospettare cosa sia successo realmente ma lei è ossessionata non solo dal fatto che quel corpo non sia più lo stesso che amava ma, soprattutto, inizia a temere - e poi a essere praticamente certa - che la stessa cosa sia successa a lei, che qualcuno abbia deciso, mentre era in bilico tra la vita e la morte, di impiantare la sua coscienza in un corpo sintetico, un corpo uguale quasi interamente a quello che aveva e che, ne è sempre più sicura, è andato distrutto nell'incidente.
inizia quindi una sorta di discesa nell'ossessiva analisi di quel corpo così difficile da riconoscere eppure così identico a quello che era prima, al punto di non poter dimostrare nulla.
i pensieri di alessandra iniziano ad arrotolarsi su loro stessi, ad andare oltre la mera storia dell'incidente: cambiare involucro cambia davvero quelli che siamo? cambia le relazioni che abbiamo con gli altri? il corpo è davvero solo qualcosa di materiale dentro cui risediamo o siamo quella carne, quel sangue, quelle ossa? cos'è lui adesso? è un essere umano come prima? e lei? e cosa ne è dei corpi originali nel momento in cui la coscienza è spostata in un simulacro e non può quindi essere celebrata alcuna morte?
se il corpo si può cambiare, spostando la propria essenza dentro un contenitore artificiale così simile a un corpo vero da essere irriconoscibile nella sua artificiosità, allora cosa resta dell'essere umano?
corpo è il più claustrofobico dei tre racconti, una sorta di thriller fantascientifico in cui siamo letteralmente nella mente della protagonista e leggiamo la storia attraverso la lente distorta dei suoi pensieri. anche qui, lo stile e la brevità contribuiscono a far funzionare il racconto, gli danno forza e costringono il lettore a seguire tutto da un'unica, angosciata prospettiva.
• i tardigradi •
i primi tre tardigradi hanno dimostrato che fantastico è più di un semplice genere, è qualcosa che può assumere significati diversi, può essere interpretato da ogni autrice e autore secondo la propria sensibilità, è qualcosa che può divertirci o consolarci o angosciarci. se l'intento era quello di mostrare quanto profonda e multiforme sia la fantasia, eris sembra essere riuscita benissimo fin dall'inizio.
aspettiamo con ansia i prossimi titoli!
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