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martedì 23 agosto 2022

1991

una volta superato il punto di non ritorno la condizione raggiunta diviene irreversibile e tornare indietro non è più un'opzione, ma una disperata necessità che non si avvererà mai.

ci sono estati che sembrano uguali a tutte quelle che hai già passato e invece sono completamente diverse.
ma in realtà non è di certo colpa dell'estate.
e, a dirla tutta, non è nemmeno colpa tua.
è che stai crescendo, stai cambiando, stai diventando qualcosa che non sai ancora. sei stranə e diversə ma non riesci ancora a capirlo e allora succede che tutta quella stranezza e diversità la fai riflettere sul mondo esterno e quando ti rimbalza contro inizi a non raccapezzarti più su cosa sta succedendo.


questo, più o meno, è quello che capita ad armin nell'estate del 1991.
come ogni anno, è andato con i suoi genitori e la sua sorellina minore in vacanza al lago e, come ogni anno, ha incontrato gli amici di sempre - gli altri che come lui trascorrono le vacanze sempre nello stesso posto e chi lì ci vive tutto l'anno - e ha conosciuto "quelli nuovi", quelli che al lago ci sono arrivati per la prima volta.


quella del 1991 è l'estate delle prime sigarette, dei primi maldestri approcci con l'altro sesso - mediati dalle videocassette porno e da qualche imbarazzante pomiciata - del primo giro in discoteca che non sai bene cosa fare in mezzo a quel casino.
è l'estate delle cose nuove che si mischiano a quelle vecchie, i giochi che facevi da bambinə, i tuffi a bomba in piscina e le raccomandazioni dei genitori.
quella del 1991 potrebbe essere una qualsiasi estate di unə qualsiasi adolescente, una di quelle che poi ricordi con (poca) nostalgia e (molto) imbarazzo e invece, poche settimane dopo, qualcosa arriva a sconquassare per sempre l'esistenza di armin: una telefonata, la notizia di un suicidio e il dubbio/certezza/paura che la colpa sia sua.

quella del 1991 diventa così l'estate che cambia tutto, il punto di non ritorno, il momento esatto in cui non soltanto si esce dall'età d'oro dell'infanzia ma si entra in quella adulta con un carico enorme sulle spalle, quintali di dolore, rimorso e impotenza di cui ci si riesce a liberare.


passano gli anni e armin è diventato un ragazzo chiuso, di poche parole e quelle poche che ha, preferisce affidarle alla carta, alle sue storie invece che alle altre persone. non sa parlare di quello che è successo e men che mai del senso di colpa che lo accompagna da anni, non sa farlo fino al momento in cui non decide che l'unico modo è lasciar passare tutto il dolore attraverso la matita, trasformare i ricordi in una storia, scriverli e disegnarli.


1991 di armin barducci diventa così molto più di un racconto, di una storia di formazione, persino di una confessione: 1991 è una terapia, un rituale catartico.
la narrazione è una discesa nel pozzo della memoria, un rimestare tra i ricordi che solo verso la fine trova il coraggio di andare oltre la semplice cronaca degli eventi per farsi specchio dell'interiorità dell'autore e trasformarsi ancora da racconto a dialogo, tra l'armin di ieri e quello di oggi.
un dialogo in cui al lettorə è lasciato lo spazio per riuscire, anche ləi, a perdonarsi ogni vecchio errore.

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