«non sappiamo nulla della vita delle cose»
un qualche inverno in una milano di un imprecisato - ma spaventosamente facile da immaginare - futuro.
nigredo e olivia iniziano la loro indagine su un gruppo di cadaveri di donne abbandonate alla periferia dei campi industriali.
ma di quell'indagine né nigredo né olivia capiscono davvero il perché: nessuno reclamerà mai giustizia per quelle donne perché non sono donne. sono cavie, sono cose.
le cose non hanno una famiglia, una vita, le cose sono solo cose e in quanto tale si usano, si buttano via quando si rompono.
le cose non hanno bisogno di giustizia.
si apre così avrai i miei occhi di nicoletta vallorani, pubblicato da zona 42 a inizio del 2020, un romanzo che sfugge alle etichette e mette insieme fantascienza, distopia, thriller, femminismo, lotta di classe e uno stile letterario che i puristi della buona letteratura troverebbero troppo raffinato per un romanzo di genere.
narrato tutto in seconda persona - olivia che si rivolge costantemente a nigredo e che in qualche modo segue tutta la vicenda attraverso il suo sguardo - avrai i miei occhi racconta la segregazione sociale di una milano in cui non esiste più nessuna comunità, una città lacerata da mura insormontabili che la smembrano e la indeboliscono e dove l'aria è asfissiata da un onnipresente pulviscolo dorato.
vagabondi, reietti, orfani, straccioni, malati e mutilati. la periferia di una città non è solo i suoi quartieri marginali rispetto al centro, è fatta anche di uomini e donne che si trovano ai margini dell'umanità stessa. la popolazione è ridotta a un'accozzaglia di sopravvissuti, ognuno di loro preoccupato solo di strappare un altro giorno all'inevitabile, ognuno di loro solo, aggrappato - per mero calcolo o per sincera amicizia - a una rete di persone troppo fragile e sparuta per poter essere una vera comunità.
su tutto aleggia un potere senza volto, stretto nelle mani di pochi, inavvicinabili, arroganti e impuniti ricchi che spendono tutte le loro energie nella ricerca di piaceri sempre più estremi e crudeli.
ai cittadini di serie a e a quelli di serie b si affianca tutta una popolazione di non-persone: cloni, cavie, esperimenti effettuati in nome del benessere collettivo che sono stati poi riadattati a ben altro tipo di scopo, quando ormai era troppo tardi per rendersi conto che espressioni come benessere e collettività erano state svuotate di significato.
molte di queste non-persone, molte di queste cose, quasi tutte, sono donne.
tutte uguali, anonime, giovani, bellissime, violate, uccise, distrutte.
donne che però non vengono considerate tali, donne i cui corpi è lecito devastare in ogni modo possibile perché ritenuti poco più che oggetti, contenitori privi di contenuto, carne senza anima.
l'indagine di olivia e nigredo solleverà uno dopo l'altro i veli che coprono una realtà spaventosa, un mondo in cui il potere dato dal denaro riesce a ottenere ogni cosa e in cui la più grande scoperta medica della storia viene pervertita trasformandosi in uno strumento di tortura nelle mani di pochi.
la distopia creata da nicoletta vallorani mette in scena, esasperandoli, temi che continuano a essere al centro delle nostre riflessioni, dalla disumanizzazione e reificazione dell'altro, quella necessità di tracciare una linea precisa che divida noi e loro, processo fondamentale per ripulirci la coscienza ogni volta che contro quell'altro scateniamo la nostra violenza, alla possibilità della scienza di manipolare i corpi, di agire sulla sofferenza, sulla malattia e sulla morte stessa, continuando a superare ogni sorta di ostacolo etico in nome del bene comune, senza immaginare - o voler immaginare - il rovescio della medaglia.
avrai i miei occhi è un romanzo crudo, doloroso, a volte anche ostico - le spiegazioni arrivano tardi e la seconda persona singolare rende confusi alcuni passaggi - eppure magnetico e appassionante.
è una di quelle storie in cui ci si cala presto nei panni dei personaggi e ci si ritrova a vivere nelle loro stesse atmosfere e a condividere i loro sogni e le loro lotte.
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