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giovedì 18 febbraio 2021

commenti randomici a letture randomiche (77)

nuovo post di letture poco coerenti tra loro, tre autoproduzioni, una (la prima) sconsigliatissima, le altre due invece da recuperare assolutamente.

icarus and the sun


menate adolescenziali sull'amore che manco a tredici anni.
però bei disegni.
la più grande fregatura che un crowdfunding mi abbia mai regalato.

quello che c'era una volta


questa invece è stata una bella sorpresa, d'altronde dopo laika sapevo di potermi fidare di studio rebigo, quindi appena ho visto il crowdfunding attivo ho subito partecipato.
quello che c'era una volta non è un fumetto ma un libro illustrato che spiega gli effetti dell'antropizzazione attraverso la rivisitazione di alcune favole e opere letterarie famosissime, tutte entrate nel nostro immaginario collettivo insieme ai paesaggi in cui sono ambientate: cosa sarebbe successo se però quei boschi e quei mari fossero stati quelli di oggi o di un futuro - purtroppo - sempre più vicino?
cappuccetto rosso, moby dick, la sirenetta, tarzan, il barone rampante, hansel e gretel, zanna bianca e molti altri si ritrovano a fare i conti con la deforestazione, l'inquinamento da plastiche, il riscaldamento globale e l'urbanizzazione selvaggia e i loro mondi, quelli che abbiamo sempre conosciuto e immaginato fin da bambini, cambiano completamente aspetto, perdono il loro fascino fiabesco e si scontrano con i disastri del presente.
eppure le loro storie non sono nate in ambientazioni fantascientifiche, quegli oceani, quei boschi immensi che nascondevano misteri e avventure erano reali, esistevano davvero... e adesso?
alla fine di ogni capitolo - ciascuno incentrato su un tema diverso, raccontato attraverso illustrazioni e testi brevi che stravolgono le storie che conoscevamo tanto bene - ci sono alcune pagine di infografiche e note su come l'antropocene sta cambiando la faccia della nostra terra e probabilmente anche il futuro delle nostre storie, su come noi lo stiamo facendo e su quanto è sempre più importante e urgente cercare delle alternative per continuare a immaginare giardini segreti, foreste infinite popolate da ladri buoni, oceani in cui una forchetta è un tesoro inestimabile e non uno tra i miliardi di rifiuti che lo stanno soffocando.

inerti


i fumetti di mammaiuto si comprano a scatola chiusa. e infatti non avevo la più pallida idea di cosa fosse inerti fino a che non mi sono messa a leggerlo, e forse per questo tipo di storie non può esistere approccio migliore.
inerti è un volumetto piccolino, snello, sottile, che si legge velocemente e su cui si possono intavolare discussioni di ore, è come se avesse una massa superdensa che per fortuna samuel daveti non ha diluito in inutili pipponi didascalici e che francesco rossi ha lasciato rendere attraverso i volti dei suoi personaggi e un ambientazione futuristica grigia e claustrofobica.

immaginiamo un futuro non meglio definito in cui il lavoro è stato completamente automatizzato: come cambierebbe il nostro modello economico e sociale se le macchine fossero capaci di svolgere da sole qualsiasi compito? cosa diventerebbe il lavoro umano? su che base si dovrebbe redistribuire la ricchezza? la liberazione dal lavoro salariato sembra la via più facile alla creazione della più felice delle utopie, un mondo in cui gli uomini finalmente non sono più costretti a produrre qualcosa per tirare a campare e possono finalmente godere pienamente del tempo a loro disposizione.
oppure si possono provare a immaginare modi alternativi di tenere sotto controllo una popolazione, si può sempre chiedere qualcosa in cambio di uno stipendio, di un'illusione di certezza, di stabilità, di tranquillità. ed è in questa alternativa distopica che tom, il protagonista di questa storia, si trova a vivere, costretto all'umiliazione di un'asta al ribasso per ottenere un posto di lavoro in cui semplicemente non dovrà fare nulla, un lavoro che è solo facciata, che non gli chiede altro che restare fermo, di essere inutile, inerte, di lasciare trascorrere a vuoto il suo tempo per ricevere poco più di un'elemosina. il bisogno di soldi è ossessivamente presente: erano i soldi a permettergli una vita felice con la famiglia che adesso lo ha allontanato, sono i soldi che deve dare alla ex moglie e alla figlia che lo spingono ad accettare un compito così umiliante, ed è per colpa dei soldi che mancano che è costretto a vivere a casa di sua madre, una donna che non esita un istante a sbattergli in faccia la lista degli errori che ha fatto durante la sua vita e a chiedergli di sloggiare prima possibile.

i soldi sono l'unica possibilità di salvezza per tom, non conosce altro, non riesce a immaginare nessun'altra soluzione, così quando si presenta la possibilità di trovarne tantissimi, non ci pensa due volte a rischiare la vita per ottenerli: una caccia al tesoro all'interno della fabbrica stessa, un labirinto in cui il rumore assordante impedisce a lui e ai suoi improvvisati compagni d'avventura persino di parlare, uno scenario quasi horror in cui non ci sono limiti ai rischi da correre.

inerti immagina un futuro che esaspera gli aspetti più cupi e inumani del nostro presente, in cui, come adesso, non esiste progresso che sappia davvero liberare gli uomini e che anzi non fa che stringere le pastoie in cui sono imprigionati.

mercoledì 3 febbraio 2021

il mare verticale

l'aria la davo così per scontata... non credevo mi sarebbe mancata tanto.

quando arriva, arriva come il mare: buio, immenso, spaventoso, che toglie l'aria. c'è sempre il mare negli attacchi di panico di india, una maestra di scuola elementare che ama i suoi bambini, che scrive per loro storie, che vive una vita semplice e in qualche modo felice e che sta vedendo tutto questo sgretolarsi davanti ai suoi occhi ogni volta che quel mare oscuro arriva improvvisamente a farle visita.
quando succede in classe, davanti ai suoi alunni, le voci che giravano già sul suo conto iniziano a farsi più cattive, più violente, più spudorate, nessuno ha più vergogna di dirle apertamente che è una pazza pericolosa, i genitori dei suoi alunni non vogliono che continui a insegnare, i suoi colleghi temono per il buon nome della scuola, il suo fidanzato non riesce più a capirla, neppure sua madre e suo padre ci riescono più.

india prova a parlarne con un terapista, prova a prendere le sue medicine, prova a farsi capire.
scrive una storia - quella di hava e di un mostro oscuro che non può essere sconfitto ma di cui si può imparare a smettere di avere paura - per cercare di raccontarsi.
perché se è difficile convivere con una malattia, se è difficile stare in mezzo agli altri e sopportare i giudizi, gli sguardi cattivi, le accuse (non è che ci marci su, eh? non è che fai la pazza per stare al centro dell'attenzione? lo fai apposta a prendere le medicine davanti a tutti, vuoi che tutti sappiano, vuoi essere trattata come qualcuno di speciale? lo sai che ognuno ha i suoi problemi, ci pensi mai a come stanno gli altri?), forse la cosa più difficile di tutte è trovare una forma a quel dolore, trovare le parole per poterlo spiegare agli altri e a se stessi, renderlo comprensibile, parlarne e riuscire a farsi ascoltare.


brian freschi e ilaria urbinati ne il mare verticale hanno affrontato con delicatezza e poesia l'aspetto forse più doloroso non solo della dap (disturbo da attacchi di panico) ma di ogni malattia: la difficoltà di relazionarsi con gli altri senza essere bollati da giudizi stereotipati, senza essere accantonati come gli strani, i diversi, quelli che sarebbe meglio non ci fossero.
nei dialoghi, a volte di una cattiveria davvero esagerata, c'è tutto il rifiuto di chi vorrebbe solo nascondere la polvere sotto il tappeto e fingere che la casa sia perfettamente pulita, senza provare nemmeno ad affrontare il problema.
perché il malato è un problema, è strano, è diverso, dà fastidio, urta la sensibilità della brava gente, è pericoloso perché, si sa, chi va con lo zoppo...
il malato sarebbe meglio non ci fosse, o almeno non si facesse vedere troppo in giro.
il malato dovrebbe stare a casa a fare il malato, che alla vita bastano gli altri, quelli sani, quelli normali.

ai disegni invece è lasciato il compito di illustrare l'altalena della quotidianità della provincia, del mare, delle piccole cose belle, normali, piene di vita di ogni giorno e il terrore assoluto che destabilizza india, la sua malattia, spaventosa come un urlo senza suono.


insieme i due autori hanno scritto forse uno dei fumetti più belli (concedetemelo, almeno tra quelli che ho letto io) sulla difficoltà di convivere con una malattia e di affrontarla insieme agli altri, senza retorica sterile o melensaggini inutili, un libro che ci rassicura che anche se non riusciamo a sconfiggere il mostro, non vuol dire che non siamo eroi o che il nostro viaggio non ci abbia condotto da nessuna parte, magari dovevamo solo capire come fare a convivere con quel mostro, provare ad ascoltarlo, a capire che non sempre si può cancellare quello che non va bene, che non viviamo nelle favole e che il lieto fine può essere anche semplicemente un po' meno perfetto, un po' più in sordina, ma non vuol dire che non valga la pena andare avanti anche senza il e vissero per sempre felici e contenti.

tra i tanti libri in cui in questi mesi sono riuscita a trovare qualcosa che sembrava fosse proprio scritta per me (non è forse questo il motivo per cui leggiamo tanto? per conoscerci e riconoscerci, no?) il mare verticale è uno di quelli che mi ha parlato di più.
quale che sia il mostro oscuro contro cui state lottando, la storia di india è un racconto prezioso che potrebbe dire qualcosa di importante anche a voi.

lunedì 1 febbraio 2021

commenti randomici a letture randomiche (76)

ultima goccia

va male.
ero a pezzi e mi hai macinato.
e mi hai infilato nella moka.
e ho ascoltato le riflessioni esistenziali del filtro.
tutte le riflessioni.
a prima vista sembrerebbe la storia di una tazzina di caffè, e in realtà un po' lo è, ma ultima goccia è anche una roba folle, visionaria, quasi da trip (ecco perché non mi drogo, perché leggo fumetti e a volte l'effetto è lo stesso solo che ci sono meno controindicazioni) una riflessione - o un tentativo di riflessione - sulla propria identità, il ruolo che si ha nel mondo, la relazione con gli altri.
andrea de franco sembra che abbia preso una penna, disegnato una tazzina e poi abbia cominciato a improvvisare, con un tratto deciso ma tremolante, una storia in un nontempo e in un nonluogo, un dialogo continuo tra la tazzina e se stessa, tra la tazzina e il caffè, tra la tazzina e la moka e poi ancora alberi, fiammiferi, nuvole, e una materia strana che una volta e terra, poi acqua, poi cielo, poi è una e poi sono molti, e i granelli di caffè e il liquido nero e i cocci di una tazzina rotta, un turbinare di immagini e di trasformazioni fino a che finalmente non si arrivi a una sorta di epifania: forse solo questo volevo fare. far coincidere i confini del mio corpo con i limiti del mondo.

canaglie di tutto il mondo

amiamo i pirati sopratutto perché erano ribelli. sfidavano, in un modo o nell'altro, le convenzioni di classe, di razza, di genere e di nazione. erano poveri e in una condizione miserevole, ma esprimevano grandi ideali. sfruttati e maltrattati dai capitani mercantili, hanno abolito il salario, istituito una diversa forma di disciplina, messo in pratica una loro visione di democrazia e uguaglianza, fornito un modello alternativo per la conduzione del vascello d'alto mare. all'ombra del sinistro mietitore, ne hanno rubato il simbolo e gli hanno riso in faccia. si sono opposti ai grandi e potenti di quei tempi, e per questo sono diventati i malfattori di tutte le nazioni.
questo libro mi ha fatto compagnia da fine ottobre a ora, nelle pause tra un casino e l'altro, in un paio di viaggi e in mezzo ad altre letture ma non è solo per questo che mi ci sono affezionata.
marcus rediker racconta la storia della pirateria con precisione e accuratezza storica, citando tantissime fonti, dagli atti dei processi alla narrativa dell'epoca, eppure canaglie di tutto il mondo non rallenta neppure un momento, si fa leggere più come un romanzo che come un saggio e illumina su tantissimi aspetti della vita di quei personaggi romantici e straordinari di una cultura popolare sempre più globale.
dal come e perché della nascita della pirateria in età moderna, al modo in cui erano gestite le navi pirata, dalla simbologia agli ideali - e alle motivazioni più pragmatiche - che spingevano i marinai ad arruolarsi tra i pirati, dal loro stile di vita ai motivi di chi voleva la loro scomparsa, rediker spiega, cita esempi, smonta stereotipi e in poco più di duecento pagine racconta la storia dei ribelli su cui più si è fantasticato fin dai giorni delle loro imprese.
più che giustificarli e affibbiare loro l'etichetta di vittime di un mondo ingiusto e violento, rediker mette a paragone il terrore da cui si affrancavano e quello che incutevano, invece di mitizzarli, cerca nelle loro vicende l'aspetto sia storico che umano, e quando ne tratteggia i lati più affascinanti non tralascia quelli peggiori.
eppure, nonostante si avverta pagina dopo pagina il tentativo di oggettività, non si può che cedere alla fine e prendere le loro parti in quella guerra tra chi cercava - riuscendoci - di dominare il mondo a scapito dei più deboli e chi invece quell'ordine voleva sovvertirlo, distruggerlo, annullarlo completamente.
mi è piaciuto così tanto che andrei in giro per strada a regalarlo a chiunque.

jones e altri sogni

da un po' di tempo mi succedono delle cose strane.
e potremmo anche fermarci qui.
a jones succedono cose molto, molto strane.
anche lui, un gatto antropomorfo con una benda sull'occhio nonostante non sia cieco, è un po' strano.
jones vive in un mondo onirico anche da sveglio, è circondato da una realtà che si contraddice, cambia forma e dimensioni e che da sogno in un attimo diventa un incubo.

jones e altri sogni è uscito qualche anno fa per rizzoli ma sono riuscita a recuperarlo adesso grazie alla collana visioni (insieme a qualche altro titolo, approfittando sopratutto del prezzo decisamente più conveniente delle edizioni originali, ma l'ho già detto, basta, andiamo avanti) e in realtà raccoglie anche lavori che hanno già abbondantemente superato la soglia dei trent'anni.
per fortuna, nonostante la dittatura bookstagrammer che premia chi sta sul pezzo, i libri belli non hanno una data di scadenza e questo qui è un esempio perfetto - e non solo per le storie di jones - del concetto stesso di racconto surreale o, per fare un po' gli intenditori, di poesia per immagini.
chiamatela come volete, merita.
tantissimo.
matticchio dovrebbe essere materia di studio per chi vuole cimentarsi con il surrealismo a fumetti (sì, cara tazzina, sto parlando proprio con te).