«sei un coglione»
questa cosa, quella di essere solo dei poveri coglioni, dovrebbero ricordarcela più spesso. grazie gipi per il promemoria.
ogni volta che inizio a scrivere qualcosa su un libro di gipi mi viene subito da chiedere scusa perché so che sto per buttare giù un sacco di patetiche stronzate, ma è perché - da cogliona, appunto, quale sono - trovo enormemente difficile esprimere le mie emozioni senza farmi venire voglia di scavarmi una fossa e sotterrarmici, quindi provo a non essere stucchevole e banale e va anche peggio, quindi vabbè, fate conto che l'ho fatto, chiedo scusa, non sarò in grado di continuare questo post in modo decente (ma grazie al cielo dei tre/quattrocento che passano qui ogni giorno sì e no solo sette persone leggono qualcosa, probabilmente per noia, quindi il danno è meno grave di quel che temo).
dicevamo: momenti straordinari con applausi finti. il nuovo libro di gipi, l'ho atteso da quanto ho letto i primi tweet e le prime tavole che ha mostrato, ero sicura che me ne sarei innamorata e che - come ogni amore che si rispetti fa - mi avrebbe fatto male.
c'ho azzeccato. è l'unica cosa in cui sono mediamente brava, prevedere quali libri/fumetti mi piaceranno.
la paura che fa fermarsi a pensare a cosa è stato e a cosa sarà. e il fatto di essere dei coglioni, coglioni che si complicano la vita e si incasinano i pensieri e i sentimenti al punto tale che poi non hanno il coraggio di affrontarli e mandano tutto in merda.
grossomodo, approfittando della mia devastante capacità di sintesi, direi che il libro parla di questo.
sprecando qualche parola in più (sprecandola, letteralmente, perché di questo libro ne hanno parlato praticamente tutti, quindi anche se non l'avete letto sapete già tutto), la storia è quella di silvano (sì, è lo stesso nome dello scrittore protagonista di unastoria), di professione comico, e sta affrontando - come è successo da poco allo stesso gipi, proprio prima della scrittura di questo libro - la fase terminale della malattia di sua madre.
ed è un coglione.
è un coglione incapace di fermarsi un attimo a realizzare quello che sta succedendo nella sua vita, di mettere da parte tutto il resto e di rendersi conto che sua madre sta morendo, o probabilmente fa di tutto per pensare ad altro, come quando la sera, al telefono con la moglie, le racconta di un video che ha visto su un documentario che racconta come sono stati preparati gli attori che hanno lavorato a salvate il soldato ryan, o quello su un cecchino della seconda guerra mondiale, che da solo aveva ucciso centinaia di nemici.
discorsi tremendi sulla morte, filtrati dalla leggerezza di un video guardato distrattamente prima di addormentarsi, qualsiasi cosa pur di non pensare alla morte, vicina, tangibile, presente, reale, che sta a qualche chilometro da lui.
e mentre lui pensa a tutt'altro, mentre cerca costantemente di distrarsi, mentre si scorda di avere degli spettacoli da preparare, mentre fa avanti e indietro la strada in macchina tra il bed and breakfast in cui alloggia e l'ospedale dove si trova sua madre (notevole la scena in cui la visione di un paesaggio bellissimo viene devastato dai discorsi merdosi di un - purtroppo - noto politico italiano) gipi inserisce - come era successo per esempio in lmvdm con i pirati - due storie solo in apparenza scollegate: quella di alcuni cosmonauti in viaggio da un pianeta all'altro, e quella di un uomo preistorico, del quale pure tanto si è detto ma se siete riusciti a non spoilerarvi tutto con i vari articoli pubblicati in merito allora almeno io ve lo evito.
il mestiere di silvano è fare ridere, alleggerire il peso della vita dalle spalle di chi lo ascolta, almeno per qualche momento. è il suo modo di vedere le cose ormai, buttare lì la battuta spiazzante e cinica per non fermarsi a pensare a quanto male fa, e così l'unico momento in cui parla davvero di sua madre, della sua malattia e della morte imminente è proprio durante uno spettacolo. per esorcizzare la paura, direbbero quelli colti-sensibili-intelligenti, perché è un coglione, dico io, un coglione come tutti noi che davanti a una cosa del genere non sappiano che altro fare se non cercare di non farci troppo male.
è il bambino luminoso, che compare all'improvviso, a ricordargli quello che era, quando non era ancora così terrorizzato all'idea di provare qualcosa. è il sé bambino a riportarlo indietro all'amore dell'infanzia, all'enormità dei sentimenti che lo legavano alla famiglia e alla vita, a quella luce che si è andata affievolendo invecchiando e impermealizzandosi a tutto. è lui, il bambino luminoso, che glielo ricorda: le cose sono semplici, enormi, spaventose forse, ma semplici. e tu sei solo un coglione.
e l'ultima scena, quella con gli applausi finti del titolo arrivati proprio in un momento fuori dall'ordinario andare delle cose, è la metafora perfetta di quel processo di spersonalizzazione, di inaridimento dei rapporti umani, dei sentimenti, di quella voglia di smettere di ascoltarsi per farsi ascoltare, di far ridere per non trovarsi soli a piangere.
e allora come faccio io a non essere banale? a non dire che un libro così ti spiazza, ti costringe a metterti nudo davanti a uno specchio, a guardare quello che sei diventato, come hai smesso di essere un bambino luminoso e sei diventato solo un povero coglione (declinate tutto al femminile se è il caso, io quella roba degli asterischi non la sopporto, ma intendo comunque un tu generico, indipendentemente da cosa avete nelle mutande)
non lo so, non lo so fare, non lo faccio. è banale dire che è un libro che deve essere letto? sì, lo è, ma sticazzi, deve essere letto. leggetelo, fatevi male, sentitevi meglio.
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