questa città è caduta in rovina svariate centinaia di anni fa. pare che la sua popolazione sia stata annientata quando alcune macchine alimentate da un nuovo tipo di energia sono impazzite.
tuttavia, i gargoyle costruiti come dispositivi di difesa continuano a proteggerla ancora oggi, come eterni guardiani di una città in cui non vive più nessuno.
mother cosmos è stata la più grande delusione degli ultimi mesi. la cover con quei disegni cupi e visionari e la quarta di copertina che parlava di atmosfera distopica degna di george orwell mi avevano esaltata, pensavo di trovarmi davanti a un piccolo capolavoro e invece...
chiariamoci: l'idea di fondo è buona, ma...
la trama, a grandi linee, è questa: satoru e schop sono due dig - una sorta di archeologi o più opportunamente qualcosa di più simile ai tombaroli - che si ritrovano, cercando la loro amica paula, a gargoyle city, una città fantasma, ormai caduta in rovina che però per qualche misterioso motivo rimane controllata da gargoyle meccanici che continuano a essere alimentati da qualche sconosciuta fonte di energia.
il mondo in cui i due si muovono è l'ormai stra-abusatissimo mondo post-apocalittico, abitato dai sopravvissuti al cosiddetto grande cambiamento, un evento che ha sconvolto la razza umana e cancellato l'avanzatissima civiltà precedente, lasciando in eredità ai superstiti rovine ipertecnologiche e mutazioni genetiche. abbiamo letto miliardi di storie così e continueremo a farlo, certo, perché ci piace tantissimo.
a gargoyle city i due trovano e salvano una ragazzina di nome key e da quel momento, con alle calcagna le guardie dell'impero, iniziano una fuga rocambolesca attraverso quel mondo, entrando a contatto con realtà al limite tra incubo e allucinazione e conosceranno la vera storia di mother cosmos e del loro mondo.
ora, l'idea di base, come dicevo, è ottima, ma i problemi di questo volume sono infiniti:
in primo luogo una storia così complessa costretta in poco più di duecento pagine costringe l'autore a correre a ritmi insostenibili e ad abusare continuamente di spiegazioni che suonano inverosimili in momenti estremamente concitati (un po' come quei cattivi disney che a un passo dalla vittoria si fermano a raccontare il loro piano malvagio dando all'eroe di turno la possibilità di recuperare le forze e sconfiggerli e annoiando il pubblico oltre ogni limite consentito).
per sviluppare la vicenda per bene, senza ricorrere a discorsi infiniti, sarebbero servite almeno il triplo delle pagine.
il mondo creato da sugiyama è effettivamente visionario ed eclettico, le architetture, i robottoni e tutto il resto funzionano, certo, ma la qualità dei disegni è sinceramente tremenda.
ok, ci piace il naif, ci sta bene il tratto sporco-ed-espressivo ma qui si parla proprio di aberrazioni anatomiche insopportabili - non chiedo tantissimo, ma almeno disegnare un volto con gli occhi entrambi alla stessa altezza! - e la sensazione che si ha è che tutto sia stato disegnato da un ragazzino di dodici anni talentuoso ma che necessita di un po' (moltissimo) di studio ed esercizio.
personalmente ho trovato i disegni così fastidiosamente brutti da rendermi difficile andare avanti nella lettura e spesso ho dovuto fermarmi su alcune scene perché non riuscivo a capire completamente cosa stava succedendo.
ai personaggi secondari è affibbiato un ruolo talmente marginale che potrebbero tranquillamente non esserci, troppo spesso sono giusto il pretesto per consentire al protagonista di dialogare con qualcuno.
anche l'idea del mondo post-apocalittico si regge in piedi appena perché non ci viene data la possibilità di conoscerlo, capirlo, viverlo, farlo nostro quel tanto che basta a seguire le regole che lo governano. inoltre solitamente nelle storie distopiche si assiste all'immancabile scontro tra la società che accetta passivamente delle regole - spesso crudeli, ingiuste e illogiche - e l'eroe/eroina che vogliono sovvertire quel mondo, spinti dal nobile ideale di restituire umanità e dignità alla popolazione. qui non c'è nulla del genere, anzi, alla fine tutto si risolve con una delirante scenetta di ricongiungimento familiare e la riduzione di tutto alla follia di un singolo individuo (non spoilero nulla, tranquilli), e l'appendice con le schede dei personaggi, delle macchine e delle ambientazioni diventa l'unico modo per fare un minimo di chiarezza, ma suona quasi come un'ammissione di colpa.
la sensazione insomma è di aver letto una sorta di fanfiction, il primo tentativo di un wannabe fumettista che non vede l'ora di cimentarsi con robottoni che si scontrano, architetture e creature biomeccaniche ma che deve ancora lavorare tanto, tantissimo, sulle sue capacità.
mother cosmos poteva essere una gran bella storia e invece sembra solo una bozza che avrebbe avuto bisogno di un periodo di gestione più lungo.
se però questo mio post vi ha fatto passare la voglia di leggerlo, date un'occhiata ad altre recensioni online che invece sono decisamente molto più entusiaste. è probabile che, molto semplicemente, questo fumetto con me non abbia trovato il suo pubblico di riferimento e potrebbe riservarvi qualche sorpresa interessante.
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