non c'è che dire: quando la vita non è schifosa è splendida!
marco fa il fotoreporter, documenta le zone di guerra, fotografa cadaveri o quelli che stanno per diventarlo e da circa otto anni è in cura da uno psicologo. le cose vanno un po' meglio ma continua a soffrire di attacchi di panico e ormai, a dirla tutta, si è stancato del suo lavoro, dei morti, dei quasi morti, del non riuscire a dire più niente con le sue fotografie.
da qui, dalla storia della crisi personale di un fotografo non troppo noto, quel genio di manu larcenet dà il via a una storia che si allarga come una spirale, diventa più del racconto della vita di marco, della sua famiglia, del suo passato e abbraccia un'intera generazione nella francia dei primi anni 2000.
trasferitosi in campagna, in compagnia del suo gatto (che in preda a un eccesso di cattivo gusto ha chiamato adolf per via del suo pessimo carattere, nome che in fondo spetterebbe a ogni gatto se ci si dovesse basare su questa logica), marco cerca di trovare un nuovo equilibrio, uno stato di pace, di stasi, per rendersi subito conto che è impossibile mettere in pausa l'esistenza così come è impossibile ripiegarsi su se stessi e chiudere fuori il resto del mondo.
la sua esistenza prosegue oscillando furiosamente tra alti e bassi, così lo scontro con il vicino aggressivo e fanatico della caccia si ricompensa con la chiacchierata con un altro vicino, gentile e chiacchierone, il panico per una ferita di adolf gli dà modo di conoscere la veterinaria emilie e di innamorarsene, la crisi creativa che gli ha fatto decidere di lasciare il lavoro gli permette di passare più tempo con la sua famiglia.
marco va avanti tra i giorni cercando di scansare i problemi, di non affrontarli, sminuirli a volte, di rimandarli più in là possibile, cerca di non cogliere i segnali dei mutamenti così da non essere costretto a seguirli, a cambiare anche lui, fino al momento in cui tutto è andato così tanto avanti che l'unica cosa da fare è prendere la rincorsa e seguirli.
larcenet scrive più della storia di marco, anzi lo fa portavoce di riflessioni fondamentali e profonde, lasciando che il suo personaggio scavi dentro di sé fino e subito dopo sposti lo sguardo per abbracciare tutto il resto: la vita, l'arte, la paura, il rapporto con la morte e quello con suo padre e con la sua famiglia, la crisi sociale e quella generazionale, il lavoro, i falsi miti, il futuro, la paternità, il dibattito politico ridotto al nulla.
è dal rapporto con gli altri che prendono vita questi pensieri, sono gli altri che lo trascinano a forza - nel bene e nel male - fuori dall'oasi di pace e immobilismo che è la sua mente ancor più che la sua casetta in campagna: emilie lo costringe ad assumersi le responsabilità che dovrebbe avere un adulto che decide di condividere la vita con qualcun altro, la malattia e la morte di suo padre lo mettono davanti ai ricordi della sua infanzia, alla sua paura della morte, a cosa sarà per lui stesso la paternità, l'incontro con un fotografo tanto ammirato - che si rivela una totale delusione dal punto di vista personale e umano - lo costringe a riflettere sul valore dell'opera d'arte e dell'artista, la scoperta della vera identità del vecchio buon vicino gli fa sbattere il muso contro quell'integrità di principi che è certo di aver sempre - e a ragione - avuto.
riprendendo il suo lavoro di fotografo, marco decide di seguire la causa del vecchio cantiere in cui per quarant'anni ha lavorato suo padre e che per lui è un po' una seconda famiglia, il cantiere che ormai sta per essere demolito, gli operai licenziati o trasferiti.
scatta ritratti e ascolta storie, si innamora di nuovo del suo lavoro, ritrova lo slancio del voler fare, del volersi sentire utile a qualcosa, si lascia portare indietro nel tempo dai ricordi e al contempo non si capacita della direzione che sta prendendo il futuro, sempre più incattivito e disperato, se pure i vecchi del cantiere, da sempre schierati a sinistra, delusi, amareggiati e impauriti si lasciano sedurre dal front national - e qui larcent anticipa con sconcertante lucidità quello che continua ad accadere ancora oggi, rendendo valida la situazione francese per un po' tutta l'europa.
l'esistenza stessa di marco diventa paradigma di quel complesso sistema di rapporti per cui non c'è nulla di così intimo da non essere anche sociale e politico e non c'è conflitto politico che non influisca sulla società e sul microcosmo personale di ciascuno.
è qui lo scontro quotidiano che si consuma ogni giorno, senza possibilità di fuga, tra l'io e il non-io, tra il desiderio di pace, d'intimità, di solitudine e la necessità di essere parte di qualcosa - una coppia, una famiglia, un gruppo di lavoratori, una città, un paese, il mondo intero - più grande.
è un libro fondamentale questo, e anche se l'ho letto tremendamente in ritardo, ha confermato l'idea che mi ero fatta su larcent e cioè che sia un fottuto genio, capace di disegnare omini buffi con i nasi giganteschi e gli occhi minuscoli e fargli mettere in scena tutto quello che rende la vita qualcosa di più dell'esistenza.
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