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mercoledì 27 febbraio 2019

days of hate ~ atto primo

ricordi l'odio online nel 2016? una "tempesta di fango".
e poi il 2017? e il 2018 e le elezioni?
nel 2022 non si odia più.
siamo tutti catatonici.

è il 2022, in america la destra continua a governare il paese diventando sempre più estremista e assoluta. i meno desiderabili della società, quando non muoiono in qualche "incidente", vengono spediti in campi di lavoro.
e come ogni volta che il potere finisce nelle mani sbagliate, nasce una qualche forma di resistenza.
amanda e arvid sono due terroristi l'opinione comune.
o se preferite, sono due tizi come tanti altri che hanno rinunciato alla loro vita per combattere contro il fascismo imperante. li conosciamo mentre sono sulle tracce di un gruppo di nazisti che ha commesso una strage durante una festa queer: giusto il tempo di fare saltare in aria la loro sede e sono di nuovo in viaggio.

nel frattempo huian xing - sinoamericana e lesbica, due cose che non fanno troppo piacere al governo - è stata appena intercettata dalla polizia. l'investigatore capo peter freeman (immagino che il nome non sia stato scelto a caso) vuole che lei gli dia ogni informazione su amanda, la sua ex moglie, nei confronti della quale huian nutre ancora risentimento per un grave incidente successo qualche tempo prima e che ha portato le due a separarsi.
adesso huian sembra intenzionata a vendere la sua ex alla polizia per tenere al sicuro la sua famiglia e lei stessa... oppure no?
in days of hate non tutto è come appare a prima vista, sopratutto i personaggi: freeman si direbbe il tipico poliziotto stronzo e insensibile, servo del governo e privo di un briciolo di empatia, eppure si svela un marito e sopratutto un padre dolce e attento, così come arvid, che ha deciso di abbandonare la sua famiglia non per mancanza di affetto ma per evitare di coinvolgere chi ama nella sua lotta.
ovviamente le due protagoniste, amanda e huian, sembrano quelle che riserveranno più sorprese nella parte conclusiva della storia (la seconda e ultima parte uscirà, sempre per eris edizioni, questo autunno. sarà una luuunga attesa...). fino a questo momento hanno mantenuto freddezza e lucidità per raggiungere i loro obiettivi, hanno trasformato il loro personale dolore in un arma contro l'odio istituzionalizzato che permea ogni cosa, sfondo onnipresente di ogni scena, ogni luogo, ogni dialogo.


ales kot tratteggia una distopia appena percepibile come diversa dal mondo reale e proprio per questa così spaventosa. mancano in fondo solo tre anni al 2022 e le sue intuizioni suonano più come una profezia che come pura invenzione.
non c'è nessuna volontà di giudicare, di definire il confine tra buoni e cattivi, tra giusto e sbagliato - per quanto sia abbastanza evidente da quale parte si schieri: huian, arvid, amanda non sono eroi senza macchia e senza paura tanto quanto freeman non è un bastardo bidimensionale capace solo di seguire gli ordini come una macchina.
in un paese che ha dimenticato il senso vero della democrazia (che non è e non deve mai diventare la prepotenza delle maggioranze), che abusa del potere in nome del suprematismo bianco, dell'eteronormativismo, del disprezzo e del rifiuto di tutto ciò che è diverso, tutto viene avvelenato e contaminato dalla violenza, anzi, la violenza stessa diventa la sola forma comunicativa valida.
l'odio, come dice amanda, non c'è più. o più semplicemente si è camuffato da qualcosa di ancora più spaventoso: è diventato un'abitudine.

nella storia di ales kot anche i momenti di silenzio, le pause, le lunghe inquadrature mute hanno un senso, e se questa cosa funziona lo si deve sopratutto alla sintonia con i disegni di danijel zezelj e i colori di jordie bellaire: i primi sono intensi, cupi, sporchi, rigidi e spigolosi pur mantenendo un grado di espressività enorme, la fotografia dà alle scene - insieme ai giochi di regia all'interno della tavola che velocizzano l'azione come un film action oppure dilatano il tempo per accrescere, quando serve, il livello di tensione - la giusta atmosfera, alternando colori tenui e brillanti, luci morbide o taglienti come lame.


abbiamo parecchi mesi per leggere e rileggere la prima parte di questa storia, per non perdere nessun dettaglio delle tante scene fondamentali ed emblematiche di cui è ricca, prima di scoprire come finirà.
intanto buona lettura!

lunedì 25 febbraio 2019

lmvdm

di un sacco di cose diciamo una cosa così o la ami o la odi.
in realtà lo diciamo soprattutto delle cose che ci piacciono un sacco, così tanto che è pure difficile trovare un motivo oggettivo per spiegare a qualcuno il perché.
che poi, davvero, poco c'è di oggettivo nell'amore.
grazie al cielo.
in realtà o lo si ama o lo si odia è la versione stringata e politically correct di una cosa così o la ami come me, che ho evidentemente ragione e buon gusto, oppure sei altrettanto evidentemente un idiota che non ha capito niente, mi spiace per te, ma mi scoccia pure perdere tempo a cercare di farti cambiare idea, anche perché il tuo è solo odio e l'odio è assolutamente immotivato e illogico (come l'amore d'altronde, ma non te lo dico questo sennò non ne usciamo più), quindi di che dovremmo parlare?
il mondo sarebbe un posto forse meno gentile ma sicuramente più divertente se smettessimo di rifugiarci nelle frasi fatte.
sto divagando.

gipi è un autore che amo, senza se e senza ma.
mi piace tutto quello che fa, i suoi disegni, le storie, i corti, persino le canzoncine idiote.
ammetto che non sono ancora riuscita a leggere tutto quello che ha scritto, e anzi sto cominciando ora il recuperone, aiutata anche dalla serie di repubblica (di cui ho preso solo quello che non è presente nel catalogo coconino però, cioè gli inediti, i racconti e il volume sui cortometraggi, il resto lo recupero con l'edizione originale, decisamente migliore).
insomma, tutto questo straparlare perché ho finalmente riletto lmvdm, il primo libro che mi ha fatto conoscere gipi tanti anni fa e che - diciamo - avevo perso... quando lo lessi la prima volta mi aveva un po' spiazzata, ma ammetto che all'epoca ero ancora agli esordi della mia "carriera" di lettrice onnivora, mi era sfuggito molto.
era il libro giusto al momento sbagliato.
rileggerlo adesso è stato sicuramente un'esperienza decisamente migliore, quella che mi ha fatto dire che, ok, è arrivato davvero il momento di recuperare tutti i suoi libri, adesso sono capace di apprezzare tutto davvero e pienamente.


non è facilissimo parlare di un libro così perché alla domanda - che odio come poche altre cose al mondo - di cosa parla? non è semplice rispondere senza farlo passare per una roba poco interessante.
ecco, potremmo dire che parla della vita dell'autore. (disegnata male, dice lui, non è vero, dico io, in questi disegni brutti si percepiscono le emozioni, gli stati d'animo, le sensazioni, coinvolgono il lettore più di quanto non saprebbe fare una linea decisa, netta, pulita, riassumono graficamente le sensazioni che ci vuole un intero corpo a provare).
di alcuni momenti della vita dell'autore.
di alcuni momenti della vita dell'autore tornati alla sua mente per strade tortuose in seguito a visite mediche infruttuose, causa di momenti imbarazzanti e dei soliti sbattimenti cui ti costringe l'aver avuto la sfiga di trovare uno di quei medici che pur di non ammettere di non capirne un cazzo ti comincia a rifilare cure improbabili per malattie che non hai e che quasi sicuramente si sono appena inventati.
ci siamo passati tutti certo, ma - e qui sta l'enorme differenza tra un narratore vero e la vecchietta che becchi sull'autobus e comincia a raccontarti la storia della sua vita lasciandoti immaginare di quante pagine sarà il tuo prossimo bestseller come uccidere le vecchiette moleste incontrate per caso for dummies - gipi riesce, a metà tra comicità e dramma, a raccontare della sua vita, dei momenti imbarazzanti, delle enormi, cosmiche minchiate, delle malattie, delle sfighe, delle amicizie perse e forse ritrovate, degli aneddoti rimasti chissà perché da qualche parte nella memoria ancora dopo anni, della depressione, della paura, anche delle cose irrilevanti, di tutto il resto senza essere noioso.
e, sopratutto, senza voler far passare il racconto della propria vita - o di alcuni momenti di essa - per una parabola esemplare.
nella sua storia non c'è nulla che possa assumere tratti universali tranne il semplice - banale sicuramente - fatto che ogni storia, se la sai raccontare bene, è degna di essere raccontata.


se da un lato c'è il narcisismo di volersi mettere a nudo davanti ai propri lettori, svelandosi sopratutto negli aspetti meno gradevoli, anzi proprio in quelli più fastidiosi, dall'altro c'è l'enorme capacità di analizzare le esperienze e le emozioni, di scomporle, osservarle, comprenderle, ordinarle e rimetterne insieme i pezzi, dando vita a una narrazione coerente, che funziona, che si allontana dall'esibizionismo e che trova nella sua semplicità il senso profondo del suo essere.
così come le esperienze e le emozioni, una volta analizzate e comprese, diventano narrazione, all'interno della storia nella storia (a cui sono riservate tavole a colori meravigliose) un ragazzo incapace di amare impara, disimparando a esprimersi con le parole, a comprendere ciò che sente, impara ad amare.


forse suonerà esagerato ma secondo me non lo è: lmvdm è uno dei più bei fumetti di sempre.

lunedì 18 febbraio 2019

settepassi

ti chiamano killer singer perché si dice che la tua voce sia così potente da poter uccidere una persona. cosa c'è di vero?

di giorno operaio in un magazzino di un complesso petrolchimico, di notte front man di una pittoresca rock band, gli strigoi, victor nero / vittorio nerelli ha trent'anni e un tumore che lo ucciderà entro un anno. la sua ragazza l'ha lasciato, incapace di dividere con lui il peso di questo dolore, ma la malattia gli ha concesso il dono di una voce magica, letteralmente: con la sua voce, victor può manipolare, comandare chi lo ascolta.
potrebbe dominare il mondo se solo lo volesse, invece decide di concentrare tutte le sue energie nel tentativo di conquistare la donna di cui si è innamorato.

la morte misteriosa del caporeparto che si è scontrato con victor lo rende improvvisamente oggetto delle attenzioni dei fan della band, che continuano a moltiplicarsi portandoli velocemente al successo e al centro dell'attenzione della rete.

la vicenda altalena tra il crescente successo della band e lo sprofondare di victor nella consapevolezza del suo male e nel suo complicato rapporto con due donne, la vlogger appassionata di musica di cui si è innamorato e la misteriosa istrice, che spesso si sovrappongono - letteralmente - rendendo di fatto esplicito, e di difficile interpretazione, il rapporto che le lega a vicenda e che coinvolge victor.
dallo sfondo emergono spesso le figure degli altri membri della band, a volte come semplici siparietti comici che poco aggiungono alla trama vera e propria, altre come personaggi delle visioni goth/fantasy/rock che le parole di victor evocano.

settepassi è sopratutto, prima di essere un fumetto incentrato sulla musica rock - che pure rimane come colonna sonora, con tanto di playlist a inizio di ogni capitolo - la storia di un amore travagliato e del dramma di una vita al suo limite estremo, a cui forse le divagazioni quasi oniriche che illustrano i testi delle canzoni degli strigoi rubano ingiustamente lo spazio necessario a esprimersi completamente in tutta la sua tragica essenza.
insomma, per quanto siano d'effetto le splashpage con le scene dei concerti e le pagine di ambientazione magico-medievale-gotico con annessi draghi e spadoni, avrei preferito qualche tavola in più dedicata alla vicenda personale di victor, ma ok.


molto acerbi i disegni, anche se già molto ben caratterizzati e con uno stile molto personale ed espressivo. c'è da lavorare un pochino con le anatomie ma ci sono grandi potenzialità. funzionale l'uso della tricromia bianco-nero-viola per rendere al meglio l'atmosfera tra gotico e malinconico.

mercoledì 13 febbraio 2019

diario di rondine

tutto è cominciato otto mesi fa. ero reduce da una delusione d'amore così idiota che è meglio non parlarne. alla mia sofferenza si aggiungeva la vergogna della sofferenza. per impedirmi un simile dolore, mi strappai il cuore. un'operazione semplice, ma poco efficace. il dolore che mi aveva assediato dilagava ovunque, sotto la pelle e sopra, negli occhi, nelle orecchie. i miei sensi mi erano nemici e non la smettevano di ricordarmi quella stupida storia.
decisi allora di uccidere le mie sensazioni. mi bastò individuare l'interruttore interno e spostarlo verso l'universo del né-caldo-né-freddo. fu un suicidio sensoriale, l'inizio di una nuova esistenza.
da allora non soffrii più. non sentii più niente. la cappa di piombo che mi mozzava il respiro scomparve. e anche il resto. abitavo in una specie di vuoto.

io amo follemente amélie nothomb.
lei inizia a raccontare e tu ti perdi, ipnotizzato dalle sue parole, e a poco vale che a volte le storie che racconta sembrano assurde e impossibili, niente può convincerti a posare il libro e andare a fare qualche altra cosa, devi arrivare fino alla fine e anche allora, per giorni e settimane, quel racconto ti rimane in qualche angolo della testa, a rigirare e sbattere contro le pareti del cervello, a ricordarti di quanto è assurdo, sì, probabilmente crudele, ma assolutamente bellissimo.
ecco, lo so che è banale scrivere di una storia che è bellissima. cioè, non vuol dire molto, ma non so trovare un altro termine per libri come diario di rondine: è assurda, a tratti grottesca, indicibilmente violenta, persino perversa e non nascondo che fa anche stare abbastanza male. ma la nothomb scrive in modo che tutto questo diventi bello, bellissimo.
e niente, dobbiamo arrenderci alle sue capacità, rassegnarci all'idea di amare la storia di un assassino per noia.

diario di rondine è esattamente questo, il racconto di come un uomo, dopo una delusione amorosa di cui non sapremo mai nulla, spegne letteralmente le sue sensazioni, si trasforma in un essere incapace di emozionarsi. all'inizio la cosa funziona, certo, ma dopo un po' la noia prende il sopravvento sul sollievo di non dover più soffrire. incapace di rimettere le cose a posto, inizia a cercare ogni modo possibile per riuscire a uscire da questo torpore sensoriale, emotivo e sessuale.
l'epifania arriva per caso:
fu un album dei radiohead a far scattare qualcosa. si intitolava amnesiac. [...] lo ascoltai e non provai nulla. era l'effetto che ormai aveva su di me ogni genere di musica. stavo quasi per alzare le spalle all'idea di essermi procurato altri sessanta minuti di niente quando comincio la terza canzone [...] in teoria non c'era nulla di commovente, ma mi stupii quando mi accorsi di avere una lacrima all'angolo dell'occhio. [...] prigioniero appena liberato, mi abbandonai al godimento. [...] non si è mai così felici come quando si è scoperto il modo di perdersi.
le emozioni tornano dunque solo al contatto con qualcosa mai sperimentato prima: suoni mai conosciuti, nuovi odori, sensazioni nuove. e i radiohead, ovvio. la musica della rock band inglese lo ossessiona continuamente, lo accompagna ovunque, indossa le cuffie anche quando svolge il suo lavoro di pony express. e quando, inevitabilmente, si ritrova a fare un incidente e farsi licenziare.

senza soldi, incapace di sentire qualsiasi cosa, senza alcun tipo di affetto o di talento. anzi no, un talento ce l'ha: ha un'ottima mira. manca solo l'ultimo elemento per trasformarsi in un killer perfetto, e questo arriva sotto forma di un russo di nome yuri, conosciuto per caso in una sala biliardo.
pochi discorsi, un contratto, una pistola e il primo incarico.


a questo punto la trasformazione è completa: un uomo freddo, incapace di provare qualsiasi emozione, incapace di empatia, di pietà, di amore scopre che uccidere gli risveglia piaceri dimenticati, come se una porta di spalancasse su una nuova dimensione dell'erotismo. e viene anche pagato per farlo.
è uno dei migliori, un killer che non si tira mai indietro, chiunque si tratti di uccidere, non fa domande, agisce senza lasciare traccia, fa fuori chiunque deve.
ma ovviamente non esiste meccanismo che non si inceppi a un certo punto. e quando si ritrova a dover uccidere un ministro e la sua famiglia, succede qualcosa di così inaspettato da compromettere ogni cosa.

diario di rondine è un memoir, un thriller, una storia di trasformazione, di follia, d'amore e di morte, confezionato con l'eleganza decadente e crudele a cui la nothomb ci ha abituati, una lettura veloce e intensa, che corre precipitosamente verso il finale, tremendo e crudele, che chiarisce l'intera struttura del romanzo.
come ogni volta, la nothomb si rivela imperdibile.


vi ricordo che voland sarà l'editore che ci terrà compagnia per tutto il mese di febbraio al nostro indie bbb cafè. seguiteci sulla pagina del book bloggers blabbering per rimanere aggiornati sui nostri progetti, le recensioni e le interviste!

lunedì 11 febbraio 2019

lo sfigatto

negli ultimi tempi le case editrici italiane si sono rese improvvisamente conto che i manga non sono solo e necessariamente la roba ipercommerciale da portare a chili in edicola. insomma, anche i giapponesi possono fare graphic novel e la cosa sembra piacere parecchio perché per la prima volta questo tipo di pubblicazioni pare riesca a mettere d'accordo i mangofili estremisti che fagocitano chili di storie più o meno tutte uguali da vent'anni (nessuna offesa, eh, lo faccio anche io) e gli adepti delle edizioni cartonate che leggono solo le robe fighe che escono in libreria ad almeno quindici euro a volume (anche qui, ci sono anche io. cioè, io sono un'onnivora senza speranza, probabilmente la peggiore categoria di lettore).


dopo coconino, dynit (che quando ci regalerà un catalogo, un minisito, anche solo una pagina facebook, più o meno ordinato delle sue pubblicazioni - quelle di showcase almeno - facciamo festa), l'annuncio di bao publishing (che inizia a maggio a pubblicare i suoi primi manga) e in qualche modo planet manga (più o meno, se vogliamo inserire in questo filone le ristampe a prezzi esorbitanti dei manga di taniguchi e di qualche altro titolo), anche star comics si inserisce nel mercato dei manga-più-fighi con la nuova collana wasabi, che conterrà titoli un po' meno commerciali di quelli a cui siamo stati abituati.
ammetto che dei primi annunci, solo due titoli mi hanno incuriosita, lo sfigatto e note dell'appartamento 107 che uscirà nei prossimi mesi. e che mi auguro sia un po' più... più de lo sfigatto.

mi duole parecchio dirlo perché solitamente sono sempre felicissima quando viene inaugurata una nuova collana, sopratutto se si occupa di titoli un po' più di nicchia, ma probabilmente iniziare con questo fumetto non è stato proprio il massimo.


lo sfigatto è una raccolta di strisce umoristiche, le tipiche yonkoma (cioè "quattro vignette"), sulla vita di tutti i giorni di un gatto ciccione, un po' pigro e - va da sé - un po' sfigato.
allo sfigatto non succede nulla di incredibilmente disastroso, ma la sfiga lo accompagna in ogni momento delle sue giornate, parecchio ripetitive tra l'altro, per lo più gli capitano una serie di piccoli disastri col cibo: ripieni e condimenti che scivolano giù dalle pietanze, lattine di cui si rompono le linguette d'apertura, gelati che si sciolgono troppo velocemente, sapori troppo amari eccetera.
praticamente, quello che, almeno una volta nella vita (ma se è solo una volta sappiate che siete benedetti dagli dei) è capitato a ciascuno di noi.

la possibilità di identificarsi con lo sfigatto è probabilmente il maggior punto di forza del fumetto, ma le debolezze sono tante. o magari io non ho lo stesso senso dell'umorismo dei giapponesi.
il tema del cibo e di tutti i piccoli guai che ne derivano è quasi ossessivo, praticamente quasi tutte le storie sono incentrate quasi su questo e, necessariamente, le strisce hanno quasi sempre la stessa dinamica. e, siccome lo scherzo è bello quando dura poco, dopo qualche pagina la cosa comincia a essere già meno divertente e sa troppo di già visto.

quanto all'adorabilità di questo micio - che a quanto pare in asia ha conquistato parecchi cuori - personalmente non mi ha convinta più di tanto: i disegni non sono certo il massimo del kawaii, le espressioni sono più o meno sempre le stesse e si contano sulle dita di una mano, e in fondo - ad eccezione di qualche rarissimo momento - il fatto che il personaggio abbia le sembianze di un gatto non è poi così rilevante, potrebbe anche essere un impiegato di mezza età, grasso e stempiato, e l'effetto sarebbe uguale, visto che di rado l'autore lo fa comportare davvero come un gatto.

insomma, sicuramente, leggendo una o due strisce a settimana come inserto in una rivista o trovandosele nella bacheca di facebook o di twitter, l'effetto migliora, ma un'intera raccolta, nonostante sia velocissima da leggere, risulta quasi pesante.


credo inoltre che, essendo abituati a un altro tipo di vignette umoristiche - peanuts, mafalda, calvin e hobbes, mutts eccetera, insomma un altro pianeta - abbiamo, da occidentali, un'idea diversa del concetto stesso di "vignette umoristiche", completamente diverso da quello giapponese (che evidentemente per loro funziona, l'avrete notato che spesso questo tipo di strisce sono presenti anche in appendice ai volumetti di varie serie, con i personaggi principali ripresi in situazioni più o meno comiche).

insomma, l'idea di star comics è stata ottima, l'inizio era sicuramente migliorabile.
aspetto con enorme curiosità note dell'appartamento 107 e i prossimi annunci, sperando che si riesca a osare di più e uscire dalla confort-zone dei gattini pucciosi.

mercoledì 6 febbraio 2019

a land called tarot


punto primo: da quando ho letto ¡infierno! ho sviluppato un debole per i silent book (anche se non sempre sono riusciti come ¡infierno!, ma non è che tito faraci può sceneggiare tutto. ma la smetto di divagare che farlo proprio all'inizio pare brutto)
punto secondo: ho un debole - ma questo non so a cosa imputarlo - per gli animali strani da ambientazione fantasy. anzi, credo che gli animali strani e le architetture strane siano la sola cosa che mi piaccia davvero dei fantasy.

questi sono i due veri motivi che mi hanno fatto impazzire dalla voglia di leggere (beh... si fa per dire) a land called tarot fin dal momento in cui è stato annunciato. era da mesi che stavo in fissa con l'idea di poter (non)leggere questo libro e ok, è un silent book ed è pieno zeppo di creature strane. ed è già bellissimo così.

ma, diciamolo subito perché è davvero la cosa più importante di tutte, la vera bellezza di questo libro è l'immensa varietà di ambientazioni in cui l'azione si svolge, un mondo che pare essere un catalogo di tutti i luoghi perfetti in cui ambientare non una semplice storia ma un'intera saga.
il tutto disegnato con uno stile cartoonoso ma tremendamente attento ai dettagli, visivamente impressionante e affascinante.

in a land called tarot non c'è una vera e propria trama: seguiamo un eroe - il cavaliere di spade - impegnato in una serie di missioni in un mondo che mischia senza troppe remore ambientazioni post apocalittiche, natura incontaminata, deserti, giardini rigogliosi e città decadenti, tecnologia futuristica, architetture da favola trecentesca, esoterismo e magia.

in una sola tavola gael bertrand descrive quello che in un romanzo fantasy ci vorrebbero venti pagine per spiegare, e ogni tavola è quasi l'idea di partenza per un romanzo a se stante.


prendiamo ad esempio questa scena: vecchie navi arenate in mezzo al deserto - cosa diamine è successo al mare? - relitti di astronavi, un accampamento dal sapore orientale attorno cui banchettano creature antropomorfe e altre più propriamente umane, soldati forse. e poi un fortissimo contrasto cronologico tra l'aspetto rudimentale di una capanna e di un rozzo braciere da campo e un'astronave rottame: siamo forse in un mondo in cui il progresso ha distrutto l'equilibrio naturale al punto da portare a un'involuzione, o meglio, a nuove evoluzioni, sia in senso biologico che sociale e culturale?


e qui invece? il mare c'è, certo, e questo ci dice molto sulla grandezza di questo pianeta e sulla varietà dei suoi paesaggi, ma anche in questa scena è evidente che qualcuno si è divertito un sacco a giocare a innestare creature e costumi e tempi diversi per creare un mondo ibrido ma al contempo perfettamente coerente con se stesso.

a una prima non-lettura a land called tarot risulta quasi fastidioso semplicemente perché non c'è nulla di quello che ci si potrebbe aspettare, non è facile seguire e comprendere immediatamente tutte le vicende, procedere di pari passo insieme al protagonista attraverso lo spazio e il tempo.
insomma, ci si ritrova presto confusi e spaesati in un mondo in cui nessuna delle regole che conosciamo è davvero certa. probabilmente conoscere i tarocchi potrebbe aiutare a decifrare alcune simbologie, ma non è assolutamente il mio caso, è troppo complesso per me e non ci ho voluto nemmeno provare, perché credo che il trucco per apprezzare davvero il lavoro di bertrand in realtà sia un altro.
infatti abbandonate le aspettative e la voglia di afferrare subito il significato di ogni cosa, questo libro mostra finalmente il suo lato migliore: perdendoci in un paesaggio per molti versi incomprensibile, ritroviamo quella che probabilmente è la vera essenza del fantasy stesso, la scoperta del meraviglioso, del mostruoso - nel senso più stretto del termine - del misterioso e dell'inconoscibile.
il viaggio dell'eroe, le sue imprese, i suoi incontri diventano così la scusa per sfogliare un atlante di luoghi immaginari, visioni di realtà create per gioco in un collage che mischia tempi e luoghi e razze.

paradossalmente, quello che sembra un libro veloce diventa così una lettura lenta e attenta, anzi, necessita più riletture e probabilmente non arriva mai a svelare davvero del tutto ogni aspetto della narrazione. eppure è proprio questo suo essere così incerto che da al lettore la possibilità di inventare nella sua testa i suoni, i dialoghi, gli eventuali epiloghi, gli eventi che hanno portato a quel preciso momento. questo libro è terreno fertile per l'immaginazione di chiunque, un calderone di idee che possono generare altre decine di libri, racconti, film, videogiochi, fumetti eccetera.

se state cercando il classico fantasy in cui un eroe affronta il suo destino, supera le prove e giunge al risultato finale più maturo e coraggioso e saggio di prima, allora cercate altro.
ma se volete viaggiare in un universo immaginifico e fantastico senza assillarvi di domande ma semplicemente abbandonandovi allo stupore, bene, avete trovato il libro che fa per voi.

lunedì 4 febbraio 2019

jane

jane austen è considerata una delle più grandi scrittrici al mondo, il suo successo è planetario, la sua fama universale, la sua ispirazione sempre viva. oggi. eppure jane, vissuta in inghilterra a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo e morta a soli quarantuno anni, non ha goduto di fama in vita.

jane austen non è la prima e di certo non sarà l'ultima di quelle grandi personalità che devono aspettare che passi abbastanza tempo dal loro funerale prima che il loro valore venga riconosciuto.
artisti che oggi sono nomi fondamentali per la nostra cultura e che non hanno fatto in tempo a scoprirlo ce ne sono in quantità imbarazzante, e a volte c'è da impazzire all'idea che quelle che sono delle vere e proprie icone per noi, sono state tanto sottovalutate, se non disprezzate, dai loro contemporanei.

la collana per aspera ad astra di hop! edizioni, che raccoglie le biografie di donne straordinarie, scritte da lorenza tonani (qui l'intervista a lorenza) e illustrate da artiste contemporanee, non poteva non dedicare un volume proprio a jane, una delle scrittrici più amate e conosciute di sempre. oggi, appunto, perché in realtà la vita della austen non fu affatto una collezione di glorie e successi, nonostante, come lorenza analizza nel volume, sia stata a tutti gli effetti una silenziosa ma potentissima rivoluzionaria.

settima di otto figli, nata e vissuta in una famiglia borghese, jane ha vissuto una vita modesta e tranquilla, circondata dagli affetti della sua numerosa famiglia (la chiamiamo ancora zia jane proprio per via dei suoi numerosissimi nipoti), non si è mai sposata, ma, da attenta osservatrice quale è della società in cui vive, conosce benissimo l'importanza - praticamente assoluta - che il matrimonio ha per le donne, e la diverte osservare i meccanismi complicati ed evidentissimi che regolano questo gioco fatto più di soldi e interesse che di sentimenti.


la vera rivoluzione di jane non è certo rifiutare un matrimonio: non fa mai nulla di troppo eclatante nella sua vita, non c'è rabbia né sensazionalismo nelle sue scelte, anzi: è una ragazza tranquilla le cui uniche passioni sono i libri, la scrittura, i balli e le passeggiate, probabilmente agli occhi di molti non è che una ragazza come tante, forse solo incapace di scegliersi un buon partito per marito.
è nei suoi racconti, e attraverso le sue protagoniste, che la austen compie qualcosa di assolutamente fuori dalla norma: in una società in cui il matrimonio è un destino imposto, la fine di un gioco fatto di calcoli sui patrimoni, i titoli, le reputazioni delle famiglie, in cui le donne hanno davvero poca possibilità di scelta e possono al massimo augurarsi che non vada a finire troppo male, jane fa scegliere alle sue protagoniste di agire solo sulla base dei loro sentimenti, pensando, più che al benessere economico, alla possibilità di essere felici e padrone - entro dei limiti piuttosto stretti - del proprio destino.
le eroine dei suoi volumi, grazie al buon senso e all'intelligenza, vivono una sorta di educazione sentimentale che permette loro di rimodulare la propria interiorità, divenire donne di "ragione e sentimento", che aggirano le convenzioni sociali e mirano a un buon matrimonio che non sia però privo di amore. la conoscenza e l'esperienza si sostituiscono all'obbligo di aderire a una scelta familiare, a una sorte già decisa.
e le eroine di jane infatti non agiscono mai da sole: nei suoi romanzi la austen mostra dei piccoli universi familiari, microcosmi in cui si riflette il funzionamento dell'intera borghesia inglese: ragnatele di pettegolezzi, occhiate, incontri più o meno fortuiti, feste, balli, passeggiate, visite ai vicini, sempre in compagnia di sorelle, madri, zie, amiche e vicine di casa, tutte - sono sopratutto le donne ad agire in questi casi - intente a favorire questo o quel fidanzamento, a suggerire un buon partito, a sperare in una proposta di matrimonio.
jane sa dipingere, pagina dopo pagina, storia dopo storia, un ritratto ironico ma mai cattivo di una società che vortica costantemente attorno a un unico problema: assicurare alle proprie figlie, attraverso un'unione conveniente, il benessere economico e la rispettabilità sociale, senza mai tenere in conto i sentimenti dei due diretti interessati.


proprio l'analisi delle opere di jane, del suo stile, delle sue tematiche preferite è la parte più affascinante di questa biografia illustrata. lorenza tonani intreccia i fatti della scrittrice con quelli legati alla scrittura, ma in effetti non sarebbe possibile discernere l'una dall'altra: il mondo di jane si riflette delle sue opere tanto quanto queste si nutrono della realtà.
i capitoli si focalizzano tanto sugli eventi strettamente biografici più importanti quanto sul carattere, sulle passioni e sulle opere di jane.

le illustrazioni sono di anna - ninamasina - masini, designer, illustratrice e fondatrice di red boots, etichetta di libri illustrati autoprodotti.
in ogni pagina, con uno stile delicato e ricco di dettagli, racconta la vita di jane, i suoi luoghi, l'atmosfera dell'inghilterra bene di fine '700, le protagoniste dei romanzi e sopratutto lo spirito ironico e intelligente di un'autrice che ancora oggi continua ad appassionarci e emozionarci.