se anche voi in questi giorni vi sentite come ghiaccioli lasciati a sciogliersi fuori dal freezer, potreste approfittare dell'ultima uscita della collana antropo di eris edizioni per sperimentare qualche brivido fuori stagione.
sto parlando di lucenti, di uduvicio atanagi (nome d'arte, ma non ci è dato sapere altro dell'autore, se non gli altri titoli dei suoi libri - mentre l'italia brucia e i giorni tristi - e l'indirizzo del blog dove scrive - una tomba per gli alieni) e illustrato da akab (qui su claccalegge l'anno scorso parlavo di plume), che col suo tratto graffiante, sporco, spigoloso e suggestivo, realizza una serie di illustrazioni che sono quasi istantanee del lato più intimo e nascosto degli abitanti di questo piccolo e oscuro pezzo di terra perduto nelle campagne toscane.
lucenti è, in modo decisamente particolare, un romanzo di formazione, la storia di un ragazzo - mino - che cresce in un mondo campestre e arcaico, fuori dal tempo, chiuso in una bolla angosciante fatta di storie sussurrate, di parole non dette, di misteri nel folto del bosco, di riti antichi, di terra, di sangue, di fango e di uomini e donne che trascinano per generazioni e generazioni i geni, il potere e i segreti della famiglia lucenti, padrona della terra e da quella stessa terra posseduta.
nulla è mai troppo esplicito in questa storia, tutto sembra svolgersi al margine estremo del campo visivo, pronto a sparire appena giriamo lo sguardo per metterlo a fuoco. è in questa impossibilità di comprendere appieno che sta l'orrore e uduvicio atanagi sa scegliere con cura le parole, le frasi, per creare un ritmo ipnotico e ansiogeno, per farci sprofondare in un'atmosfera oscura, umida, pulsante ma impossibile da capire, come un rituale spiato da occhi non ancora iniziati a quei misteri.
mino cresce sguazzando nel fango e nei suoi sogni, nuotando a fatica in quella terra difficile, sotto gli occhi delle bestie, tra ricordi lontani, maledizioni e tradizioni antiche, cresce senza amici e quasi senza famiglia, con tutte le difficoltà che il passare dei primi anni si porta dietro, cresce immergendosi nel silenzio del fango, gonfio di malinconia e di consapevolezza più del suo destino di morte che del suo presente di vita, ricoprendosi di quella terra che, seccandosi sul suo corpo, diventa un'armatura, lo trasforma in un mostro.
a volte era così assorto che rimaneva lì per minuti, risvegliandosi solo quando il corpo lo costringeva a riprendere aria, a volte si dimenticava di esistere e allora stava benissimo. [...] un mostro, pensava, io sono un mostro, un mostro che scompare e si cela, un mostro senza forma e con tutte le forme, un mostro di terra e di fango, un mostro che dorme, un mostro immerso in un sonno immenso e senza sogni
nel podere dei lucenti, tra le famiglie silenziose e cariche di segreti dei contadini, vive - tra le altre figure misteriose, a volte crudeli - anche lucio, con il quale mino instaurerà un rapporto ambiguo, di conflitto e di amicizia, un rapporto che sembra confermare quell'opprimente senso di impossibilità d'autodeterminazione che schiaccia tutto intorno a loro, in una storia che sembra seguire un copione già scritto da centinaia di anni, un destino già segnato, senza nessuna possibilità di scamparvi, che trasforma tutti in pedine tra le mani di creature, di forze arcaiche, oscure e incomprensibili.
un bambino raccoglie un corno in una selva oscurissima, la cosa grande dorme ma è affamata.
un coltello trafigge la carne, il coltello è la vita, la pelle brucia fino alle ossa in un urlo infinito.
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