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venerdì 27 luglio 2018

cometa

siamo già nella merda, disse rødh. ogni singolo essere umano su questo pianeta affoga nella merda. alcuni però hanno i mezzi per tirarsene fuori.

oggesù ma cosa cazzo sto leggendo? è stata la frase che più mi sono ripetuta durante la lettura di cometa di gregorio magini. a cambiare era il tono, a volte sconcertato, a volte divertito, sempre comunque sorpreso. perché cometa è un libro che non ricorda nessun altra storia che hai letto prima, che non ti lascia indovinare niente e ti tiene costantemente in uno stato come di allucinazione.
comincia dall'inizio, con quello che è il più banale degli incipit: l'infanzia di uno dei due protagonisti.
tutto normale, no? no.
le prime righe:
i miei genitori scopavano sempre e mi piaceva guardarli. il mio primo ricordo è mamma in ginocchio che sussulta sotto i colpi di bacino di papà. mi godevo lo spettacolo e mi succhiavo le gengive.
capite cosa intendo?

non è per niente facile parlare di questo romanzo: è più forte la negazione della struttura narrativa (eroe che compie un viaggio, supera delle prove, cambia, cresce, raggiunge il suo obiettivo) o quella di quel tipo di umanità che ci piace raccontarci?
in quarta di copertina si legge l'odissea senza approdo di una stirpe di eletti a niente e forse non c'è frase migliore per dire cos'è cometa.

i ricordi familiari di raffaele si limitano a poche cose oltre le orge dei suoi genitori e la misoginia - e i soldi - del nonno. tutto il suo universo sembra una spirale che parte da un punto centrale, che è il sesso, si allarga, si espande, ma rimane sempre a gravitare attorno all'unico chiodo fisso.
raffaele vive in funzione di quella cosa che chiama amore ma che ha veramente poco a che vedere con il romanticismo e basa tutto il resto - poco - su tre comandamenti: non lavorare, non aspettare, non invecchiare. il suo modo di essere si dipana tutto nel presente, senza rimpianti per il passato né ansie per il futuro, l'impegno è bandito, i progetti a lungo termine pure.
quando decide di darsi all'arte performativa - spettacolo quantomeno sconcertante - conosce fabio.
fino a questo punto le loro vite hanno camminato su binari all'apparenza paralleli che in realtà lentamente convergevano verso quell'incontro: fabio è un bambino affascinato dalla tecnologia, dai computer, dai videogiochi, cresciuto all'ombra della mancanza del padre e degli scarsi rapporti sociali, anche lui incapace di intendere l'amore, problema che risolve tenendosene ben lontano - a differenza di raffaele.
fabio è probabilmente un genio o uno psicopatico o entrambi, un nerd appassionato dai social network, ma nella sua vita senza un vero e proprio programma è l'aspetto geniale quello che ci rimette di più: ha poche relazioni, deleterie, pericolose o inconcludenti.

sono soli raffaele e fabio, soli nonostante la moltitudine di personaggi altrettanto strani e contorti che li accompagnano. sono incapaci, quasi in senso opposto, di allacciare relazioni durature, e anche il loro rapporto - che è troppo definire amicizia, è più una conoscenza dettata dal caso e dall'abitudine poi - vola un pelo sopra la superficie delle cose.
entrambi non hanno nessuna capacità di entrare in empatia con la gente o voglia di fare qualcosa delle loro vite che non sia il semplice tirare avanti da una storia all'altra, da un codice di programmazione all'altro.

persone detestabili che nessuno vorrebbe mai conoscere nella propria vita eppure personaggi impossibili da giudicare negativamente. non si può dare a nessuno dei due la colpa delle loro vite sgangherate, sono in fondo vittime di una società sentimentalmente alienata e alienante, eppure non si possono neppure assolvere perché in questa società amorale, fredda e devota al consumo non solo dei prodotti quanto delle persone, ci sguazzano come paperelle in un lago fresco in un giorno di maggio.
sono l'amaro prodotto e l'inconsapevole causa partecipante a un vivere privo di scopo, argonauti che viaggiano in tondo senza neppure un vello da recuperare per conto di qualcun'altro, non-eroi il cui percorso confuso non porta a nessuna crescita, a nessuna realizzazione, degli ulisse privi di un'atena che gli mostri la via e il senso del loro vagabondare, nonostante per tutto il tempo non facciano altro che lasciare qualcosa, un segno, una creazione, quasi a testimoniare - e a giustificare - la loro stessa esistenza.

cometa però non è un libro di denuncia, non sale su un pulpito col dito puntato sul mondo caotico e strafottente che macella i suoi figli senza neppure guardargli in faccia. cometa racconta di questa società semplicemente prendendo atto che insomma, le cose vanno così. e che, in fondo, c'è anche una certa poetica - decadente, certo - bellezza in tutto questo.
e se non è facile leggere un libro del genere, se ogni tanto bisogna fare una pausa per prendere fiato e ritornare a quell'idea di grandezza dell'animo umano (sopratutto quello che un certo tipo di educazione e cultura ci ha istillato dai tempi della scuola), è ancora meno facile staccarsi dalle avventure di fabio e raffaele e sopratutto chiudere occhi e orecchie alla scrittura di magini, fluida, poetica, sorprendente, capace di cambiare registro e di rapire il lettore all'interno delle pagine.

non mi aspettavo nulla del genere da questo libro eppure sapevo, dopo averne letto in giro, che mi sarebbe piaciuto tantissimo: se mi scolassi qualche bicchierino di vodka, direi che è il romanzo generazionale dei trentenni/quarantenni di oggi, un po' come jack frusciante lo è stato dei quindicenni che eravamo. il fatto che l'ho scritto da sobria però un po' mi preoccupa: siamo davvero diventati - dai ragazzini che correvano in bici a rotta di collo per incontrare il nostro primo grande amore e stare insieme appiccicare stelline fluorescenti sui soffitti - questo?

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