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lunedì 23 aprile 2018

prosopopus

prosopopea n.f.
- figura [retorica] con la quale l'oratore o lo scrittore fa parlare e agire una persona assente o morta, un essere inanimato, un animale.

- discorso pomposo, veemente e empatico.

una città fumosa di palazzi alti tra i quali sembra non riesca neppure ad arrivare la luce del sole.
dalla finestra di uno di questi, un uomo prende la mira e spara a un tizio in completo giallo, con buona pace degli uomini lì accanto a lui a cercare di proteggerlo.

inizia così l'ultimo (per ora) racconto di nicolas de crécy, edito da eris edizioni, prosopopus.
o meglio, inizia con una lunga premessa di laetitia bianchi su questo strano essere, il prosopopus appunto, creatura leggendaria, mitica e orrorifica, una sorta di chimera antropofaga dagli occhi dolci, amica dei cani, buffa nella sua mostruosità, con i suoi tre denti e il suo sedere enorme.
come abbia fatto ad arrivare dalle pagine di testi tanto antichi a quelle di uno dei più apprezzati autori francesi è un mistero che dura poco, poche silenziose - ma concitate - vignette, ed ecco che un mix di fumo, sangue e sperma danno vita al gigantesco (e, bisogna ammetterlo, in qualche modo anche tenero) prosopopus, che entra prepotentemente, con un affetto asfissiante, nella vita del protagonista.

ma cos'è davvero il prosopopus?
se la prosopopea è un artificio retorico per dar voce a una persona assente, di chi fa le veci questo mostro giallo, rotondo e invadente?
mentre il nostro assassino cerca di sfuggire alla tenera persecuzione del prosopopus, l'uomo dal completo giallo è disteso su un tavolo di metallo pronto per l'autopsia, mentre tra i suoi affetti personali, in borsa come fosse un oggetto qualsiasi, viene fuori una mano di donna.

che sia la città stessa a farlo, o che sia merito del prosopopus, o che entrambi siano in combutta per ottenere il loro scopo forse non è così importante da sapere, ma dal momento della scoperta di quel macabro dettaglio per il protagonista di questo racconto le assillanti premure del suo nuovo amico saranno il problema minore.


la città in cui ci porta de crécy è oscura e sporca tanto quanto lo è la coscienza del suo protagonista e l'unica luce, calda e crudele come tutto ciò che strappa dall'ombra la verità, è quella del buffo personaggio che nasce dal suo senso di colpa, che da questo sentimento prende forma e sostanza e che lo incarna totalmente, che ossessivamente lo segue senza dargli un solo attimo di tregua e con gioia crudele riporta alla luce il suo passato e lo costringe a vivere l'incubo più tremendo: ammettere le sue colpe, riconoscersi traditore e assassino senza poter scaricare il peso su nessun altro.

de crécy ha un modo unico di raccontare e disegnare. "sperimentale" è forse l'aggettivo preferito per le sue opere, e come potrebbe essere altrimenti?
prosopopus è un racconto muto, come se nessuna parola potesse realmente narrare - spiegare! - la natura surreale e a tratti onirica della vicenda, così come incomprensibile, folle e ferina è la natura del prosopopus stesso, e così come muti e inspiegabili sono gli incubi, con i loro salti temporali e le connessioni illogiche e terrificanti.

piccolo capolavoro per usare una tra le più abusate definizioni da recensione, minchiacheflashassurdo se dovessi parlarvene al telefono, scegliete voi quella che preferite, ma leggetelo assolutamente!

e se ancora non conoscete questo autore pazzesco, è giunto il momento di rimediare (e di ripassare un paio di articoli):

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