facciamo sempre la stessa cosa, tutti, quando ci troviamo in una situazione scomoda, che ci piomba attorno all'improvviso come una trappola, tutti ci mettiamo a guardare la felicità degli altri, a provare invidia, rabbia a chiederci perché tutto questo doveva succedere proprio a noi.
ci lasciamo andare alla tristezza e alla disperazione, concentrandoci su quello che ci fa male e ci rotoliamo nel nostro dolore come maiali nel fango, ce ne insozziamo fino al midollo, c'è quasi un narcisistico compiacimento nel vederci in uno specchio che distorce le nostre disgrazie, le promesse infrante, le speranze disilluse, uno specchio che le fa diventare gigantesche e mostruose e al contempo rimpicciolisce gli aspetti positivi, per pochi che possano essere.
altro che resilienza, abbiamo bisogno di tempo per renderci conto che non sempre tutto è davvero orribile, c'è bisogno di tempo per fare nostra l'idea che anche la peggiore delle condizioni nasconde nuova bellezza, nuove opportunità, nonostante magari tutti stiano a ripetercelo in continuazione. sentire, capire e accettare non sono mai la stessa cosa e spesso ci vuole tempo per arrivare dalla prima all'ultima. non è te che aspettavo è una storia così: un viaggio interiore verso la scoperta di una gioia impensata.
mi sentivo pervaso da una profonda tristezza mista a senso di ingiustizia. quello che doveva essere uno dei giorni più felici della mia vita si era trasformato in un incubo.come se, invece di celebrare la nascita della mia julia, tanto attesa dopo nove mesi, ci trovassimo al suo funerale.
fabien toulmé, ingegnere regalato al mondo dei fumetti, esordisce con non è te che aspettavo, un romanzo che ha le stesse urgenze e la stessa intimità di un diario, e che è stato scritto per raccontare la sua esperienza di padre di una bambina affetta da trisomia 21.
opera prima che non perde sotto nessun punto di vista e che svela una grande conoscenza del mezzo narrativo, il romanzo di toulmé racconta senza mezzi termini l'attesa, la nascita e i primi due anni di vita di julia, la sua secondogenita.
dalle prime visite ginecologiche in brasile, dove la famiglia di fabien vive al momento in cui inizia la gravidanza della compagna patricia, tutto sembra andare per il verso giusto.
fin da subito fabien è eccitato, felice e impaziente di conoscere la sua nuova bambina ma al contempo è terrorizzato al solo pensiero di una figlia malato, diverso, qualcuno che possa non essere normale e che possa cambiare la sua quotidiana normalità.
si scopre a pensare - e lo ammette con franchezza, senza vergogna né pietismo - che non gli piacciono i bambini con un qualche tipo di deficit, sopratutto quelli affetti da trisomia, li trova brutti e trova penosa la loro vita e quella dei loro genitori. è nervoso prima dell'esame che può scongiurare il pericolo di diventare padre di un bambino così e felice nel momento in cui l'esito lo rassicura: la sua vita, oltre che quella di sua figlia, dipende tutta da questo.
gli esami non sono troppo approfonditi ma in effetti non sembra esserci il motivo di approfondire, tanto in brasile quanto in francia, suo paese di origine, dove tornerà con la famiglia poco dopo: non ci sono segnali di pericolo, la bambina è sana e tutto sembra andare per il meglio.
anche a parigi, medici ed esami lo rassicurano sulla nascitura ed è solo quando vede per la prima volta julia che fabien capisce, sconvolto, intristito, arrabbiato, disperato e incapace di accettarlo, che la sua peggiore paura si è avverata: julia è una bambina affetta dalla sindrome di down.
inizia un lungo cammino fatto di dolore e visite specialistiche, di depressione e di sale d'attesa di medici, ma sopratutto di confronti: dappertutto, il mondo sembra sbattergli in faccia famiglie felici con figli sani, normali, con davanti a loro il più splendido dei futuri.
fabien si sente preso in giro dal destino, incapace di amare fin da subito la sua bambina, disperato all'idea di doverla accudire per sempre, di non vederla mai diventare del tutto adulta.
l'attenzione è tutta rivolta verso se stesso, la malattia di julia si proietta direttamente sulla sua esistenza, stravolgendola e distruggendo le sue speranze.
il racconto dei suoi pensieri e stati d'animo non risparmia niente, neppure le più basse grettezze morali di un padre che è facile definire degenere tanto quanto è facile capire: nel bene e nel male, toulmé descrive il mutare dei suoi sentimenti, la depressione iniziale, la rabbia, la mancanza d'amore, le difficoltà persino a prendersi cura di quella bimba, lui che con la prima figlia è stato un padre modello e che ora non riesce neppure a tenere in braccio questa bambina con gli occhi allungati e la testa schiacciata. la malattia di julia diventa un'ossessione che non da tregua, che gli fa odiare tutti e lo fa sentire isolato nel suo dolore, lo fa sentire osservato e giudicato persino per strada.
pian piano comincia a confrontarsi con la malattia, inizia a conoscerla e a capire che non tutti i bambini trisomici sono uguali, che molto di loro dipende non solo da fattori genetici, quell'assurda lotteria che si gioca nel buio di un moltiplicarsi di cellule, ma sopratutto da quello che a questi bambini viene permesso di vivere, da come vengono cresciuti, se sono amati e accettati o posteggiati con vergogna davanti a un televisore tutto il giorno.
si rende conto di quanto può fare perché la piccola julia cresca nel migliore dei modi e inizia a instaurare con lei un rapporto padre-figlia più sano, fatto di coccole e giochi, delle difficoltà a ottenere i risultati più semplici in ritardo rispetto alla tabella di marcia di un bambino sano e della gioia ogni volta che julia compie un passi avanti nel lungo cammino che ha di fronte a sé. inizia sopratutto a capire qual è e quale sarà il suo ruolo nei lunghi anni a venire e comincia ad accettarlo e a promettersi di diventare un padre modello per quella bambina speciale.
per alcuni brasiliani sono i bambini che scelgono i genitori. nel nostro caso ci saremmo dovuti considerare fortunati a essere stati scelti da una bambina così speciale: era una dimostrazione di fiducia, il segno che avremmo saputo prenderci cura di lei.
il rifiuto iniziale dopo un po' si fa voglia di comprendere e poi amore senza riserve, senza svolte improvvise né magiche rivelazioni ma con la fatica quotidiana che si fa per costruire giorno per giorno un presente e un futuro in cui la felicità sappia farsi strada tra le difficoltà.
non è te che aspettavo è una storia che emoziona non soltanto per la difficoltà del tema affrontato ma sopratutto per la genuina sincerità di toulmé, delle sue parole e dei suoi disegni che non sottintendono niente, che mettono a nudo la difficoltà di accettare il diverso senza preoccuparsi del politicamente corretto né delle buone maniere, che arriva dritta al cuore perché racconta l'amore che arriva piano, in sordina, tra mille difficoltà, ma che poi esplode senza riserve, permettendo a chi lo vive di scoprire quanta bellezza si nasconde nei luoghi più incredibili.
Altro titolo da aggiungere alla wishlist. Capisco bene il terrore del protagonista: sinceramente ammiro tantissimo chi accetta di portare a termine una gravidanza consapevole dei difetti che avrà il bambino, ma altrettanto sinceramente dico che io non mi sentirei di farlo, alla faccia del politically correct e dell'istinto di maternità.
RispondiEliminaconcordo con te, sarei terrorizzata anche io e non sono sicura del tipo di scelta che prenderei, ma da bimba nata con "difetti" (anche se non si sapeva all'epoca) posso dire che in ogni caso si può essere felici lo stesso, anche se non è sempre facilissimo ^_^
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