luke healy nell'introduzione a come sopravvivere nel grande nord ci racconta:
stefansson era convito che la sopravvivenza nell'estremo nord - ancora più a nord dei villaggi inuit che aveva visitato - fosse non solo possibile, ma facile.
cita poi le parole dell'avventuriere in cui, con immenso ottimismo, viene spiegato quanto effettivamente tale assunto sia vero, che il nord è pieno di risorse e quindi perfettamente vivibile anche per chi non ha una grande formazione.
seguono tre sequenze, di due pagine ciascuna:
- nella prima, un uomo incoraggia un suo compagno, evidentemente malato, chiamandolo capitano. il capitano tossisce sangue e cade dalla slitta su cui è disteso, finendo sulla neve a fissare il cielo.
- nella seconda, una donna torna a un minuscolo accampamento perso nel nulla dei ghiacci e della neve. ha catturato un uccello, pasto che dividerà con la sua gatta, quando si accorge di un orso polare proprio fuori dalla sua tenda.
- nella terza, un uomo è sdraiato sul divano, con in mano una bottiglia e la faccia di chi non è riuscito ad annegarci dentro il suo dolore. il telefono squilla, attacca la segreteria ma lui non risponde.
nelle due pagine successive, un'immensa notte stellata viene colorata da un'aurora boreale - la stessa della copertina - divisa in tre parti nette, verde, gialla e magenta, tre strisce di luce ondulanti, sature di colore, una al fianco dell'altra.
come le luci di questa aurora boreale, tre sono le storie che luke healy racconta, tutte in qualche modo collegata alla figura di stefansson - figura che poco ci mette a diventare poco più che un'ingombrante presenza quasi mitologica: quella del capitano bartlett e di kataktovic, il primo capitano della nave salpata dall'alaska nel 1913 verso l'artico, la prima organizzata per provare la teoria di stefansson, il secondo uno degli inuit che partecipano alla spedizione sopratutto in virtù della loro conoscenza del territorio e della loro esperienza tra i ghiacci.
la nave che stefansson, con il suo inguaribile e pericoloso ottimismo aveva giudicata perfetta per questo viaggio, si rivela presto inadatta agli sforzi che la attendono, e presto l'equipaggio dovrà fare i conti con gli imprevisti e i rischi che stefansson non aveva neppure provato a calcolare.
la seconda storia è quella di ada blackjack, donna inuit disperata dal tremendo stato di salute del figlio che non ha i mezzi per curare. siamo nel 1921 e stefansson ha organizzato la sua seconda spedizione verso il nord. necessaria, tra l'equipaggio, è la presenza di una sarta.
ada accetta il lavoro, benché preoccupata all'idea di allontanarsi dal bambino per un intero anno. la speranza è di poterlo portare in un ospedale in grado di curare la sua malattia.
anche questa spedizione non andrà per il verso giusto e anche qui stefansson non è che una presenza invisibile.
le due missioni, il capitano bartlett, ada blackjack e i disastri cui andarono incontro sono realmente esistiti, a differenza della terza storia, frutto della fantasia di healy, una traccia che in qualche modo collega non solo i personaggi vissuti circa un secolo prima di lui, ma che - senza forzature - chiarisce il concetto stesso del termine sopravvivenza.
in quarta di copertina: lottare per vivere, tra i ghiacci, tra le convenzioni borghesi, tra le dolorose scelte obbligate [...]. per capire il significato di quel riferimento alle convenzioni borghesi dobbiamo proprio scoprire terza storia.
protagonista è il professor barnaby, uomo decisamente poco avventuroso e per nulla affine allo spirito del rude uomo di mare o della madre disposta a sacrificarsi per il bene di suo figlio.
barnaby si è improvvisamente trovato con la carriera e la reputazione appesa a un filo: da tempo ha una relazione con uno studente, cosa che ovviamente è inammissibile in un campus universitario, e adesso che il suo segreto è venuto a galla, è stato allontanato dall'insegnamento.
gli si prospetta un lungo e vuoto anno sabbatico: senza amici, senza più un compagno, compagno, il giorno che lascia il suo ufficio scopre una targhetta che gli permette di scoprire che quella stanza era già stata occupata in precedenza da vilhjalmur stefansson, esploratore famoso per la sua irresponsabile teoria sulla sopravvivenza nel nord.
solo e senza nessun impegno e con la complicità dell'amichevole bibliotecaria del campus, barnaby si immerge nella lettura dei diari e dei resoconti delle spedizioni organizzate da stefansson, scoprendo le difficoltà che gli equipaggi hanno subito nel più inospitale dei luoghi del pianeta, trovando, ormai troppo tardi, il rimedio a molti dei loro problemi e, questo con una tempistica migliore, un'alternativa al suo.
healy è un narratore nascosto che non forza mai la narrazione per collegare le tre storie e che esprime il suo punto di vista freddo e quasi asettico in una scansione narrativa precisa e rigorosa - tavole tutte uguali scandite da griglie regolari - che dedica quasi sempre lo stesso intervallo di pagine alle tre storie che si alternano durante la lettura e per ognuna sceglie una palette cromatica irreale e simbolica, dando a ognuna un colore dominante, i tre che ci aveva già mostrato nella sua aurora boreale a inizio del racconto.
come sopravvivere nel grande nord è un dramma collettivo senza esserlo, che si stempera non solo nell'atteggiamento di un narratore assente che affida la narrazione solo ai fatti e ai dialoghi, senza mai entrare nella testa e tra i pensieri dei suoi personaggi, ma anche nella distanza temporale e spaziale dei racconti che, ognuno a suo modo, raccontano l'inarrestabile e istintiva capacità degli esseri umani di voler sopravvivere anche nella più difficile delle situazioni, siano i ghiacci polari di inizio secolo scorso o l'amarezza della solitudine di un uomo dei nostri giorni.
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