quello che mi è successo è che ho iniziato a leggere questo libro - su cui avevo aspettative altissime e quindi stavo un po' in ansia da e se non mi piace? mi hanno detto tutti che è meraviglioso, non è che poi sono una cretina insensibile io? - e dopo un paio di pagine ho dovuto chiudere tutto. posarlo. respirare. rileggerlo. chiuderlo ancora, andare avanti, tornare indietro, leggere e rileggere le stesse frasi, divorando parola per parola, rigirarmele in bocca, farle mia, lasciarle piombare nello stomaco e far sconquassare le budella centimetro per centimetro.
questo è quello che si perde quando non si legge: l'emozione e le assurde reazioni fisiche dell'innamoramento.
quello che mi sta succedendo è il primo romanzo di miguel brieva, autore spagnolo che vanta un lungo curriculum, tra collaborazioni con pubblicazioni varie, riviste da lui fondate e dirette, progetti di animazione e illustrazione, e il gruppo musicale las buenas noches.
un artista poliedrico e impegnato, e quello che mi sta succedendo è non solo lo specchio perfetto di una generazione - la nostra - ma anche di una mente critica, creativa e capace di un'analisi molto più lucida di quanto il leitmotiv della storia non voglia lasciare intendere.
protagonista e voce narrante è victor, ex bambino che parlava con le pietre, attuale ultratrentenne geologo e disoccupato, alle prese con la depressione, una psicologa pagata poco, pasticche che non vuole prendere, un diario che non leggerà mai nessuno e allucinazioni se non fastidiose quantomeno invadenti.
come tanti trentenni di oggi sicuramente pensa che la laurea stampata di morbida carta pretagliata sarebbe stata più utile visto l'unico utilizzo che se ne riesce a trarre, passa da un lavoretto insoddisfacente e mal pagato a un altro lavoretto insoddisfacente e mal pagato, trascorre le giornate con altri giovani intraperdenti (no, non è un refuso) nel piccolo parco del quartiere, a fumare canne e cercare un modo per trascinare al guinzaglio una vita difficile come un mulo che non vuole saperne di andare avanti. le reazioni di questi ragazzi sono tanto interessanti quanto variegate: da chi si rifugia nello sballo perenne, chi si perde nella depressione e passa giorni e giorni interi a letto, a chi si arrangia a moderno robinson crusoe, come se il mondo là fuori fosse naufragato e soltanto noi sperduti nella nostra piccola isola senza nome, fossimo gli unici sopravvissuti.
siamo noi gli inesistenti e implausibili lettori dei suoi diari e deliri, nella paradossale situazione di lettori fuori dalle pagine e di disoccupati disillusi e disperati come victor, dentro e fuori la sua storia allo stesso momento. ed è a noi soltanto - gli uomini invisibili, in quanto tali, non contano, giusto? - che victor rivela l'esistenza delle sue allucinazioni, facendocele vedere e sentire come se fossimo lui, lasciandoci confondere realtà e fantasia in un delirio sempre più grande, in cui i sogni e le alterazioni schizoidi del reale sono in effetti più ragionevoli del reale stesso.
le allucinazioni di victor sono emblematiche e significative, a partire da aparicio - un pupazzetto dall'aspetto tenero e rassicurante ma un gran figlio di puttana dentro, incarnazione del concetto stesso di consumismo e capitalismo - e continuando con le apparizioni nei riflessi, (spoiler, evidenziate per leggere), prima un uomo di neanderthal, poi pian piano qualcuno si aggiunge fino a diventare una folla, donne con bambini, vecchi, gente abbigliata di costumi tipici scomparsi, la grande massa dei perdenti, degli sconfitti, degli schiacciati, di tutti quelli a cui, con prepotenza e violenza, è stato negato il futuro, proprio come victor, distrutto da una società che lo tratta come uno scarto non necessario al fine di un'evoluzione più economica che sociale. un'immagine potente e densa come poche, mi ha davvero fatto accapponare la pelle.
non manca ovviamente lo scontro generazionale, anche questo sintomo di un sistema malato che non vede oltre la punta del proprio naso e che per questo prima o poi crolla sotto il suo stesso peso, inteso sopratutto nell'ottica (cito la frase di un'amica che penso renda perfettamente l'idea) che un cazzo in culo agli altri è un fuscello di paglia, anzi, il suono di un violino, per via della totale mancanza di empatia e di interesse di chi ha vissuto di certezze, ha insegnato il valore di quelle certezze, ha costruito un modello sociale, culturale ed economico basato su quelle certezze e ora pretende che chi ha perso tutto si arrangi, e che per favore lo faccia in silenzio e con il sorriso sulle labbra. e di fretta anche, grazie.
quello che mi sta succedendo comincia quindi come il diario - imposto come terapia psicologica - di un ragazzo depresso e allucinato per farsi via via cronaca di un mondo impazzito e cannibale, grottesco e persino più irrazionale di un ficus che discute di filosofia in una sala d'attesa.
e - come dicevo all'inizio del mio personalissimo entusiasmato delirio - nella costante ed esponenziale perdita di contatto con quella realtà che siamo abituati a pensare, con il pretesto dell'allucinazione e del disagio psicologico, si delinea finalmente in modo chiaro e sincero, tutta l'incoerenza e la follia della verità dei nostri tempi e del nostro mondo.
compratene una copia da leggere, da amare, da rileggere e rifletterci sopra fino a farvi passare il sonno e una da sbattere più volte in faccia a chi continua a sostenere che i fumetti sono uno stupido passatempo per ragazzini pigri.
Nessun commento:
Posta un commento