*attenzione. questo post riflette una chiara ed esplicita visione politica e sociale circa i fatti di genova di quindici anni fa, durante il purtroppo noto g8. chiedo fin da adesso che chiunque voglia commentare questo articolo, se non vuole limitarsi al libro avevamo ragione noi di domenico mungo, lo faccia, anche se magari la pensa in modo diverso dal mio, rispettando le vittime di quei giorni, e in ogni caso, le regole che trovate nel disclaimer del blog.*
20 luglio 2001 ~ 20 luglio 2016. sono passati quindici anni dalla morte di carlo giuliani, uno di quei tanti, tantissimi ragazzi che erano andati a manifestare i loro ideali contro i prepotenti del mondo nella genova in assetto di guerra del g8. quindici anni da quando di quei tanti ragazzi, uno non è più tornato, quindici anni da quando, nella civilissima italia, ragazzini, giornalisti, manifestanti sono diventati carne da macello.
nel luglio del 2001 avevo quattordici anni, era l'estate tra il quarto e il quinto ginnasio, di g8 a scuola se ne parlava parecchio, ne parlavano sopratutto i ragazzi più grandi, quelli del triennio, quelli dei collettivi, quelli che qualcosa in più di noi, che eravamo ancora un po' troppo bambini per capire per bene cosa voleva dire gi-otto. andare a genova a manifestare era fuor di discussione, non provai nemmeno a chiedere il permesso, mi metteva a disagio la sola idea di stare così lontana da casa insieme a gente che non conoscevo e che - bisogna ammetterlo - mi faceva sentire fuori luogo, troppo piccola per queste cose.
passai i giorni incollata alla tv, sbirciando i giornali che comprava mia madre e qualche altra rivista di informazione che acquistai in edicola, ai tempi in cui internet non avevo ancora idea di cosa diamine fosse. mi piacevano quei cortei di gente colorata, divertita, che camminava, cantava, urlava slogan, tutti insieme, tutti diversi, tutti uniti contro l'idea che otto persone, chiuse in un palazzo, potessero decidere le sorti del mondo, senza chiedere niente. mi faceva rabbia che si dovesse cancellare l'aspetto umano di una città (ve la ricordate la questione delle mutande appese?) per trasformarla in uno scenario di guerra.
era per me il periodo delle prime manifestazioni, pensavo che, anche se cambiava il numero dei partecipanti al corteo, non potevano cambiare le regole, che per me erano semplici e immutabili: partecipo perché voglio dire che la tal cosa non mi sta bene, dico che la tal cosa non mi sta bene partecipando a un corteo che canta slogan perché è un modo onesto e pacifico di esprimere la mia idea. la polizia ci assicura che nessun idiota possa infilarsi nel corteo a fare qualcosa di pericoloso. le cariche le facciamo perché sono divertenti, un po' pericolose, ok, puoi cadere, ma ci si tiene per mano mentre si corre, le facciamo contro la strada vuota e sotto gli occhi di chi guarda perché, a dirla tutta, è divertente anche da vedere.
questo era quello che conoscevo e non potevo credere che a genova sarebbe stato tanto diverso.
ai primi pestaggi, ai primi ragazzi con le facce spaccate, con gli occhi gonfi, le bocche piene di sangue, alle prime scene in cui gente in divisa, con i volti coperti e irriconoscibili, con gli anfibi rinforzati, massacrava di calci e manganellate ragazzini a terra che si facevano scudo con le braccia, arrivò il primo shock. cosa diamine stava succedendo lì? ero sconvolta ma sopratutto arrabbiata: non sono quelle le regole. se io cammino, canto e grido slogan, tu non puoi farmi del male. se io ho le mani alzate, tu non puoi picchiarmi. se io tiro un sasso, tu non puoi spararmi.
ma quella gente in divisa, quei tizi che massacravano i ragazzini, non erano quelli che ci dovevano difendere? proteggere? non erano quelli che dovevano assicurare che i manifestanti non venissero attaccati da quelli che volevano rovinare tutto? e perché quelli che invece sfasciavano, distruggevano, incendiavano, quelli non venivano nemmeno fermati? perché li stavano a guardare?
se c'è un momento in cui perdi l'innocenza dell'infanzia, la fiducia in quello che ti dicono sia il modo in cui le cose funzionano, per me sono stati i giorni di genova, mentre seguivo dalla tv quello che succedeva dall'altra parte del paese. fu quando un ragazzo mingherlino in canottiera alzò sulla testa un estintore vuoto e un carabiniere gli sparò in faccia, e poi un altro gli passò sopra con una camionetta che, miracolosamente, ora, dopo parecchio minuti, sembrava di nuovo riuscire a guidare. fu sopratutto quando, i primi minuti dopo l'assassinio di carlo, giornalisti e forze dell'ordine cominciarono a cercare di spalare merda: prima cercando di convincere che carlo era stato ucciso da un sasso (tirato evidentemente fa superman, visto che ha impattato sulla faccia di carlo come farebbe un proiettile), poi che carlo stava minacciando la vita di un carabiniere (con un estintore vuoto. e il carabiniere era dentro una camionetta. e il lunotto, per quanto il vetro fosse sfondato, era troppo piccolo per far passare l'estintore, anche se fosse stato tirato con la massima precisione. e la camionetta non era davvero bloccata, visto che dopo pochi minuti è riuscita a spostarsi. e non era nemmeno isolata, visto che a pochi metri era pieno di poliziotti che guardavano senza fare nulla. tutti i dettagli su quanto successo, e la ricostruzione fotografica di quello che è stato, li trovate qui ed è inutile ricordarvi che sono immagini forti, perché credo che sono ancora impresse nelle menti di tutti), e subito dopo che fosse un tossico, che fosse un delinquente, che venisse da chissà quale famiglia (tutte falsità, ovviamente, ma lo ripetiamo perché non fa mai male). fango e merda su un ragazzo assassinato e sfregiato da esseri che ancora, a distanza di quindici anni, non sono riuscita a definire, perché per quanti siano i modi abbia imparato per offendere qualcuno, ancora non basta.
l'orrore di quel venerdì pomeriggio non fu abbastanza per gli assassini di questo paese, i pestaggi iniziati i giorni prima continuano e con maggiore violenza, ormai non si contavano più le foto e le riprese di ragazzi e ragazze sanguinanti in mezzo alle strade. durante la notte, con la più assoluta e totale mancanza di dignità, di onore, di decenza, di rispetto, di umanità, le forze dell'ordine compirono la mattanza all'interno della scuola diaz. non ci sono documentazioni di quanto avvenuto ma le foto del dopo e le testimonianze bastano a immaginare l'orrore irragionevole avvenuto tra quelle mura.
in quel momento, tutto quello che hai imparato a scuola su questo paese, lo accartocci e lo butti nel cesso. i diritti, la costituzione, la democrazia, la repubblica... non esisteva più niente in quei giorni, e non è esistita più per tante, troppe volte. c'erano dei pazzi assassini violenti e furiosi, c'erano quelli che, impunemente, cantavano motivetti fascisti e pestano ragazzini con le magliette colorate e il sogno di un mondo più giusto per tutti.
il ricordo di quei giorni a genova mi ha ossessionata per anni, continua a farlo. rimangono la rabbia e la voglia di giustizia che non c'è mai pienamente stata. carlo e gli altri ragazzi sono stati troppo spesso dimenticati, la loro storia pian piano è stata seppellita sotto altri fatti di ingiustizia e violenza, eppure quei giorni non possono essere cancellati dalla nostra storia.
tutto questo per arrivare a parlare del romanzo di domenico mungo, uscito da pochissimo per eris edizioni, avevamo ragione noi, che è esattamente quello che ci voleva per ricordare e per chiedere giustizia, ancora una volta, ancora dopo quindici anni, i fatti di quei giorni.
andando a ritroso, dalla premiata macelleria diaz all'inizio festoso e colorato del primo corteo, quando nulla di quello che poi accadde poteva anche solo essere immaginato, domenico mungo da voce ai ragazzi che erano presenti nelle strade di genova, fa raccontare a loro stessi i fatti di quei giorni: un ragazzo che riprende con la telecamera le aggressioni fino a quando non riceve le prime manganellate anche lui, un'infermiera ancora sconvolta dopo anni per le ferite orribili che ha dovuto risanare, un poliziotto ultrà, il ragazzo con il casco color granata vicino a carlo in piazza alimonda.
ognuno ha la sua voce, il suo modo di esprimersi, i suoi ricordi, ma l'orrore e lo sgomento sono gli stessi per tutti. ogni capitolo è il frammento di un puzzle che ricomposto ci riporta a quindici anni fa.
un romanzo corale, crudo, sincero, spietato, veloce: non c'è spazio per le cronache, che conosciamo fin troppo bene ormai, il tempo è quello frenetico della fuga tra i lacrimogeni, quello confuso dei ricordi, quello spezzato dalle botte in testa.
dopo quei giorni nulla, per nessuno, sarebbe più stato lo stesso. sopratutto per chi genova l'ha vissuta: è una generazione che raccoglie i cocci dei propri sogni e cerca di ripulirli dal suo stesso sangue.
fatti a pezzi, picchiati, insultati, abusati, distrutti ma non vinti. gli sconfitti rimarranno sempre quelli nascosti dietro i caschi, e ancor di più, quelli nascosti dietro una scrivania, a urlare ordini via radio.
ad accompagnare i testi, le illustrazioni di paolo castaldi, dalla già evocativa copertina, dove le mani dipinte di bianco dei manifestanti pacifisti si stagliano su un cielo fumoso e rosso sangue, alle immagini all'interno, più fredde, in un bianco e nero pulito e a tratti angosciante: dalla schiera di poliziotti tutti uguali, con il volto distorto da ghigni grotteschi, al giovane costretto al muro della caserma di bolzaneto, con la schiena piagata pronta al prossimo colpo, fino alla scena - forse più rappresentativa dell'atmosfera delle strade intorno alla zona rossa - nella quale minuscoli manifestanti cercando di parare i colpi di giganteschi uomini in divisa.
un libro importantissimo, oggi e in qualsiasi altro giorno, da leggere per ricordare, per dar voce a chi in questi quindici anni non è ancora riuscito a ottenere giustizia.
e per ribadire, ancora una volta, che nessuna manganellata può fermare la speranza di un mondo migliore.
ognuno ha la sua voce, il suo modo di esprimersi, i suoi ricordi, ma l'orrore e lo sgomento sono gli stessi per tutti. ogni capitolo è il frammento di un puzzle che ricomposto ci riporta a quindici anni fa.
un romanzo corale, crudo, sincero, spietato, veloce: non c'è spazio per le cronache, che conosciamo fin troppo bene ormai, il tempo è quello frenetico della fuga tra i lacrimogeni, quello confuso dei ricordi, quello spezzato dalle botte in testa.
dopo quei giorni nulla, per nessuno, sarebbe più stato lo stesso. sopratutto per chi genova l'ha vissuta: è una generazione che raccoglie i cocci dei propri sogni e cerca di ripulirli dal suo stesso sangue.
fatti a pezzi, picchiati, insultati, abusati, distrutti ma non vinti. gli sconfitti rimarranno sempre quelli nascosti dietro i caschi, e ancor di più, quelli nascosti dietro una scrivania, a urlare ordini via radio.
ad accompagnare i testi, le illustrazioni di paolo castaldi, dalla già evocativa copertina, dove le mani dipinte di bianco dei manifestanti pacifisti si stagliano su un cielo fumoso e rosso sangue, alle immagini all'interno, più fredde, in un bianco e nero pulito e a tratti angosciante: dalla schiera di poliziotti tutti uguali, con il volto distorto da ghigni grotteschi, al giovane costretto al muro della caserma di bolzaneto, con la schiena piagata pronta al prossimo colpo, fino alla scena - forse più rappresentativa dell'atmosfera delle strade intorno alla zona rossa - nella quale minuscoli manifestanti cercando di parare i colpi di giganteschi uomini in divisa.
un libro importantissimo, oggi e in qualsiasi altro giorno, da leggere per ricordare, per dar voce a chi in questi quindici anni non è ancora riuscito a ottenere giustizia.
e per ribadire, ancora una volta, che nessuna manganellata può fermare la speranza di un mondo migliore.
Concordo in toto con ciò che hai scritto.
RispondiEliminaSegno il titolo in wish list, con le illustrazioni di Paolo Castaldi è imperdibile un libro del genere.
ciao ari, grazie per la visita e il commento!
Eliminafammi sapere cosa ne pensi quando lo leggi! ^^/