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giovedì 8 dicembre 2011

il castello dei destini incrociati e qualche considerazione sparsa e altrettanto inutile.

quando si leggono libri dello stesso autore, bisognerebbe avere qualcuno che ci "guida" attraverso tutte le sue opere, suggerendoci l'ordine esatto secondo il quale dovremmo avvicinarci a questi titoli. perché chiunque sia l'autore in questione, anche quando si parla di italo calvino, è inevitabile che ci siano titoli validi e altri meno. in questo caso si può distinguere solo tra libri belli e libri perfetti. e quando si becca per caso uno di questi libri perfetti, è impossibile non iniziarne uno degli altri aspettandosi la stessa perfezione e puntualmente non riuscire a godere della sua "diversa" bellezza.
è, per l'appunto, quello che a me è successo con le opere di calvino: dopo le città invisibili soltanto la raccolta delle cosmicomiche poteva avvicinarsi alle aspettative che nascono ogni volta che leggo il suo nome sulla copertina di un libro. gli amori difficili così come il castello dei destini incrociati, per quando siano bellissimi, non riescono a soddisfarmi. specie quest'ultimo, che prometteva di essere un capolavoro, non può assolutamente reggere il confronto.
l'impostazione è organizzata sulla falsariga del decamerone: dei personaggi si incontrano in un castello (poi, nella seconda parte, diventa una taverna) e lì si rendono conto di non avere più la possibilità di parlare, ma possono raccontare le loro storie attraverso un mazzo di tarocchi, usando gli arcani come allegorie dei personaggi e degli avvenimenti delle loro avventure.
due sono gli aspetti notevoli: innanzitutto come le storie finiscano per intrecciarsi tra di loro (i destini sono incrociati nelle carte come nella realtà, tutti muti rifugiati nello stesso luogo, senza capire dei due quale sia la causa e quale l'effetto) ma, e questo ammetto che sia più per deformazione professionale, la differenza tra i disegni dei tarocchi, i primi miniati da bembo nel xv secolo per i duchi di milano, plausibilmente acqueforti, pieni di particolari aggraziati e ben studiati, incisi e stampati con estrema cura e perizia tecnica, raffigurano personaggi e oggetti con uno stile elegante, senza perdersi in nulla di grottesco o esageratamente allegorico, i secondi, i marsigliesi, sicuramente più rozzi, riproduzioni di xilografie della seconda metà del 1700, ma più densi di significati simbolici e mistici. come cambiano le immagini, cambiano le storie da raccontare e la possibilità di interpretazione delle carte.


nonostante queste ottime premesse, nessuna delle storie qui raccontate è riuscita a colpirmi davvero, nulla è arrivato a infilarsi come spine nella carne come sono riusciti a fare i resoconti dei viaggi di marco polo nel più affascinante e poetico di tutti gli orienti.

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