giovedì 20 marzo 2025

il governo ombra

«saranno belle e potenti entrambe. immensamente potenti. due maestre.»
[...]
«però mi spiace molto doverti dire, miranda, che bellezza e potere sono tutto quello che le tue figlie avranno in comune. perché mentre una sarà dolce, generosa e amorevole, l'altra sarà in combutta con i demoni.»
miranda spalancò gli occhi. «cosa?»
«lo dirò chiaramente. una sarà buona, l'altra cattiva.»

attenzione! questo post contiene spoiler su la congregazione reale di sua maestà, il primo volume della trilogia. se non l'hai ancora letto, rimedia subito e poi torna qui!

qualche mese fa vi avevo parlato de la congregazione reale di sua maestà di juno dawson, uno dei libri che mi avevano appassionata ed entusiasmata di più l'anno scorso. adesso è finalmente uscito il seguito, il governo ombra, e io l'ho divorato subito, l'ho adorato come e forse più del primo e ne voglio ancora!

il finale del primo romanzo era stato un cazzotto gigantesco in piena faccia (ve lo ripeto, ci saranno necessariamente spoiler su lcrsm) e questo seguito inizia proprio lì dove la storia si era interrotta.

anzi, inizia con una profezia, quella che viene fatta a miranda, la madre di niamh e ciara, prima ancora che le sue figlie nascessero: entrambi potentissime, ma una buona e dolce, l'altra cattiva e in combutta con i demoni. e adesso eccole lì, le due gemelle così uguali e così diverse, al funerale di ciara, la sorella cattiva. la ciara che ha tramato contro le altre streghe, che ha ucciso il solo, unico e grande amore di niamh, che si è lasciata divorare dai demoni e che si è alleata con dabney hale, lo stregone che voleva distruggere la congregazione e schiacciare gli esseri umani senza poteri. la ciara che niamh stessa ha cancellato, svuotata di ogni ricordo, ridotta a un guscio vuoto che per nove lunghissimi anni non ha fatto che sopravvivere su un lettino d'ospedale, mentre il mondo intorno a lei continuava ad andare avanti.

o almeno, così pensano tuttə. quello che nessunə sa è che se il corpo sepolto è effettivamente quello di ciara, la sua anima si trova nel corpo di niamh. e l'anima di niamh... beh, è ovvio no? chissà quanto sarebbe diversa l'atmosfera di quel funerale se sapessero che ad essere tornata per sempre a gaia è la sorella buona, quella amata da tuttə, la santa e impeccabile niamh!

da lettrice, ammetto che questo primo capitolo è stato una vera e propria sofferenza. mi ero affezionata a niamh tanto quanto avevo detestato ciara, ma - e qua sta la magia di juno dawson! - nel corso della storia i miei sentimenti hanno iniziato a vacillare fino a stravolgersi.
la storia di ciara è quella delle cosiddette profezie che si autoavverano. in psicologia e in sociologia si parla di profezia che si autoavvera quando una persona (o un gruppo di persone), convinta della possibilità che un evento infausto possa verificarsi, cambia il suo comportamento finendo proprio causare lo stesso evento che avrebbe voluto evitare.
man mano che i ricordi di ciara tornano a galla, scopriamo come sua madre miranda abbia sempre mantenuto un atteggiamento diverso con le due gemelle, incoronando niamh come figlia perfetta mentre controllava ossessivamente ciara, la rimproverava e puniva per nulla, arrivando perfino a terrorizzarla da bambina e a distruggere i suoi sogni di adolescente. portandola, insomma, a essere davvero una strega cattiva.
ogni volta che ciara ritrovava un episodio della sua storia passata, un pezzetto del mio cuore si sbriciolava.

ovviamente però, il governo ombra non è solo la storia di ciara e del suo passato. la minaccia di dabney hale incombe su tutta la congregazione; leonie è in viaggio, intenzionata a ritrovare suo fratello radley; theo è stravolta dal suo nuovo corpo, dalle reazioni che suscita nellə altrə e da quelle che suscita in ləi stessə, mentre la profezia del leviatano continua a gettare ombre sul suo futuro e lo strano atteggiamento di niamh le fa temere di trovarsi sul punto di essere abbandonata ancora una volta. e poi ci sono holly, in piena crisi adolescenziale, e elle che, nonostante la sua età, è rimasta ancorata ai suoi sogni di felicità matrimoniale di ragazzina e ora si vede sgretolare tutto tra le mani, scoprendo di avere un potere che non sa gestire e che la spaventa al punto da non riuscire neppure a parlarne.
la narrazione si allarga ancora e ancora, toccando altre città - c'è anche bologna! - e paesi, reali o mitici che siano. perché è ovvio che la crsm non è la sola congregazione di streghe del mondo e la minaccia di hale (e quella del leviatano) è enorme per chiunque. infine, il personaggio-rivelazione di questo romanzo è stato luke! non aggiungo altro perché non voglio rovinare la sorpresa a nessunə ma... non me lo sarei mai aspettato!

oltre ad avere una trama serratissima che ti incolla alle pagine e non lascia tirare il fiato nemmeno un secondo, anche ne il governo ombra rimane l'attenzione per le tematiche che mi avevano fatta innamorare della scrittura di juno dawson nel primo romanzo e che fanno di questi libri dei perfetti esempi di narrazione transfemminista e intersezionale in cui si sottolinea come, senza fare retorica, davvero il personale è politico. dawson pone l'accento sulle relazioni sentimentali (romantiche, familiari, d'amicizia) e su come queste riproducano in piccolo i rapporti di potere tra le categorie socialmente privilegiate (gli uomini, le persone bianche, quelle cis, quelle ricche) e quelle marginalizzate e svantaggiate (le donne, persone nere, quelle trans, quelle povere, ecc.).

e poi, anche questa volta, arrivatə all'ultima pagina non possiamo che metterci a gridare e ad aspettare con ansia che arrivi presto il capitolo conclusivo. personalmente, ho bisogno di un gruppo di sostegno e supporto psicologico da adesso all'annuncio della prossima pubblicazione (anzi, fino al momento in cui potrò finalmente iniziare a leggere human rites). se vi trovate nella stessa situazione, contattatemi: scriviamoci, parliamone, teniamoci per mano!

giovedì 13 marzo 2025

il mondo di rocannon

come si può distinguere tra leggenda e realtà, su mondi che giacciono a molti anni di distanza dal nostro? pianeti senza nome, che i nativi chiamano semplicemente "il mondo"; pianeti senza storia, dove il passato è materia di mito e dove l'esploratore che vi fa ritorno scopre che le sua azioni di pochi anni prima sono diventate le gesta di un dio. un velo buio di irrazionalità si stende sull'intervallo di tempo che le nostre astronavi attraversano alla velocità della luce, e nell'oscurità proliferano l'incertezza e le esagerazioni, come erbacce.

il mondo di rocannon di ursula k. le guin è considerato il primo romanzo del ciclo dell’ecumene, una serie di romanzi autoconclusivi e di racconti - presenti in raccolte come ritrovato e perduto - le cui vicende sono indipendenti e che quindi possono essere in qualsiasi ordine, ma che condividono la stessa ambientazione, cioè l’universo colonizzato dal pianeta hain, il mondo di provenienza della specie umana.

da hain, l’umanità si è spostata in decine di pianeti e, nel corso del tempo, si è adattata ed evoluta sulla base delle necessità dettate dalle diverse condizioni ambientali dei mondi colonizzati. nonostante le differenze biologiche e culturali, che si sono sempre più accumulate nel corso dei secoli, è riuscita a riunirsi in quello che, appunto, si definisce ecumene, una colossale struttura sociale, politica ed economica. l’unità è garantita grazie a tecnologie di comunicazione - come l’ansible - e di trasporto interstellare, elementi fondamentali anche delle vicende raccontate nei romanzi e nei racconti.

è grazie alla possibilità di incontro, comunicazione e scambio - non sempre positivi, come ad esempio ne il mondo della foresta - che le guin riesce a raccontare l’enorme ventaglio di possibilità entro cui l’umanità può organizzare la sua esistenza, con una prospettiva fortemente antropologica che rende sempre le sue storie estremamente realistiche e fantascientifiche (perché anche le scienze sociali sono scienze).

le storie del ciclo dell’ecumene sono ambientate sia prima che dopo l’avvento dell’ecumene propriamente detto, raccontandoci così - in una narrazione orizzontale che resta sempre sullo sfondo di ogni vicenda - anche la storia di un’unione di mondi e degli infiniti possibili modi di esistere come esseri umani.

il mondo di rocannon, pubblicato per la prima volta nel 1966, ci presenta fomalhaut II, un pianeta il cui sviluppo tecnologico è assimilabile a quello della nostra età del bronzo o poco più, abitato da tre specie umane già note e da altre su cui mancano informazioni. le prime sono lə gdemiar, il popolo d’argilla, dalla pelle chiara e i capelli scuri, di piccola statura, abituatə a vivere sotto terra e prevalentemente notturnə; lə fiia, altrettanto piccolə e chiarə di pelle ma biondə, amantə della luce e della natura. infine vi sono lə liuar, più altə e fortə, organizzatə in una sorta di società feudale in cui la nobiltà di lignaggio deve essere confermata dal coraggio, dalla lealtà e, più in generale, da un preciso codice morale che regola i rapporti intra- e interspecie, ma soprattutto da alcune caratteristiche somatiche che dividono la specie in due: da un lato lə angyar, lə signorə, dalla pelle scura e i capelli biondi o rosso-oro, dall'altra lə olgyior, la plebe, che come lə gdemiar hanno la pelle chiara e i capelli scuri.

lə liuar sono la popolazione più nota dallə studiosə del pianeta e la loro storia, così antica da perdersi nella leggenda, si fonde con quella di rocannon, grazie agli sfalsamenti temporali dovuti ai viaggi intergalattici.

il tono del romanzo è sospeso tra epica, fantasy e fantascienza proprio in virtù del fatto che fomalhaut II vive in un’epoca di sviluppo tecnologico ancora distante da quello degli altri pianeti - come ad esempio nuova georgia del sud, il pianeta da cui arriva rocannon, etnografo in missione, che ospita la base esplorativa delle forme di vita a intelligenza elevata della lega.

il prologo alla vicenda sembra una favola, la leggenda di un mondo lontano nel tempo: il lungo viaggio della regina semley per recuperare il suo tesoro perduto, così da ridare lustro alla sua casata e al suo re. è affascinante come le guin suggerisca che l’inspiegabile è tale solo fino a che non si fanno proprio le conoscenze scientifiche e tecnologiche che lo rendono possibile, e che lo faccia senza giudizi di sorta, scrollandosi di dosso quel senso di sufficienza e superiorità che ha caratterizzato la prima etnografia.
allo stesso modo, anche rocannon stesso, per quanto provenga da una realtà più progredita, rifugge da facili giudizi e riesce a costruire legami sinceri con lə coprotagonistə del romanzo.

la vicenda prende il via quando lə compagnə di rocannon vengono spazzatə da un attacco alla loro nave condotto dallə ribellə di faraday, contrarə al consolidamento della lega dei mondi e alle regole imposte per l’effettiva cooperazione intergalattica. rimasto solo su un pianeta alieno, senza più un mezzo per tornare nel suo mondo né l’ansible - un apparecchio capace di trasmettere istantaneamente i messaggi a qualsiasi distanza, grazie alla capacità di far viaggiare i dati a velocità superiori a quella della luce - per comunicare con la lega dei mondi, rocannon inizia il suo viaggio alla ricerca dellə ribellə e del loro ansible.
ad accompagnarlo ci sarà una sorta di compagnia dell’anello formata da mogien, signore di hallan e da un gruppo di suoi fedeli, appartenenti alle altre specie umane del pianeta.

il viaggio attraverso fomalhaut II è insidioso, costellato di pericoli, di incontri e scontri. rocannon, già noto come signore delle stelle, è dotato di una corazza sottile come una seconda pelle, praticamente indistruttibile e resistente a qualsiasi tipo di arma, che lo trasforma agli occhi di chi lo incontra nel dio errante, colui che cammina in mezzo agli uomini.

come già detto, il mondo di rocannon è un romanzo di fantascienza che attinge a piene mani dal repertorio fantasy ed epico per i toni, per la caratterizzazione dellə personaggə, per l’organizzazione delle loro società e del loro sistema di valori, e la vicenda di rocannon stessa si rifà alle numerose interpretazioni - discutibili e ampiamente discusse (se vi può interessare vi rimando alla famosa diatriba tra marshall sahlins e gananath obeyesekere sulla vicenda del capitano cook) soprattutto nei decenni immediatamente successivi alla pubblicazione di questo romanzo - che nel corso degli ultimi secoli sono state fatte sul pensiero delle popolazioni native, indebitamente chiamate selvagge, in merito allə esploratorə e studiosə bianchə, arrivando alla conclusione - voluta o meno - dell’inevitabile rivalutazione del significato stesso di nativo e selvaggio.

non è uno dei miei preferiti di ursula k. le guin ma resta un testo prezioso sia per conoscere al meglio l’autrice e il suo pensiero, che qui si declina in una riflessione sui significati che gravitano intorno alla conoscenza dell’altrə, sia per approfondire il ciclo dell’ecumene stesso che, oltre all’innegabile valore letterario, ha - dal mio personalissimo e trascurabile punto di vista - il merito di ricalibrare il concetto di etnocentrismo in una prospettiva intergalattica: come si diceva più su, le guin ha indicato hain come pianeta di origine per l’umanità e non la terra, identificando così la nostra specie come una delle tante, possibili variazioni adattative di una stessa specie. in quest’ottica la terra perde il suo ruolo centrale tipico delle narrazioni fantascientifiche e si riduce a essere una delle tante colonie spaziali.

per concludere, volevo spendere due parole sulla nuova uniform edition dedicata a le guin e al ciclo dell’ecumene. mondadori ha già iniziato a ripubblicare tutti i titoli della serie - molti, come il mondo di rocannon, erano fuori catalogo da anni - con le nuove copertine illustrate da rodrigo corral, contributi di autorə italianə e internazionali e, quando presenti, le introduzioni firmate da le guin stessa.
oltre ai titoli già pubblicati (il mondo della foresta, i reietti dell’altro pianeta, ritrovato e perduto e il pianeta dell’esilio, che si aggiungono a la mano sinistra del buio, pubblicato nel 2021 con una nuova traduzione) sono previste nuove edizioni anche per la falce dei cieli, città delle illusioni, il giorno del perdono, sempre la valle e la salvezza di aka.

venerdì 7 marzo 2025

orbital

resteranno così per nove mesi, nove mesi a fluttuare, nove mesi di testa gonfia, nove mesi di questa vita da sardine, nove mesi a osservare la terra a bocca aperta, per poi tornare giù, al pianeta paziente.
qualche civiltà aliena potrebbe avvistarli e chiedersi: cosa ci fanno qui? perché non vanno da nessuna parte, girano solo su se stessi? la terra è la risposta a tutte le domande.

l'ho fatto di nuovo.
ho letto un libro su cui avevo aspettative altissime e mi sono chiesta ma è davvero tutto qui?
orbital mi ha un po' delusa. un po' tanto.
per essere un capolavoro, il libro più chiacchierato del momento, una bellissima lettera d'amore al nostro pianeta, mi aspettavo qualcosa di più.

orbital racconta di sei astronautə - anzi, quattro astronautə e due cosmonautə (se ci interessa scoprire la differenza possiamo andare a fare una ricerchina online perché samantha harvey non ce la spiega) - in missione sulla stazione spaziale internazionale che, appunto, orbita intorno alla terra e che ha la funzione principale di laboratorio in cui svolgere esperimenti di ricerca scientifica di varia natura in assenza di gravità.
dallo spazio, quindi, il personale della stazione studia e sperimenta in favore nostro, mantenendo lo sguardo fisso - in senso letterale e non - sul pianeta. inoltre, sulla stazione si effettuano esperimenti che saranno utili ad eventuali futuri viaggi verso la luna o marte e, soprattutto, il suo carattere di internazionalità suggerisce l'idea che la cooperazione tra popoli e nazioni possa essere più utile e produttiva degli atteggiamenti di chiusura o, peggio, di quelli belligeranti.
idea abbastanza semplice ma, a quanto pare, abbiamo bisogno di lanciarci a duemila chilometri fuori dall'atmosfera per capirla.

la narrazione segue la durata di sedici orbite della stazione intorno alla terra, ovvero circa ventiquattro ore. una giornata nello spazio in cui, un po' come per il piccolo principe, si susseguono sedici albe e sedici tramonti, un gioco di luce e buio che illumina il pianeta visibile solo da chi ha l'incredibile, privilegiata prospettiva che solo la stazione internazionale può offrire.

«da quassù la terra è bellissima, senza frontiere né confini» è forse una delle frasi che meglio ha saputo mettere insieme poesia e politica. una frase semplicissima, pronunciata nel 1961 da gagarin. eravamo in piena guerra fredda ed era la prima volta che un essere umano riusciva a trovarsi abbastanza lontano dal pianeta da poterlo abbracciare interamente con il proprio sguardo.
una frase semplicissima che racchiude dentro di sé significati e messaggi fondamentali: la bellezza di un pianeta unico in uno spazio oscuro e sconfinato, l'unica casa che abbiamo e che dobbiamo preservare e proteggere (o magari, con un pelino meno di arroganza, limitarci a non distruggere), una sorta di gigantesca madre comune che ci rende tuttə fratelli e sorelle, un mondo intero su cui abbiamo giocato con linee immaginarie per poter dire questo è mio, quello è tuo. in questa frase c'è tutto.
ovviamente possiamo aprirla questa frase, scartarla come un regalo e osservare pezzetto per pezzetto cosa c'è dentro: magari così è più facile da capire, anche se però perdiamo quel tono poetico, quasi magico che ci fa salire le lacrime agli occhi ogni volta che la sentiamo o leggiamo.
mentre leggevo orbital mi rigiravo in mente questa frase.
e pensavo che, per fare letteratura, bastava così.

questo romanzo ha, secondo me, due enormi problemi: il primo è che è estremamente ridondante. va benissimo che non ci sia una vera e propria trama, va benissimo che non succeda niente, ma gli elenchi di paesi illuminati dal sole - la loro bellezza, i loro colori, il modo in cui le nuvole li nascondono o li svelano, come le luci artificiali tradiscono una presenza umana che altrimenti risulta invisibile - ripetuti più volte stancano. rallentano la lettura, ti fanno pensare ok, l'hai già detto, l'ho capito. e se non l'avessi capito potrei tornare indietro a rileggere, non serve che me lo ripeti.
il secondo, immenso problema (sottolineo: sempre secondo il mio personalissimo parere) è il punto di vista della narrazione. in queste ventiquattro ore lə personaggə alternano le loro voci, le loro emozioni, i loro ricordi, le loro considerazioni, ma molto spesso la voce narrante è quella di un noi collettivo e indefinito, come se in questa pluralità lə sei abitanti della stazione orbitante si fondessero e confondessero tra loro, trasformandosi in un'entità unica di cui solo a volte si riconoscono le diverse personalità. tutto questo mi ha fatto sembrare lə personaggə piattə, interscambiabili a volte, privi di una qualche riconoscibilità forte.

insomma, sono d'accordo con chi dice che orbital è una lettera d'amore verso il pianeta, molto meno con chi dice che questo amore si rivolge anche all'umanità: da un lato l'umanità dellə astronautə/cosmonautə è appiattita sul loro ruolo e su delle storie personali troppo accennate per diventare abbastanza importanti da restituire loro profondità. abbiamo troppo poco tempo a disposizione per poterlə conoscere quel tanto che servirebbe a riuscire ad avvicinarci a loro, sbirciamo nelle loro menti solo per un giorno, solo per ventiquattro ore in cui i loro pensieri rincorrono ricordi lontani, preoccupazioni, lutti, l'idea di essere solo a dieci centimetri di titanio dalla morte. troppo e troppo poco tempo per permetterci di conoscerlə.
dall'altro lato, il resto dell'umanità della terra è cancellata dalla distanza.
si intravedono solo gli effetti - quelli peggiori - della sua presenza:
la mano della politica è così visibile da lì, che si chiedono come hanno fatto a non accorgersene subito. è evidente in ogni dettaglio - come la forza di gravità ha fatto del pianeta una sfera e ha spinto e tirato le maree che modellano le coste, così la politica l'ha scolpito modellato, lasciando ovunque tracce di sé. vedono finalmente la politica dell'avidità. la politica del crescere e del prendere, la voglia di avere di più declinata in miliardi di modi diversi, ecco cosa vedono guardando in basso.
quell'umanità che poeticamente scompare alla luce del sole, troppo piccola per poterla vedere da lassù, lascia tracce devastanti sul pianeta. è un'umanità che ha perso la sua innocenza primordiale, che ha smesso di limitarsi a popolare il pianeta per iniziare a plasmarlo secondo il proprio bisogno e il proprio profitto, un'umanità avida che non si rende conto della sua piccolezza, della sua fragilità, del suo essere poco più che nulla in confronto a quello che si estende all'infinito davanti agli sguardi dell'equipaggio della stazione internazionale. più che d'amore, mi è sembrata una lettera piena di sconforto verso quelle creature minuscole che rosicchiano il loro stesso futuro.

e quindi: mi è piaciuto orbital? nì. per essere un libro così chiacchierato, mi aspettavo qualcosa di più.
ha dei passaggi straordinariamente belli ma diluiti in troppe pagine che mi hanno annoiata, ha un linguaggio ricercato ed elegante, ma a volte sembra che questo lirismo sia inutilmente stiracchiato, come se cercasse ad ogni costo di colpire lə lettorə che, nel frattempo, ha imparato a difendersi.

giovedì 27 febbraio 2025

detransition, baby

voleva davvero diventare mamma. lo voleva più di ogni altra cosa. aveva passato tutta l'età adulta in mezzo a persone queer, ad assorbire le loro relazioni radicali e li poliamore e i ruoli di genere, ma in qualche modo non aveva mai davvero destituito dall'apogeo della femminilità quelle mamme del wisconsin bianche e carine che avevano popolato la sua infanzia. non aveva mai perso l'ardente speranza di diventare una di loro. nella maternità riusciva a immaginarsi separata dalla sua solitudine, dal bisogno che la consumava, perché da madre, credeva, non si è mai da sole.

ci sono narrazioni abbastanza stereotipate circa le reazioni degli uomini alla notizia che la loro compagna/fidanzata/moglie è incinta, c'è chi rimane pietrificato, chi pensa alla fuga e chi - credo nella maggior parte dei casi - si lascia trasportare dalla gioia e dall'entusiasmo.
fuori dagli stereotipi, sicuramente, c'è la reazione di ames che, quando katrina gli annuncia che sta per diventare padre, chiama reese, la sua ex che ha sempre desiderato diventare madre, e le propone di crescere questa creatura in tre.

detransition, baby inizia così, con questa folle richiesta di prendersi per mano e fare un salto nel vuoto, ames, reese, katrina, lə bambinə e insieme noi lettorə che non sappiamo ancora molto degli strani, inusuali legami che tengono insieme questo terzetto sgangherato. quello che sappiamo è che di solito non è così che funziona, che le famiglie si creano in un certo modo, di sicuro non con una telefonata che rompe anni di silenzio e lontananza, sappiamo che ci sono delle gerarchie tra le relazioni e che l'attuale compagna incinta vale più della tua ex con cui hai rotto da secoli, che gli uomini fanno i padri e le donne le madri e che ne bastano uno e una per mettere al mondo una terza vita, che lə figlə è bene crescerli dentro a un matrimonio (e, meglio ancora, evitare di concepirli prima di un matrimonio).

visto che, con buona pace di una certa fetta di popolazione, nella famiglia nucleare cis-etero monogama non c'è niente di naturale, potremmo (e, se non l'abbiamo mai fatto, dovremmo) chiederci perché sappiamo tanto bene queste cose al punto di crederle come un dato di fatto scolpito nella nostra genetica di esseri umani. darci le risposte qui, però, sarebbe impossibile sia per ragioni di spazio che di buon senso, quindi torniamo al romanzo di torrey peters e al nostro salto nel vuoto.
"ricordi che hai sempre voluto che facessimo un bambino insieme? lo vorresti ancora?" non è una domanda facile, non quando ti coglie alla sprovvista, non quando arriva da una voce che credevi non avresti mai più ascoltato pronunciare certe parole, ma reese sa cosa desidera, cosa ha sempre desiderato nonostante per una donna trans sia estremamente difficile se non impossibile diventare madre, ed è per questo che non ha dubbi: sì, certo che vuole farlo.

dal momento di quella telefonata, la narrazione inizia a muoversi avanti e indietro nel tempo, ancorandosi a un punto zero che coincide con quello del concepimento. anni prima, settimane dopo, impariamo a conoscere uno spezzone alla volta la storia di reese e di ames che, quando stava con lei, era ancora amy. disporre i capitoli in ordine non cronologico non è una scelta meramente stilistica né un artificio narrativo architettato solo per incuriosire lə lettorə, ma un modo molto chiaro ed esplicativo di mostrare come esperienze passate e aspettative future siano strettamente intrecciate e come coinvolgano il presente, senza che ci sia una qualche soluzione di continuità tra chi eravamo, chi siamo e chi speriamo - o temiamo - di essere. se, nel corso del tempo, cambiamo, non è per rinnegare quello che siamo statə ma semplicemente perché tra tutti i possibili futuri che possiamo intraprendere, dobbiamo sempre e comunque sceglierne uno, giorno dopo giorno.
e questo potrebbe essere un comodo riassunto per raccontare la storia di amy/ames: la detransizione non è un pentimento né un'ammissione di colpa e, come dice lui stesso, non è neppure una scelta definitiva e irreversibile. è solo la vita. ogni scelta ha avuto dietro di sé una ragione e, proprio in virtù degli anni passati insieme, una buona parte di quella ragione è intrecciata alla sua relazione con reese e quindi con i suoi desideri, tra cui quello di diventare madre.

c'era stato già un momento in cui reese e amy avevano provato a creare una famiglia, una famiglia non ordinaria tanto quanto potrebbe esserlo questa che ames le sta proponendo. era stato difficile anche allora, è facilmente immaginabile il numero e l'entità degli ostacoli che una coppia di donne trans deve affrontare dal momento in cui decide di compiere un passo così importante. su quegli ostacoli, amy e reese sono andate a sbattere con una violenza tale da mettere in crisi la loro stessa esistenza come coppia.
avanti e indietro nel tempo, peters sembra sussurrarci all'orecchio con la vocina metallica e insensibile di un navigatore che la vita è un continuo ricalcolo percorso, che le scelte che facciamo ci cambiano ma cambiano anche le persone intorno a noi, il nostro e il loro futuro, e che la somma di tutte le variabili accolte e di quelle scartate può condurre a situazioni che sembrano assurde solo se guardate da chi non ha percorso quelle strade.

detransition, baby è un libro che racconta come la comunità trans ha reinventato regole, legami di parentela e percorsi di vita per trovare una propria dimensione all'interno di quella ufficiale ed escludente del mondo cis-eteronormato, e che lo fa senza didascalie o note a piè di pagina. non spiega nulla - perché nessuna minoranza è tenuta a offrire lezioni su di sé a beneficio della curiosità altrui - ma ci mostra tutto, anche i lati più personali e intimi dellə suə personaggə, affidandosi a una comprensione emozionale ed empatica più che a un apprendimento razionale.
attraverso reese, peters ci permette di ragionare senza pregiudizi sugli stereotipi di genere e su quanto - senza mai giustificarli o, peggio, naturalizzarli - questi siano fondamentali per orientarci e darci modo di trovare il nostro posto nel mondo. da donna trans, reese desidera che gli uomini proiettino su di lei tutti quegli stereotipi (anche quelli negativi) di cui rivestono le donne cis, semplicemente per potersi riconoscere anche lei in quel preciso ruolo di genere, che non può che definirsi proprio attraverso le relazioni con lə altrə. da donna disabile, ho cercato di mettere a fuoco come le comuni narrazioni sugli stereotipi e i ruoli di genere non soltanto non coinvolgono tutte le persone allo stesso modo, ma che anche la loro non applicazione - tanto desiderata dalla maggior parte della gente che li subisce costantemente - può portare un qualche tipo di sofferenza.
le parole di reese, anche le più controverse e fastidiose, mi hanno illuminata molto più di quanto non abbiano saputo fare pagine e pagine di saggistica sull'argomento. se costruiamo un ruolo e ci mettiamo dentro le persone sulla base del loro genere e delle aspettative che riponiamo in quel genere, escluderne una minoranza non fa che peggiorare la condizione tanto delle persone escluse che di quelle incluse, rafforzando gli aspetti negativi che quel dato ruolo ha, e rafforzando, quindi, le strutture di potere che funzionano proprio sulla base di quella divisione di ruoli.

altro grandissimo merito di peters è stato quello di ripulire la parola queerness dai glitter e dagli arcobaleni di cui siamo solitə abbellirla al punto di averla fatta diventare una moda, o nel migliore dei casi una via di fuga dalla noia dell'eteronormatività. peters ci ricorda che la storia delle persone queer non è fatta soltanto del rigetto che viene dalla stanchezza per certe convenzioni sociali a cui è facile rinunciare, soprattutto per chi ricopre ruoli sociali di prestigio (come katrina), ma è stata costruita pezzo dopo pezzo di lotte e sofferenze vere, di famiglie che allontanano, di omofobi e transfobici che picchiano, di malattie che prima emarginano e poi uccidono, di ogni forma possibile di ingiustizia, di povertà, di diritti negati, di depressione e anche - in alcune pagine che sotto una scorza di cinismo rivelano una sensibilià gigantesca - di suicidi.

detransition, baby è un romanzo stratosferico che parla di persone e di come le persone vanno avanti nella vita, incespicando e rialzandosi e cambiando idea, andando avanti e poi indietro e scartando di lato. ed è un romanzo che dice che va bene così, che ogni persona e ogni vita è fatta di tutto il suo tempo e le sue scelte, e che è perfetta così.

mercoledì 19 febbraio 2025

brucia la notte ~ s'infiammano le stelle

nessuno entra.
nessuno esce.

noi siamo nessuno.

in una emilia-romagna immaginata ma non troppo, nel pieno di una catastrofe climatica lontana da noi ma non troppo, sotto un regime distopico ma non troppo, ani e bi(anca) cercano il modo di sopravvivere nel campo dove sono state confinate.
il campo è una salina e il lavoro lì spacca le mani e corrode l'animo.
a lavorare il sale, immerse nell'acqua tutto il giorno sotto lo sguardo vigile delle stecche - o gli integri, come preferiscono definirsi - sono solo donne. denunciate per comportamenti che offendono la morale del regime, come bianca, o rinchiuse perché migranti senza diritti, come ani, o anche volontarie, come tutte quelle donne che hanno scelto la dura vita del campo alla fame e alla miseria del mondo esterno, le centinaia di raccoglitrici delle saline sono la manodopera fondamentale in un mondo in cui l'economia - e quindi il potere - gira tutta intorno al sale che, esauriti i combustibili fossili, è diventato l'unica fonte di energia disponibile.

formalmente le saline sono solo saline, ma nei fatti si tratta di vere e proprie prigioni dove rinchiudere le donne - soprattutto quelle scomode, le povere, le migranti, le non cis-etero, eccetera - e spremerle fino all'osso, abusando tanto del loro lavoro quanto del loro corpo.
è per questo che bi e ani non si limitano solo a sopravvivere, ma cercano ad ogni costo di scavalcare le mura del campo e riprendersi la loro libertà.

bianca e ani sono come il giorno e la notte: bianca è un biondo fiume in piena di parole che adora fare la buffona e sdrammatizzare le situazioni più difficili; ani è silenziosa e schiva, un cespuglio di arruffati ricci neri, minuta e agile. a unirle non è soltanto uno spontaneo e sincero sentimento di amicizia, nato fin dal loro primo incontro nel campo, ma soprattutto un odio profondo e totale per quel regime che ha distrutto la loro vita, le ha separate dalla loro famiglia e ha rubato la loro libertà.
ani e bi non si sono mai fermate, hanno vissuto ogni giorno, ogni ora per riuscire a fuggire dal campo, hanno fatto piani su piani, mappature dell'area di comando e progetti, ma l'occasione arriva nel modo più imprevedibile e violento.
il primo attacco dall'esterno, la prima violentissima esplosione annienta in pochi minuti l'incrollabile e organizzatissima routine delle saline, manda le stecche nel panico ma, al contempo, uccide integri e raccoglitrici indistintamente.
è così che ani perde l'unico motivo per cui non si è mai decisa davvero a scappare, l'unico legame che la teneva stretta al suo ruolo.
ed è così che la rivoluzione ha inizio.

il dolore di chi viene costantemente schiacciatə, abusatə, violatə, imprigionatə e spogliatə della sua dignità di essere umano fa in fretta a trasformarsi in rabbia, e lì dove esistono regimi che si basano proprio sulla sopraffazione e sulla violenza nasce la resistenza, pronta a tutto pur di ritrovare una dimensione in cui vivere libera e in pace.
senza avere più niente da perdere, ani e bi approfittano dell'attacco e del caos per sfuggire alle guardie, e se la scoperta che bianca ha il potere di manipolare le menti di chi ascolta il suo canto sconvolge ani, l'incontro fortuito con sua sorella gizem - da cui si era separata anni prima, al suo arrivo in italia, e creduta perduta per sempre - è ancora più shockante, e di certo molto meno romantico e strappalacrime di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare.

grazie a gizem, ani e bianca arrivano alla congrega di dozza, una delle tante comunità fuori dal controllo del regime, dove la gente vive in regimi di mutuo soccorso e autosostentamento e... magia. perché bianca non è l'unica ad avere capacità fuori dal comune, anzi: le streghe - le strighe - esistono.
storiche vittime del potere, adesso sono loro a dirigere la resistenza contro quel potere che le teme e vorrebbe annientarle.


clarissa la suprema, guida e riferimento per tutta la congregazione; velia, tabagista affettuosa e saggia; dina, una guerriera dalla forza straordinaria; jole, che sa comunicare con lə scomparsə, le anime dellə defuntə; ottavia, archivista straordinaria e memoria vivente di dozza; aatifa, guaritrice della congrega e pittrice che ricorda, attraverso la sua arte, chi ha dato tutto per la congrega. e soprattutto ebe - fuggita da una vita ricca e agiata in quella rocchetta mattei che ha sempre appoggiato il regime per proprio tornaconto, incurante delle sofferenze altri, che sarà teatro fondamentale dell'ultima parte della storia - e ora votata al bene collettivo.
le storie e i destini di queste donne si intrecciano a quelle di ani, bianca e gizem sullo sfondo di una rivoluzione appena nata e già pronta a esplodere con ferocia.
sono storie cariche di rabbia e di voglia di rivendicazione che riassumono millenni di altre storie e di altre vite, quelle di tutte le donne che non si sono arrese al potere costituito a ogni livello dell'organizzazione sociale, dal microcosmo delle loro case fino a travolgere il mondo intero.
sono le storie delle donne che di solito non trovano spazio nei racconti: donne trans, donne lesbiche, donne anziane, donne disabili, donne bellissime ma forti quanto e forse più degli uomini. da questo punto di vista, questi romanzi sono un riscatto enorme per tutte quelle donne che non hanno avuto troppo spesso il privilegio di essere protagoniste di una storia.

se brucia la notte ha il ruolo di introdurci in questo sistema-mondo distopico e magico, di presentarci le protagoniste e il territorio - che, proprio in virtù del suo essere sovrapponibile a una geografia reale, è altrettanto protagonista del racconto - e di iniziare un percorso (concludendosi con un plot-twist e un cliffanger che definire crudele è solo una dimostrazione d'affetto nei confronti delle autrici), s'infiammano le stelle inizia con uno scioglimento iniziale della tensione che dura solo un attimo, prima che il racconto riprenda la sua corsa verso il gran finale.
brucia la notte / s'infiammano le stelle segue un percorso circolare, o meglio un percorso a spirale che parte dalle saline e che, andando avanti, s'ingrandisce, cresce insieme alle sue protagoniste come una linea che si irrobustisce caricandosi tanto di rabbia quanto di quell'amore che alimenta le comunità nate dal basso, dove nulla è imposto e tutto è collettivo.
una linea che abbraccia un territorio che si allarga sempre di più, traslato dal mondo reale a quello fittizio-ma-possibile del romanzo, una linea che accelera attraverso un racconto costruito dall'alternanza delle voci e dei punti di vista di ani, bi, ebe e gizem, che trovano sempre di più la loro forza come gruppo proprio nelle loro differenze individuali.

brucia la notte / s'infiammano le stelle sono romanzi pieni di rabbia e di forza che partono dall'idea streghe vs. fascisti e si trasformano in una storia che raccoglie a piena mani dalla nostra realtà e dalla nostra storia recente.
è impossibile incasellarli in una qualche categoria specifica e questo per me è prova della loro originalità e del lavoro delle autrici, tiffany vecchietti e michela monti, che, se da un lato hanno fatto loro tante lezioni di storytelling nella loro lunga carriera di lettrici (per una volta, l'orribile adagio del chi scrive non legge non vale!), dall'altro sono state capaci di restituire qualcosa di unico - tanto nei toni e nello stile, che rendono entrambi i romanzi estremamente appassionanti, quanto nei temi e nei contenuti - profondamente radicato nel territorio e nelle sue tradizioni e ispirato da una coscienza politica transfemminista fortissima e solida.